Il capo della Procura Federico Cafiero De Raho doveva tornare oggi a Reggio Calabria e invece sarà a Roma per un faccia a faccia con il ministro dell’Interno Angelino Alfano. Sarà il momento per parlare del ritrovamento di un mini arsenale di armi (10 kalashnikov, due fucili mitragliatori, cinque pistole con matricola abrasa e, ovviamente, munizioni) nella Piana di Gioia Tauro di cui, ieri, ha dato notizia l’attento cronista del Quotidiano della Calabria Giuseppe Baldessarro.
La notizia, da qualunque parte la si voglia prendere, è degna del più alto livello di attenzione tanto che il capo della Procura ha chiesto al ministro dell’Interno Angelino Alfano di convocare a Reggio il Comitato di ordine pubblico e sicurezza.
Proverò – per capi – a spiegare perché la notizia di questo ritrovamento di armi (apparentemente una tra le numerose che vengono effettuate nel corso dell’anno) è importante e farò alcune riflessioni per ogni punto toccato. Riflessioni già fatte, in vero, nel recente passato su questo umile e umido blog, ma l’occasione consente di metterle tutte in fila.
1) Partiamo dal luogo: la Piana di Gioia Tauro. Il “cuore” pulsante della comunicazione al mondo esterno dei sistemi criminali calabresi. Quando ci sono da mandare “messaggi”, i paesi della Piana sono la vetrina ideale.
Ma lì, in quella Piana strappata all’agrumicoltura e votata consapevolmente ad un arido transhipment e nulla più, non entrano in azione soltanto le strategie della ‘ndrangheta ma vengono puntati anche i riflettori dei servizi segreti americani e italiani. Che fanno e disfano. Che guardano o non vedono.
2) Proseguiamo ancora con il luogo: il fine settimana quella Piana è il passaggio obbligato di alcuni Servitori dello Stato di cui ovviamente non faccio i nomi e, dunque, luogo ideale (per la simbologia e per la protervia dell’ala militare della ‘ndrangheta) per eventuali attentati o minacce di attentati.
3) Proseguiamo ancora con il luogo: quella Piana ospita un’eccezione alla regola. L’imprenditore Nino De Masi, che da maggio2013 vive sotto scorta. Il 3 maggio alcuni “simpaticissimi” criminali gli hanno sparato 44 colpi di kalashnikov contro un capannone all’interno dell’area portuale. Ha sempre denunciato la protervia delle cosche e il prezzo che paga è altissimo. Le cosche (a partire da quelle di Rosarno che dominano nell’area) non tollerano e non possono tollerare ribellioni e dunque, anche per questo motivo, il luogo del ritrovamento non è simile ad altri ma ha una valenza simbolica e educativa (secondo le leggi criminali, ovviamente) altissima (si legga anche http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2013/05/dietro-lattentato-a-nino-de-masi-a-gioia-tauro-dalla-scimmietta-alla-scimmia-la-lettera-dellimprendi.html).
4) Concentriamoci ora sul ritrovamento: casuale. Casuale nel senso che, in quella che appare una normale operazione di routine, la Gdf ha fermato una macchina al cui interno è stata ritrovata l’allegra mini-santabarbara.
Di casuale, però, in Calabria non c’è neppure un refolo di vento. Le indagini, dunque, diranno (forse) se e perché un incensurato (e non un pregiudicato) stava trasportando e dove quelle armi. Le indagini, dunque, diranno (forse) se il soggetto incensurato sapesse o meno cosa stava trasportando.
Le indagini diranno (forse) la cosa più importante: vale a dire se la speranza delle cosche era proprio quella di far ritrovare quel carico di armi in movimento.
Di una cosa, infatti, si può stare certi, vale a dire che se le cosche vogliono trasportare e far viaggiare armi senza il rischio di essere scoperti nel mezzo del camin della loro vita, sanno come farlo e di quali protezioni godere.
Non si può escludere, dunque, che un messaggio fortissimo sia potuto arrivare anche con il solo ritrovamento della armi e con il sacrificio di un sol uomo. Come a dire: “vi avvertiamo, ancora una volta, che colpire, per noi, non è un problema. Questa volta ancora un avvertimento ma se continuerete a tirare una corda ormai logora, passeremo alle vie di fatto”.
Lo dico e ne rifletto a voce alta con voi, amati lettori, perché non è certo questo ritrovamento che può rappresentare la cartina di tornasole della forza militare delle ‘ndrangheta. Le cosche calabresi (proprio a partire dalla Piana) hanno più armi di un esercito e dunque le forze investigative e la magistratura non si sorprenderanno certo di un bagagliaio con 10 khalashnikov che si acquistano (euro più euro meno) a 200 euro al pezzo.
