Il 10 dicembre 2013, uno degli ultimi gesti del prefetto di Reggio Calabria, Vittorio Piscitelli (poi forzosamente promosso a miglior vita professionale) fu consegnare ai membri della Commissione parlamentare antimafia scesa in Calabria, una relazione di 26 pagine sullo stato di salute della città sullo Stretto e della sua provincia.
Sui dati economici (devastanti) sorvolo. Mi concentro sulle sue analisi sull’ordine pubblico e la sicurezza, per poi finire con il Comune.
Le riflessioni di Piscitelli partono proprio dal dramma socio-economico per dare concreta contezza della pericolosità della ‘ndrangheta, che rimane alta, «non solo per l’efferatezza in sé dei delitti e dei fatti criminosi – scrive il prefetto – ma segnatamente per il perverso rapporto che la lega al territorio, al suo tessuto sociale, culturale ed economico, che alimenta quelle zone d’ombra esiziali, di intersezione tra società e cultura, tra istituzioni locali e tessuto economico, sui cui occorre contestualmente incidere per avere risultati positivi di lunga durata».
Sublime Piscitelli. Con quella parola nefasta (“intersezione”) ha descritto tutto. Una vecchia ‘ndrangheta che attraversa, interseca, si intreccia con parti del tessuto attivo. Che siano politici o imprenditori, professionisti o rappresentanti delle Istituzioni, il risultato è sempre lo stesso: devastante, mutante e dissimulante.
E’ fantastico vedere (dopo un lungo periodo buio) con quanto afflato sempre più alti rappresentanti delle Istituzioni che a Reggio lavorano o vivono (tra prefetti, magistrati, investigatori, giudici e politici ma con la colpevole mancanza della mia categoria tranne rare eccezioni) stiano spostando il baricentro verso le mafie 2.0, quelle evoluta e in continua trasformazione, che trattano le cosche e i clan come agenzie di servizio che condividono i loro sordidi interessi.
Il prefetto Piscitelli (fumo negli occhi del centrodestra reggino per la pervicacia ed efficacia della sua azione e cortina fumogena dietro la quale il centrosinistra reggino ha nascosto per anni il proprio nulla politico) va avanti nella sua disamina e a pagina sei scrive – alla faccia di chi continua a pensare che le grandi operazioni contro la ‘ndrangheta abbiano inferto colpi mortali alla stessa sull’asse Reggio-Roma-Milano-Torino – che l’analisi del fenomeno spinge a ritenere tuttora attuale l’intrinseca «capacità della ‘ndrangheta di innovarsi, riprodursi, diffondersi».
Si badi bene: il grassetto (o neretto) nel carattere è nel testo originale. Vi prego di soffermarvi particolarmente su quella parola: innovazione. La ‘ndrangheta (quella visibile con la regia di quella invisibile) è un laboratorio in continua evoluzione e pensare anche solo di cristallizzarla con una singola operazione (qualunque, seppur importante o importantissima) e relativa verità giudiziaria (che per definizione non coincide con l’attualità e men che mai, da sempre, in Italia) sullo scacchiere socio-economico, vuol dire non aver capito nulla della sua straordinaria e impressionante forza, in grado di mutare vorticosamente, travolgere, stravolgere e indirizzare. Che si sia magistrati, magistratoni, investigatori, investigatoroni, giornalisti, maestri della penna o preti, la vera sfida è portare alla luce, come ama dire il pm antimafia Giuseppe Lombardo, l’altra “mezza verità”. A Reggio come a Roma, a Palermo come a Milano, a Napoli come a Torino.
La “gabbia” – che sia dialettica, giornalistica, processuale, giudiziaria o investigativa – mal si addice ad un’organizzazione quale la ‘ndrangheta, vero e proprio sistema criminale in grado di spezzare schemi e creare schermi.
«Le famiglie mafiose infatti – ci spiega Piscitelli con gradevole ovvietà ma l’ovvietà è un bene prezioso e raro quando riesce a fotografare il percorso di un fenomeno – riescono a mantenere intatta la loro forza di radicamento ed espansione coniugando una spiccata capacità di adattamento e flessibilità, a rigidi protocolli associativi di derivazione tradizionale, alla notevole disponibilità di denaro proveniente dai molteplici settori d’interesse.
