Un’associazione mafiosa e segreta. Sembra quasi tautologico ma cosi non è, tanto che ci sono voluti decenni e la caparbietà di un pm, di un delegato della Dna e di un capo della Procura per fare in modo che mafia e segretezza criminale “oltre” eppur “dentro” le maglie delle cosche, venissero alla luce (nell’ipotesi accusatoria) come due lati della stessa medaglia.
Il pm è sempre lo stesso, Giuseppe Lombardo della Dda di Reggio Calabria e il capo è quella della sua procura, Federico Cafiero De Raho. Insieme a loro, sempre più, un ufficio che sta cercando di muoversi verso un’unica direzione (quella della lotta alla ‘ndrangheta 2.0) e che attende di avere un punto fermo dall’appello Crimine prima di accelerare sulla nuova e decisiva fase.
Le recenti importanti (parti di) memorie in appello dei pm Antonio De Bernardo e Gianni Musarò, lo svolgimento delle udienze (Alta Tensione 2) del pm Stefano Musolino (solo per citare alcuni casi recenti) testimoniano che la “svolta” è vicina e che una nuova stagione può aprirsi.
Una stagione che sta facendo uscire di testa quella parte finora nascosta e invisibile della ‘ndrangheta (che esiste, rafforzandosi giorno dopo giorno, dagli anni Settanta), fatta di cosche e di quella componente marcia di avvocati, commercialisti, amministratori giudiziari, docenti, preti, banchieri, finanzieri, imprenditori, professionisti, politici, magistrati (ancora oggi l’ultimo arresto del giudice Giancarlo Giusti, già sospeso dalle funzioni perchè coinvolto in altra vicenda giudiziaria ), giornalisti, oltre che di servitori infedeli dello Stato e massoni con il grembiule sporco.
Una cupola invisibile che ‘ndrangheta non vuol sentirsi chiamare – per lo schizzinoso snobismo che la anima, perché forte dell’impunità giuridica finora garantita e perché fortissima del rintronato consenso sociale di buona parte del popolo calabrese – ma che ‘ndrangheta è. Anzi: ne rappresenta il cuore pulsante. Senza, il battito cardiaco di Polsi sarebbe destinato a spegnersi. Quattro straccioni montanari si sarebbero potuti sconfiggere in un men che non si dica se non fossero venute in soccorso negli anni l'omertà congenita di buona parte dei calabresi e raffinate menti estranee a quella cultura brigante.
Questa stagione si è riaperta (non va infatti dimenticato che circa 20 anni fa ci fu chi provò a combattere la stessa guerra ma fu annientato) quando Lombardo cominciò le indagini che portarono a Meta. OraReggio (come testimoniano le fibrillazioni di queste ultime ore in alcuni salotti) trema esattamente come negli anni Novanta, quando i fili della trama erano stati tirati fuori ma nessuno riuscì (o non potè) ad avvolgere la matassa. Ma su per li rami tremano, fino a Roma e Milano, quanti si sono attaccati alla tetta di una mamma criminal/borghese sempre incinta.
CAMBIO DI IMPUTAZIONE
Lunedì Lombardo, nel corso di un’udienza straordinaria (in tutti i sensi) del processo Meta, alla luce di quanto finora emerso, prima che si entri nel vivo, ha infatti chiesto al Tribunale presieduto da Silvana Grasso di riformulare la contestazione (capo A) a carico di Giuseppe De Stefano, Pasquale Condello, Domenico Condello, Pasquale Libri e Giovanni Tegano, dipingendoli come dirigenti, promotori e organizzatori dei rispettivi gruppi criminali di appartenenza nell’organizzazione mafiosa «visibile» (fonte: adnkronos 14.29). «Un direttorio che governa la struttura visibile della 'ndrangheta in un sistema criminale in parte occulto» aggiunge tempestivamente il collega Consolato Minniti (fonte: http://portale.loradellacalabria.it/dettaglioarticolo.asp?id=14126).
Nei confronti di personaggi «invisibili», la Procura sta appunto procedendo separatamente. Le cosche avrebbero cambiato assetto dopo la seconda guerra di mafia, finita nel 1991, e avrebbero creato una struttura verticistica che controlla la città (e, aggiungo io, non solo). L’organizzazione mafiosa si sarebbe infiltrata in attività economiche anche pubbliche e di rilievo nazionale, avrebbero raccolto voti alle elezioni e controllato le tangenti. L’organo di vertice, secondo il pubblico ministero, è piramidale e di «moderna concezione». In particolare, Giuseppe De Stefano sarebbe stato investito del carica di "crimine" dal boss Pasquale Condello. Quest’ultimo avrebbe diviso con la famiglia De Stefano i proventi delle estorsioni, il cugino Domenico Condello sarebbe stato il suo braccio destro (avvalendosi anche della figura di Demetrio Condello). Giovanni Tegano invece avrebbe supportato l’azione delle famiglie di ‘ndrangheta della città. Pasquale Libri, infine, avrebbe preso il posto del fratello Domenico Libri, morto il primo omaggio 2006, nel ruolo di custode delle regole.