5) Ma qual è l’obiettivo che si voleva raggiungere? Che il ritrovamento delle armi fosse voluto dalle cosche o non fosse voluto e dunque sia il frutto di una benemerita azione ispettiva della Guardia di finanza, non cambia ai fini dell’importanza dell’operazione. Il punto infatti è: quale/i obiettivo/i si voleva(no) raggiungere?
Il capo della Procura Cafiero De Raho ha parlato della possibilità che l’obiettivo sia un uomo, un servitore dello Stato o comunque un uomo delle Istituzioni.
Possibile? Di più, scrivo io: possibilissimo? Chi? Beh, fare nomi e cognomi sarebbe un esercizio sterile ed arido perché, a modesto avviso di chi scrive, quel che recentemente è cambiato è il clima che si respira nelle indagini e nella aule di Giustizia e su quello bisogna concentrarsi.
6) Le misure patrimoniali. Ormai le misure di prevenzione personali ma soprattutto patrimoniali stanno mettendo a dura prova le cosche. Il loro portafoglio è senza dubbio ricco, ricchissimo ma i continui colpi assestati dal Tribunale, Gdf e Dia con sequestri e confiche a raffica non vengono facilmente tollerati. Non siamo ai livelli di guardia che stanno interessando alcune famiglie di Cosa nostra (si veda quella di Matteo Messina Denaro la cui immensa fortuna è stata pressoché prosciugata) ma comunque l’azione della magistratura è costante e la direzione in cui andare sarà sempre più questa.
7) La mafia 2.0 sotto scacco. Dopo i tanti e apprezzati colpi all’esercito della ‘ndrangheta (che, però, ahinoi, vive di rigenerazioni, ricambi e gemmazioni continue e sempre più sfacciate ed evidenti) il mirino è stato pian piano spostato sulle componenti che detengono le maggiori quote azionarie dei sistemi criminali.
Alcune delicatissime indagini in corso (che sembrano resistere alle fughe di notizie delle quali eravamo attoniti spettatori) stanno puntando verso quella cupola di insospettabili (politici, professionisti, uomini infedeli dello Stato e delle Istituzioni) che dagli anni Settanta in avanti, in Calabria, è cresciuta all’ombra della destra eversiva e delle logge massoniche deviate.
Alcuni processi in corso stanno inoltre palesemente provando a smascherare alcune facce di quella cupola riservata e segreta e mai come in questo momento la parte malata della città trema e ha paura che per alcuni ambienti si stia avvicinando il conto da pagare all’impunità che finora è stata loro garantita (e su chi ha fatto da garante bisognerebbe scrivere un libro).
Alcuni altri processi sono stati già annunciati come proseguimenti di filoni già aperti che, come da un pozzo senza fine, continuano a far affiorare e mostrare insospettabili connessioni. O meglio: connessioni tra fili investigativi che nessuno mai, prima, aveva avuto l’ardire, la possibilità o la capacità di legare insieme.
Alcuni processi, infine, come Crimine, si sono chiusi benissimo in appello per lo Stato, mandando ramengo le speranze delle cosche e aprendo la via a nuovi “rilanci” giudiziari e investigativi.
8) La cupola del sistema criminale ha paura. Questo ho detto e scritto mille volte (i miei pezzi sono lì a dimostrarlo senza sorta di smentita). Questa paura è tangibile, è legittima e reale. Basta vedere cosa è accaduto nell’ultimo anno, in numerosi processi. Basta conoscere il nervosismo che sta attraversando alcuni salotti. Basta vedere la reazione scomposta e addirittura fuorilegge di alcune componenti della società reggina, calabrese e romana, a fronte di alcune indagini o sentenze. Anche per questo il rischio di un attentato (annunciato o paventato, in fase di preparazione o anche solo di progettazione) contro uno o più tra i Servitori dello Stato che quella cupola stanno cercando, tra mille difficoltà, di aggredire, è vivo, vivissimo, reale, realissimo.
9) Colpi inattesi. In questo clima – maledettamente torbido per la cupola della ‘ndrangheta 2.0 ma frizzantissimo e stimolante per la magistratura e le forze investigative – si inquadrano tessere inattese, che rendono ancor più destabilizzato il clima sociale e politico e questo per i sistemi criminali è intollerabile. La condanna (in primo grado, ricordiamolo sempre) dell’ex sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Scopelliti è un elemento improvviso di incertezza in tutta la Regione chiamata ora al voto e – lo sanno anche i bambini – le mafie tutto possono tollerare tranne che l’incertezza. Hanno bisogno di certezze e di una stabilità quanto più lunga possibile, all’interno delle quali pascolare i propri interessi.