Recenti indagini investigative ed operazioni di polizia giudiziaria, inoltre, danno per avvenuta una trasformazione interna all’universo mafioso calabrese e reggino in specie, lungo linee evolutive che rischiano di aumentarne la pericolosità…
Dette linee evolutive hanno trasformato l’organizzazione mafiosa calabrese da gruppo criminale, autonomo, tradizionale, radicato in un determinato territorio, a struttura unitaria, sinergica, complessa e moderna, in linea con le vere e proprie holding economiche e finanziarie mondiali.
Tali linee evolutive, quali risultanze investigative dei noti procedimenti Crimine e Infinito, acquisite in questa provincia, hanno trovato, allo stato, piena conferma giudiziale anche i altre indagini».
La ‘ndrangheta – nel momento in cui Piscitelli ha vergato e in quello in cui io riporto – è una sorta di «”azienda anche internazionale di attività illecite” in grado di attivare, in chiaro-scuro e attraverso mezzi di corruzione, un vasto sistema di relazioni e cointeressenze per l’arricchimento illecito ed il condizionamento dell’economia legale». Anche in questo caso la frase sottolineata è stata volontariamente evidenziata dal prefetto spedito lontano da Reggio, come è d’uopo in questa Italia miseranda.
Sarà una mia fissa (rari privilegi per un giornalista, finché non saranno soppresse in Italia l’articolo 21 della Costituzione, la libertà di stampa, di critica e di opinione) ma quando ho letto (da pagina 18) le “strategie di contrasto” messe nere su bianco dal prefetto Piscitelli, il mio occhio per naturale propensione, è caduto sul punto n.2.
Perché vedete, cari lettori, va bene la disarticolazione delle consorterie storiche (punto n.1), va benissimo il contrasto delle attività criminose (punto n.3), va ancor meglio l’aggressione ai patrimoni illeciti (punto n.4) ma una cosa deve essere presente oggi più che mai. Mi riferisco «all’individuazione e al perseguimento in sede giudiziaria di componenti significativi della cosiddetta zona grigia, di esponenti cioè della politica, delle istituzioni, delle professioni, dell’imprenditoria», che rappresenta, appunto, il punto n.2 delle strategie di contrasto individuate dal prefetto. E – aggiungo io – la pudicizia con il quale si parla di Istituzioni, dovrebbe essere declinata in “servitori infedeli dello Stato”, ovunque essi siedano.
Potremmo stare qui a parlare e scrivere per secoli, fare o descrivere indagini, inseguire o meno pentiti (!!! Quali? Quelli scandalosi che ci propina la Calabria da qualche anno a questa parte, senza distinzione di sorta alcuna, che dicono e ritrattano, che si blindano, scompaiono e poi ritornano, che si accusano tra di loro e magari fanno parte di un’unica strategia di delegittimazione e confusione?), discettare o meno di raffinate tecniche di intelligence (!!!Quali? Quelle condotte all’ombra di professionisti senza arte né parte ma con un immenso bagaglio di poteri deviati?) ma se
noi tutti non ci metteremo in testa che le mafie 2.0 sono altro rispetto a una processione a Polsi, un giro a Corleone o un tour a Scampia, avremo un solo futuro: continuare a leggere relazioni come queste mentre, nel frattempo, altri pezzi della società, dell’economia e della finanza saranno state mangiate dai sistemi criminali come faceva 30 anni fa il pac-man nel tracciato di un computer.
Un’ultima volante annotazione – pur senza citarlo mai – credo che il prefetto Piscitelli l'abbia indirettamente rivolta anche al Comune di Reggio Calabria, scrivendo in vero di tutti quelli sciolti in questi anni per mafia o contiguità (!) mafiosa. «…al riguardo, se è di difficile configurazione il prolungarsi oltre dei tempi di gestione straordinaria – scrive Piscitelli a pagina 24 – prevedere un monitoraggio mirato di quella pubblica amministrazione per un congruo lasso di tempo potrebbe preservare quella comunità locale dal possibile rinvigorirsi degli interessi criminali.
Una sorta di accesso positivo a tutela della buona e trasparente amministrazione disposto per alcuni anni a seguire».
Ottima idea quella del “monitoraggio mirato”. Fosse per me l'applicherei a Reggio Calabria e a tanti altri Comuni. Per 2 o 3 generazioni…Ma non lo penso solo io. Prima di me a pensarlo e a vergare in 2 o 3 generazioni il tempo della rinascita calabrese (rectius: dell'allineamento al resto d'Italia) fu un altro superprefetto, Luigi De Sena. Lo dimenticano tutti quel passaggio, pronunciato nel momento del commiato. Io no.
r.galullo@ilsole24ore.com