Il 24 novembre 2015 Nicola Gratteri, procuratore aggiunto di Reggio Calabria è tornato in audizione presso la Commissione parlamentare antimafia.
Vi è tornato in qualità di Presidente della Commissione per l’elaborazione di proposte normative in tema di lotta, anche patrimoniale, alla criminalità. Davanti ai commissari ha illustrato il pacchetto di proposte e una sana dialettica condita di consensi e dissensi alle proposte ha contraddistinto la seduta. Fino a che…
Fino a che – parlando di proposte sulle misure di prevenzione – prima la dottoressa Maria Luisa Miranda (che fa parte della Commissione presieduta da Gratteri) e poi lo stesso Gratteri, parlano della proposta di eliminare questori e Dia (la Direzione investigativa antimafia) dal novero dei soggetti a presentare proposte. Il senatore Beppe Lumia (Pd) non concorda ma sul finire della seduta il tono di Gratteri non ammette repliche ed è una dura reprimenda (verrebbe da dire senza appello) al ruolo della Dia.
Non è la prima volta che il magistrato calabrese dice la sua sul mantenimento in vita della Dia ma mai con questo tenore e con tali argomentazioni. Tanto che vale la pena riportare il dialogo in Commissione antimafia.
Nicola Gratteri: «Quanto alle intercettazioni, perché abbiamo pensato di escludere il questore e la Dia dal fare le proposte? Perché spesso questa diventa una gara a chi mette il cappello sulla sedia per primo e si presentano misure di prevenzione veramente scadenti. “Scadenti” è un termine… Mi controllo a dire “scadenti”. Noi ormai da anni lavoriamo in parallelo. Mentre facciamo un’indagine per 416-bis o l’articolo 74, nello stesso tempo facciamo indagini sulle misure di prevenzione. Che cosa accade? Spesso, quando il questore o il direttore della Dia presentano una proposta, non conoscono le indagini che ci sono in procura. Presentano, quindi, una proposta poco probante, poco forte, mentre noi, per esempio, nel corso della nostra indagine, abbiamo intercettazioni ambientali incredibili e fortissime. Intanto, però, il tribunale è costretto a pronunciarsi sulla proposta del questore e, quindi, si va al sequestro e poi magari alla restituzione del bene. Noi pensiamo che il questore possa, ovviamente, mantenere la sua struttura delle misure di prevenzione all’interno della questura, come il direttore della Dia, ma riteniamo che li debba presentare al procuratore della Repubblica. Il procuratore della Repubblica presenterà poi la sua proposta al tribunale. Non deve presentarla direttamente, perché direttamente c’è uno scollamento di tempi. Se c’è un bravo procuratore, è in grado di coordinare il questore e la Dia. Se il procuratore è assente, non è bravo o va in ufficio tre giorni a settimana, non è in grado di controllare il questore e il lavoro della Dia e, quindi, c’è uno scollamento».
Davide Mattiello (deputato indipendente del Pd). «Presidente, mi scusi, faccio solo una battuta. Rimando al testo approvato perché nel testo che abbiamo approvato c’è una norma che disciplina il raccordo informativo. Eravamo partiti con un coordinamento da parte della procura. Il punto di caduta e di equilibrio è il raccordo informativo della procura rispetto a Dia e questura. Noi abbiamo mantenuto il potere di proposta con quel punto di equilibrio».
Nicola Gratteri: «Probabilmente andiamo fuori tema, ma l’onorevole Lumia sa che io sono fautore dell’idea che in questo momento non ha senso avere l’esistenza della Dia. Si dovrebbero fare rientrare ai Corpi di appartenenza i componenti della Dia: chi era in polizia va alla squadra mobile, chi era nei carabinieri va al Ros, chi era nella Guardia di finanza va al Gico. Così risparmiamo un dirigente, palazzi in affitto – sa la Dia a Firenze dove sta ? – macchine e via elencando. Se si vogliono risparmiare soldi, milioni di euro, basta far rientrare nei Corpi di appartenenza questi uomini e andiamo più veloci, perché la Dia oggi non ha senso di esistere. La Dia è nata per la gestione dei collaboratori di giustizia. Poi andava presso i commissariati o le compagnie dei carabinieri a prendere le informative che loro già avevano. Non è mai decollata».
