Cari amici, per il terzo giorno sto “spigolando” alcune angolature straordinariamente interessanti dell’operazione Esperanza con la quale la Squadra Mobile di Milano ha smantellato una presunta organizzazione mafiosa (otto gli arrestati) attiva in Lombardia e ritenuta emanazione diretta di Cosa nostra siciliana. Al centro delle indagini della Polizia di Stato, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano (il pm titolare è Marcello Tatangelo), una rete di società cooperative attive nella logistica e nei servizi, che, mediante false fatturazioni e sfruttamento di manodopera, hanno realizzato profitti in nero almeno dal 2007.
Parte di questi profitti è stata poi utilizzata – secondo inquirenti e investigatori – per sostenere, dal punto di vista logistico ed economico, importanti esponenti di Cosa nostra, detenuti o latitanti. Altro denaro è stato invece investito in nuove attività imprenditoriali, infiltrando ulteriormente l’economia lombarda.
Tra i capi dell’organizzazione una figlia e un genero di Vittorio Mangano, morto nel 2000 e ritenuto al vertice del mandamento mafioso di Porta Nuova. Le accuse, a vario titolo, sono di associazione mafiosa, estorsione, false fatturazioni, favoreggiamento e impiego di manodopera clandestina.
Due giorni fa abbiamo visto il matrimonio di interessi tra Cosa nostra e ‘ndrangheta nel nome degli affari (rimando al post in archivio).
Ieri mi sono concentrato sulla reale forza di intimidazione sul territorio milanese nei confronti degli imprenditori costretti – secondo la ricostruzione della Procura – a cedere attività alle presunta associazione mafiosa.
Oggi raccontano una storia che la dice lunga sulle contese invisibili per fare impresa anche a Milano. Ragassi, siamo a Milano, non a Platì!
Leggete leggete. E’ una storia che, secondo il pm Marcello Tatangelo e il gip Stefania Donadeo che l’ha sottoscritta, è indicativa della caratura criminale di Pino Porto e della forza di intimidazione che lui e il suo gruppo esercitano sul territorio lombardo.
E’ una vicenda relativa all’interessamento, nel maggio 2009, di un “amico” del gruppo per acquistare un panificio a Milano, nella zona Ponte Lambro.
Nelle trattative con il proprietario subentrano altri personaggi che appartengono ad un gruppo criminale che ha il controllo (si legge proprio questo a pagina 536 dell’ordinanza, manco fossimo a Scampia!) di quella zona.
L’”amico” dei Porto & C (arrestati) chiede il loro aiuto per risolvere la questione con quel «pericoloso gruppo di concorrenti»!
In definitiva, si legge testualmente nell’ordinanza, «chiede l’intervento di chi rappresenta Cosa nostra sul milanese e temendo che non sia sufficiente la presenza del figlio di un importante esponente di Cosa nostra, chiede anche la presenza più “autorevole” di Pino Porto, certo che basterà la sua semplice presenza per far capire ai suoi concorrenti chi abbia “dietro le spalle».
Straordinario, semplicemente straordinario: questo si che è libero mercato!
Ora, lettori curiosi come delfini, vi chiederete come è andata a finire questa storia.
Un attimo di pazienza, please.
Dalle conversazioni telefoniche investigatori e inquirenti scoprono che alla fine l’”amico”, «manifestando la unitaria volontà del gruppo di appartenenza», sceglie di risolvere in modo pacifico la vertenza, secondo «rigorosi canoni della criminalità più moderna operante a Milano» per la tutela di interessi superiori, comuni e non configgenti.
Insomma: abbandona la pretesa e la scena lasciando spazio all’altro gruppo criminale. E poi dici che la mafia non ha cuore!
Guagliò ora mi fermo. Alla prossima settimana, con nuove imperdibili puntate.
3- to be continued (le precedenti puntate sono state pubblicate il 25e 26 settembre)