Report dell’Università di Milano: i piccoli Comuni sono il cuore della prevenzione antimafia – Il nodo dei piani regolatori e degli oneri di urbanizzazione

Cari lettori da ieri sto dedicando spazio alle anteprime del report dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università degli Studi di Milano, diretto da Nando Dalla Chiesa e presentato il 6 maggio in Commissione parlamentare antimafia.

Ieri abbiamo prestato attenzione alle province del nord con il più alto indice di penetrazione mafiosa (si veda   ), oggi spostiamo il baricentro sui piccoli Comuni.

Mi è capitato più di una volta, nel corso di alcuni incontri pubblici, di sentire Dalla Chiesa parlare di piccoli Comuni e indicarli, giustamente, come uno snodo vitale nella lotta alle mafie. In questa ricerca lo ribadisce con cognizione di causa.

Pur non negando gli investimenti in Borsa e nella finanza, secondo la ricerca, la presenza delle organizzazioni mafiose, soprattutto della ’ndrangheta, nel nord ha la forma di una conquista progressiva del territorio, che passa attraverso i comuni minori. «Sono comuni nei quali, se non c’è la stazione dei Carabinieri, un gruppo di persone armato determina immediatamente chi ha la giurisdizione sul territorio e quali sono i comportamenti e le norme della vita quotidiana e della vita pubblica – ha spiegato Dalla Chiesa in audizione – perché in un piccolo comune una manciata di voti di preferenza è in condizione di garantire il consigliere comunale di riferimento, soprattutto in aree in cui l'assegnazione della preferenza non è un fatto particolarmente diffuso».
Se quello dei beni confiscati è un indice valido, e lo è, allora vale la pena sottolineare che sono tanti nei Comuni lombardi sotto i 5.000 abitanti: 262 in paesi di cui non si conosce neanche l’esistenza.

Insomma, come ha ben spiegato Dalla Chiesa, il rapporto tra “cuore” e “periferia” è vitale (rectius: mortale). E qui ha toccato un punto sensibilissimo: i comuni non possono essere costretti a vedere negli oneri di urbanizzazione l’unica risorsa per affrontare i bisogni sociali. Questo li rende più vulnerabili davanti alle organizzazioni mafiose. «In alcuni piccoli comuni si registra un cedimento dei livelli di legalità nel momento in cui la crisi finanziaria porta ad accettare con più facilità delle presenze o delle modifiche dei piani regolatori a vantaggio delle imprese di mafia – ha spiegato Dalla Chiesache si fanno garanti degli oneri di urbanizzazione che vengono poi usati per sopperire ai bisogni sociali dello stesso comune. Diversi assessori ce l'hanno riferita come una delle ragioni di minore vigilanza esercitata da parte dei comuni sulla qualità degli imprenditori che si presentano nel settore edile».
E’ proprio l’approccio complessivo che deve cambiare, compreso il controllo del territorio da parte delle Forze dell’Ordine e, aggiungo io, della Giustizia. «Segnaliamo due implicazioni – ha concluso Dalla Chiesala formazione dei quadri intermedi delle forze dell'ordine che operano sul territorio (alcuni sono bravissimi, altri non colgono ciò che sta accadendo sotto i loro occhi), e un’azione di comando da parte dei livelli superiori molto più intensa e continua, per impedire che in questi comuni prevalga ciò che viene denunciato in loco, cioè il quieto vivere delle organizzazioni dello Stato. Se sappiamo che i paesi non sono periferia, concepiamo diversamente il controllo del territorio e l'ordine pubblico, concepiamo molto diversamente la funzione delle caserme dei Carabinieri nei paesi con 4-5.000 abitanti. È proprio un rovesciamento di prospettiva che implica l'assunzione di questo principio: i paesi sono il cuore della questione mafiosa».

Un rovesciamento di prospettiva che condivido da sempre ma sul quale non mi farei alcuna illusione. Per farlo ci sarebbe bisogno della Politica.
r.galullo@ilsole24ore.com

2 – the end (la precedente puntata http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2014/05/e-imperia-la-citt%C3%A0-del-nord-con-il-pi%C3%B9-alto-indice-di-presenza-mafiosa-con-milano-monza-brianza-e-torino-lo-dice-uno.html)

  • bartolo |

    Beh, Galullo, con tutto il rispetto per l’accademico Dalla Chiesa, la teoria che ove non ci sono caserme dei carabinieri quel territorio si presta meglio ad essere predato delle organizzazioni mafiose è vecchia come il cucco. Purtuttavia, conosco molti paesini in quest’area pervasa dalle più agguerrite cosche di ndrangheta (sic) in cui pur essendo sprovvisti di presidi dell’Arma, gli ndranghetisti rimangono emarginati al ruolo di accattoni. Vivono con le elemosine della maggioranza di quei cittadini che, se pur dimenticati dalle istituzioni, sono operosi grazie alle risorse agricole del medesimo luogo. Mentre, nei comuni poveri di risorse agricole come pure di istituzioni dello stato legale, i mafiosi, in assenza di latte da succhiare nelle mammelle delle ricche mamme, s’industriano a delinquere. Ieri, con i sequestri di persona, poi con i traffici di droga, oggi con niente: sono tutti…. “morti di fame galere galere”. Dopo tutto, Galullo, le risultanze investigative di una parte della Procura di Reggio Calabria che Lei condivide con il massimo della sua azione giornalistica, non fanno altro che smentire gli studi accademici del Nostro Nando. Infatti, se la ndrangheta più potente e pericolosa esistente al mondo è quella di Reggio Calabria città, è anche vero che l’assenza di caserme dei carabinieri questa volta non c’entra nulla; anche perché oltre alle caserme, ai commissariati, ai finanzieri, ai svariati gruppi interforze, lo Stato (questa volta con la S maiuscola) ha provveduto anche a far presidiare i Palazzi e le vie della città con l’Esercito. Il tutto, inoltre, sotto l’attenta regia dei procuratori antimafia più famosi del mondo per la loro azione di contrasto al crimine; il quale, come dice una canzone, NON VINCERA’. Mai, aggiungo io, e meno male che ci credo.
    Saluti Galullo,
    b.i.

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