Giuseppe Lumia (senatore del Pd). «Mi scusi, dottor Gratteri. La Dia è nata – lo preciso perché altrimenti diciamo una cosa un po’ parziale – per fare l’Fbi (usiamo questa espressione cara a Falcone) della lotta alla mafia. È nata per evitare quella frammentazione dell’autorità giudiziaria che spesso non è in grado di poter seguire quei livelli di indagine, soprattutto sull’alto riciclaggio, che le forze ordinarie svolgono».
Nicola Gratteri. «Oggi che cos’è la Dia?».
Giuseppe Lumia. «Su questo possiamo discutere. Io stavo intervenendo sul motivo per cui è nata. È nata non solo per gestire collaboratori, ma anche per fare le indagini di alto livello che le forze ordinarie non erano in grado di svolgere anche quando avevano Corpi specializzati all’interno della polizia, dei carabinieri e della Guardia di finanza. Questa era l’idea, un’idea che io ritengo geniale, accompagnata alla Dna. C’erano la procura nazionale antimafia, le distrettuali antimafia e un Corpo unitario ultraspecializzato che accompagnava questa visione sistemica che si aveva».
Nicola Gratteri. «Oggi, però, questo non esiste. Quindi che facciamo? Capite che cosa voglio dire?».
Giuseppe Lumia. «Potremmo far applicare l’idea di Falcone. Potrebbe essere anche questa una soluzione. Portiamo a maturazione e a radicalità quell’idea, che era un’idea che io penso avesse una sua innovazione».
Rosy Bindi. «Senza togliere niente a nessuno, contestualmente all’istituzione della DIA c’è stato il rafforzamento dei Corpi specializzati dentro ciascuna Arma, il che era esattamente in contrapposizione a quell’idea»..
Giuseppe Lumia. «Era una contraddizione, certo».»..
Rosy Bindi. «La cessione di sovranità è sempre una questione complicata».
Nicola Gratteri. «Usciamo fuori tema, ma io posso dire che, se non si hanno i sensori sul territorio, le indagini non nascono. Con l’idea dell’Fbi ci troviamo in uno Stato federale, negli Stati Uniti. In Italia, voi politici non siete riusciti a modificare la struttura e l’interfaccia di carabinieri, Guardia di finanza e Polizia di Stato, se ancora oggi in mare ci sono le barche della Guardia di finanza, della polizia, dei carabinieri e la capitaneria di porto. In questo momento per l’ordine pubblico a Roma, se uscite fuori, vedete che ci sono polizia, carabinieri e Guardia di finanza. Che senso hanno i baschi verdi che fanno ordine pubblico o i carabinieri che fanno ordine pubblico ? Se non si riesce a fare nemmeno questo, non possiamo aspettare altri vent’anni perché la Dia riparta. Prendiamo atto della realtà e incominciamo a risparmiare i soldi. Cominciamo a evitare questi doppioni».
Alberto Macchia (componente della commissione per l’elaborazione di proposte normative in tema di lotta, anche patrimoniale, alla criminalità). «Aggiungo due parole dalla coda. Quello che ci ha convinto non dell’opportunità, ma della necessità che sia il pubblico ministero a promuovere il procedimento di prevenzione non è un narcisismo dogmatico di assimilare il procedimento di prevenzione a un procedimento ordinario. Noi abbiamo ritenuto, ratione cognita, di qualificare quel tipo di attività come azione di prevenzione del titolare dello stesso organo che esercita l’azione penale. Perché ? Perché, come ha detto giustamente Nicola Gratteri, il procedimento di prevenzione è figlio del processo penale. Per il 99 per cento i procedimenti di prevenzione, quelli più seri, nascono come costole del processo penale. Tutte le intercettazioni che sono state fatte rifluiscono automaticamente nel procedimento di prevenzione. Si riutilizza tutto il già detto e il già accertato nel processo penale. Il questore, quando con un’iniziativa a capocchia, riempie un modulo di statistica che lo porta ad aver fatto in un anno dieci proposte di misure di prevenzione, esaurisce nel momento stesso la sua funzione ed è contento. Della vicenda successiva probabilmente si disinteressa in toto, azionando meccanismi che possono essere tremendamente pregiudizievoli, perché un’iniziativa di prevenzione non coordinata dal magistrato del pubblico ministero determina duplicazioni di iniziative e uno stato di allerta del prevenendo, che lo porta agevolmente a occultare ciò che fino a quel momento non aveva occultato. Queste sono le ragioni sostanziali, non formali, per le quali noi abbiamo ritenuto di proporre che il procedimento di prevenzione inizi con l’azione di prevenzione – chiamiamola proposta – svolta dallo stesso organo che esercita l’azione penale. È