Quella condanna (di qualunque Governatore di qualunque colore politico, sia ben chiaro e dunque non è una questione di nome ma di funzione che viene a mancare improvvisamente e scatena il panico) proprio non ci voleva perché apre improvvisamente la porta all’incertezza politica fino al voto. In più apre la porta ad un’improvvisa stagione di contrattazione di scambio con futuri candidati di ogni schieramento che busseranno alle porte dei padroni delle urne elettorali.
Quella sentenza è destabilizzante non per la condanna ma per gli effetti inattesi, non calcolabili, dovuti alla cosiddetta legge Severino che, improvvisamente, fa cadere una Giunta e un Consiglio (in questo caso la Calabria) e riporta tutti al voto. Se non fosse intervenuta quella legge sulla sospensione delle cariche amministrative in caso di condanna superiore ai due anni, la cupola della ‘ndrangheta 2.0 (in questo caso) non avrebbe vissuto una stagione di fibrillazione prima e di sbandamento poi. E’ accaduto in Calabria ma sarebbe potuto accadere o potrebbe accadere in altre regioni e ovunque, dai sistemi criminali, quell’episodio della sospensione dalla carica (di un Presidente di un regione o di un sindaco di un grande città, terreni di pascolo mafioso ormai ovunque, da sud a nord) sarebbe stato vissuto o sarà vissuto come un terremoto, come un atto ostile e illegittimo che mina certezze e stabilità. La sospensione dalla carica obbliga infatti a tornare al voto in condizioni eccezionali, straordinarie e non preventivate.
Ancora, tanto per rimanere nelle cose inattese e imprevedibili: i sistemi criminali potevano mettere nel conto che, per la prima volta in Italia, una grande città (metropolitana) del Sud potesse essere addirittura sciolta per contiguità mafiosa?
E ancora per rimanere nelle cose inattese e imprevedibili, qualcuno nella cupola calabrese poteva prevedere che Vibo Valenza e Catanzaro (gli uomini delle Forze dell’Ordine e della Dda, intendo dire) potessero apportare colpi così duri a uomini dello Stato infedeli, massoni dal grembiule sporco e onnipotente e politici pronti al crimine?
Certo che no e per le mafie 2.0 a iattura si aggiunge iattura. “No, così non va (me li vedo gli “invisibili” della ‘ndrangheta che ragionano, ndr), ora è troppo. Tutto sta cambiando e troppo velocemente. Dobbiamo dare un segno”. Già, ma quale? Solo un avvertimento?
10) La ‘ndrangheta non uccide i Servitori dello Stato. Si sente spesso ripetere questo ritornello e vedrete che ci sarà chi farà di tutto per retrocedere l’episodio del ritrovamento della armi a una banale operazione di prevenzione. Ed è per questo che noi stiamo ragionando oltre quel ritrovamento che, come scritto, può essere causale o voluto. Ebbene, non è vero che la ‘ndrangheta non uccide magistrati, servitori dello Stato o imprenditori che fanno dello Stato di diritto l’unico Stato che riconoscono. Ci sono esempi clamorosi che dimostrano il contrario (perfino a Torino, ragazzi miei, dove negli anni Ottanta venne ucciso il pm Bruno Caccia che aveva capito che perfino in Piemonte la ‘ndrangheta non era, già allora, solo cosche).
Credetemi, la ‘ndrangheta 2.0 può uccidere uomini dello Stato e questo può avvenire solo in un caso: quello in cui, persi alcuni referenti in ogni direzione, braccati altri, in odore di svelamento altri ancora, fuggiti per miglior sorte altri, inabissatisi altri ancora, falliti i tentativi di delegittimazione che uccidono senza far morire i delegittimati, sa che non ha altri mezzi che quello di una strategia violenta che la riporti all’origine e gli faccia assaporare l’odore del sangue. Cosa nostra, con questa strategia, ha perso la leadership e la ‘ndrangheta 2.0 lo sa bene ma sa anche che, mai come adesso, le forze dell’ordine, la magistratura (da Reggio a Catanzaro), parte della Chiesa, timidi settori della cosiddetta società civile e dell’informazione hanno deciso di dare un volto e smascherare l’altra parte della verità criminale: quella finora rimasta nascosta.
Per i sistemi criminali questo non è possibile né tollerabile. Per questo, o la va o la spacca. Costi quel che costi. Perfino un temporaneo affidamento a Cosa nostra delle redini del comando dei sistemi criminali.