Sono anche che – analizzando le carte, tutte, non solo quelle del procedimento Meta – scrivo e sostengo che la scalata criminal/borghese della cosca De Stefano data dagli anni Novanta, quando con una serie di capolavori tattici la sua ascesa divenne irresistibile nell’empireo politico/massonico italiano. Certo, la cosca De Stefano è stata straordinariamente abile a mettere insieme pezzi dell’eversione nera, nullità politiche che scalano scranni con la forza dell’impunità, professionisti maldestri ma scaltri, preti sconfessati, servitori dello Stato inservibili e magistrati degni della peggior sorte. La morte del giudice Scopelliti, poi, fu la ciliegina sulla torta. Tutti i riflettori su Cosa nostra siciliana e via libera per scalare l’olimpo con le fedeli (più o meno) cosche che adesso dipinge l’accusa del processo Meta: Condello, Tegano e Libri. Un poker che ha incendiato l’Italia, non solo Reggio. Il “G4 del male” reso possibile dall’omertà e dallo stolto interesse disinteressato dei calabresi.
P2
Tina Anselmi si fece promotrice – tra mille difficoltà – della legge 7 del 25 gennaio 1982 proprio in materia di associazioni segrete. La cosiddetta legge Anselmi ha appena 6 articoli contenenti "Norme di attuazione dell’articolo 18 della Costituzione in materia di associazioni segrete e scioglimento dell’associazione denominata Loggia P2". La legge nacque a seguito dello scandalo P2 che vide in azione la superloggia guidata da Licio Gelli.
Il primo articolo afferma che si «considerano associazioni segrete e come tali vietate dall’articolo 18 della Costituzione quelle che, anche all' interno di associazioni palesi, occultando la loro esistenza ovvero tenendo segrete congiuntamente finalità e attività sociali, ovvero rendendo sconosciuti, in tutto o in parte ed anche reciprocamente, i soci, svolgono attività diretta ad interferire sull' esercizio delle funzioni di organi costituzi
onali, di amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici, anche economici, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale».
L’ articolo 2 prevede per i promotori di tali associazioni la pena della reclusione da uno a cinque anni. I semplici partecipanti sono puniti con il carcere fino a due anni. I restanti articoli stabiliscono le procedure e gli effetti di tipo disciplinare in cui incorrono i dipendenti pubblici, civili e militari, che risultino, in base a fondati sospetti, appartenere ad associazioni segrete: tra l’altro è prevista la sospensione dal servizio.
Per Lombardo questa svolta non è una novità.
Il 25 giugno 2013, nell’ambito di un nuovo filone dell’indagine Breakfast, condotto con Francesco Curcio (ecco l’altro pm che sta da vicino e per delega della Dna accompagnando questa svolta), l’Italia assistette a una serie di perquisizioni e sequestri, da Reggio a Milano passando per Genova, a carico di una presunta associazione all’interno della quale, secondo l’accusa, opera una componente di natura segreta.
Lo schema sembra ripetersi anche qui, con «l’esistenza di una struttura criminale (connotata da segretezza) a carattere permanente».
In questo schema che ora riappare in Meta, la presunta associazione – al cui interno c’è una cellula segreta – opera con una ragnatela di rapporti in campo finanziario, politico ed imprenditoriale, di cui finora è emersa la sola punta di un iceberg.
Se anche in questo caso lo schema si ripetesse negli stessi modi, allora prevederebbe che «la gestione delle operazioni politiche ed economiche» consente ad una serie di soggetti di «divenire il terminale di un complesso sistema criminale, in parte di natura occulta, destinato ad acquisire e gestire informazioni riservate ……a consentire il proficuo utilizzo delle notizie riservate al fine di dare concreta attuazione all’ articolato programma criminoso della associazione per delinquere, i cui componenti risultano portatori di interessi specifici tra loro concatenati…».
Per chi da anni scrive che l’evoluzione delle mafie è un mix cancerogeno di personaggi visibili e personaggi invisibili, queste ipotesi dell’accusa non sorprendono per nulla. Casomai sorprenderanno alcuni investigatori, alcuni magistrati, alcuni velinari che – da nord a sud Italia – parlano di “fascinazioni” e "suggestioni". Suggestioni e fascinazioni colpiscono anche alcuni magistrati di Reggio e Roma, oltre la Dia di mezza Italia (già, perche la Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria in questo percorso descritto ha un ruolo fondamentale)? Per carità, tutto resta ancora da provare e non c’è ancora una sentenza neppure di primo grado – e dunque, come mette in calce l’Fbi americana in ogni suo comunicato stampa sono solo accuse e finchè nulla è provato sono tutti innocenti – ma il necessario cambio di prospettiva (oltre 20 anni dopo i tentativi falliti tra Calabria e Sicilia) e la voglia di guardare “oltre” non possono non essere sottolineate e supportate anche da chi, tra i media, ha un ruolo fondamentale.
La strada da battere è questa e le sconfitte (ricordiamo che proprio con l’indagine “Sistemi criminali” la Procura di Palermo ci provò ma dovette poi arrendersi) vanno sempre messe nel conto.
Ora il gioco si fa ancor più duro. Già, perché proprio quella rete “invisibile” di poteri marci che finora ha impedito che si potessero anche solo formulare a Reggio Calabria (come altrove) questi capi di imputazione, farà di tutto per evitare il prosieguo di questa battaglia di civiltà giuridica e sociale. Una strada, magari impensabile e violenta, dovranno tentarla.
Mai come ora la contrapposizione tra la Procura e il direttorio reggino governato secondo l'accusa innanzitutto dai De Stefano – che avrebbero inquinato i rapporti ben oltre Reggio Calabria – è tornata ai massimi livelli.
Per questo, mai come ora, la vita dei pm Lombardo, Curcio e Cafiero De Raho deve poter godere di uno scudo incondizionato dello Stato e della società.