un discorso di simmetria soltanto apparente, perché la simmetria è una simmetria di carattere sostanziale. Quanto a Falcone e il doppio binario, Falcone teorizzava il doppio binario sotto un profilo profondamente diverso dall’utilizzo di un doppio binario processuale. Lui voleva in tutto il processo anche per il mafioso un tasso di garanzie che non fosse levior, più basso, di quello che spettava al comune mortale. Dove si batteva Falcone per un doppio binario di legislazione? Sull’attività di prevenzione e sulla attività di “repressione”. Voleva toccare i gangli dell’ordinamento penitenziario, in modo tale da far sì che il mafioso fosse in carcere un carcerato, non un carcerato-mafioso che continuava a dirigere e a gestire quello che aveva diretto e gestito fino a cinque minuti prima. Tutto questo è stato realizzato dall’ordinamento italiano, non a costo di alcuni cedimenti verso la repressione pura, con il decreto-legge n.306 del 1992, che fu adottato dal Parlamento italiano a ridosso della strage di Capaci. Voi ricorderete tutti la relazione accompagnatoria di quel decreto-legge al disegno di legge di conversione. Si disse che noi in quel modo volevamo far sì che la gente si rendesse conto che continuare a collaborare con la mafia era una “scelta di vita”, la cui alternativa era una sola: o la rescissione totale del vincolo di assoggettamento omertoso, o il restare per sempre mafiosi. Da qui viene la logica per cui l’unica prova per poter portare a emersione questa rescissione del cordone ombelicale fosse la collaborazione con la giustizia. Voi ricorderete le grandi polemiche che ci furono. Rispetto a questo tipo di legislazione, antecedente il decreto-legge n. 152 del 1991, con l’istituzione della Dia e del “superprocuratore”, quelle sono logiche che sono rimaste, ma sono logiche che ormai devono essere verificate con la cartina tornasole di quello che è successo dal 1992 a oggi. Di anni ne sono passati. Di acqua sotto i ponti ne è passata».
Non resta che prendere atto di questo articolato giudizio sulla auspicata limitazione della Dia e dei questori in tema di proposte in materia di prevenzione dei beni sequestrati alla criminalità organizzata e alla riconducibilità delle stesse alle sole procure che esercitano l’azione penale, onde evitare misure di prevenzioni “scadenti” e facilmente opponibili da parte del soggetto ablato, scollamenti, disinteresse successivo alla proposta e via di questo passo.
E non resta che prendere atto che Gratteri, ancora una volta, invita a guardare che cosa è diventata (o meglio, non è mai diventata) la Dia e dunque, per lui, alla sua pressoché inutilità, piuttosto che ai buoni propositi (rimasti sulla carta) per i quali era stata concepita.
Solo che – in attesa di una replica della stessa Dia che, verosimilmente desidererà affrontare la questione in ogni alveo istituzionale, compresa la Commissione presieduta da Gratteri e nella stessa Commissione antimafia – resta da notare come lo Stato proceda ad un rafforzamento della collaborazione tra Dia e Dnaa, che è stato fortemente voluto dal ministro dell’Interno Angelino Alfano (che dovrebbe a sua volta a esprimere le proprie ragioni in un contesto ampio quale la stessa Commissione antimafia o lo stesso Parlamento se mai qualcuno volesse chiamarlo a esprimersi attraverso un’interpellanza o un’interrogazione).
Domande più che legittime nel momento in cui si ha per la prima volta la consapevolezza che non è più solo Gratteri a pensarla così sulla Dia ma un’intera Commissione (per l’elaborazione di proposte normative in tema di lotta, anche patrimoniale, alla criminalità) chiamata ad operare e ad elaborare proposte non da me o dai voi, amati lettori, ma da premier Matteo Renzi che l’ha istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 maggio 2014.
E’ vero che sulla Dia lo stesso Gratteri ha affermato che si usciva dal seminato visto il contesto per il quale lui e la sua Commissione venivano auditi, ma lo Stato è unico e non vale la pena attaccarsi ai dettagli quando ci si trova di fronte a critiche di questa portata che provengono da un magistrato così valoroso e da una Commissione di così alto valore e spessore.
Lo Stato farà chiarezza sul ruolo della Dia o continuerà ad autolegittimarsi con organi che da una parte tirano per il suo rafforzamento interistituzionale e commissioni e alti Servitori dello Stato stesso, che tirano nella direzione opposta?
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