Il 21 dicembre 2011, San Pietro Canisio, il governatore della Regione Calabria, Scopelliti Giuseppe, classe ‘66, 21 novembre, San Mauro di Cesena Vescovo, che nel profilo ufficiale della Regione oltre alla laurea in Economia e commercio dipinge per sé il ruolo di editorialista (!!??), a proposito dell’indagine sul caso Fallara nel quale, allora, era solo indagato, dichiarò: «Ho soltanto chiarito la mia posizione rispetto alle vicende contestate evidenziando, così come è scritto dagli stessi ispettori ministeriali, il distinguo tra le competenze, che sono gestionali in capo ai dirigenti, e quelle in capo alla politica…In qualità di sindaco ho dimostrato in maniera chiara la mia estraneità alla vicenda. Sono molto sereno, tranquillissimo…Saranno poi i procuratori che dovranno valutare insieme ai sostituti la mia posizione che a me sembra molto lineare e naturale».
Scopelliti sbatté in faccia a chiunque la distinzione tra sfera politica e sfera gestionale che, del resto, è scandita non da un capriccio ma dal Testo unico degli enti locali (leggerete a breve, sotto). A lui l’indirizzo politico. Ai dirigenti la fase gestionale. La delega – di volta in volta – toccava i dirigenti e dunque la fiducia, di volta in volta (fosse al Comune o accada ora in Regione) è totale. Chiaro come la luce. Lo ha sempre detto, lo ha solo ribadito
Ergo: la responsabilità, nel male è solo loro, dei dirigenti..
Nel bene – viene automatico pensare – la gloria è solo sua.
10 MARZO: SAN MACARIO
Il 10 marzo 2012, San Macario, Vescovo di Gerusalemme, all’indomani della notifica dell’avviso di conclusione indagini da parte della Procura di Reggio Calabria in relazione all’inchiesta sulle somme erogate all’ex dirigente dell’Ufficio finanze del Comune di Reggio, Orsola Fallara, morta nel dicembre del 2010 ingerendo acido a sorsate anziché vomitarlo al primo assaggio, per la sua attività di componente della Commissione tributaria, lo stesso Scopelliti – indagato per falso ideologico e abuso d’ufficio in qualità di ex sindaco, parlando con i giornalisti a margine del congresso del Pdl a Cosenza – tirò fuori un editoriale al volo che l’Ansa mise in rete nel primo pomeriggio: «Mi sembra di capire – disse l’erede di Ciccio Franco – che l’accusa si fonda sul fatto che non potevo non sapere. Non ci sono altri elementi. Gli stessi ispettori hanno chiarito la differenza tra la competenza politica e quella gestionale. C’é un giudizio sereno che ci consentirà di riaffermare quelle che sono le responsabilità che non possono essere addebitate alla politica quando questa non ha competenza né ruolo».
Repetita, dunque, iuvant.
20 LUGLIO: SANT’APPOLLINARE
Il 20 luglio 2012, Sant’Appolinare di Ravenna, l’inventore del modello Reggio e – visto che il primo era talmente ben riuscito da meritare il bis – anche del modello Calabria, sarà rinviato a giudizio dal Gup di Reggio Antonio Laganà.
Così è se vi pare e il compito dell’accusa – dimostrare il filo diretto sulle scelte e la consapevolezza degli effetti, responsabilità incluse – è davvero arduo.
27 MAGGIO: SANT’AGOSTINO
Talmente arduo che il 27 maggio 2013, Sant’Agostino di Canterbury, nell’udienza che lo vide protagonista di un grande show mediatico locale, non solo ribadì questi concetti ma – uscendo trionfante dalla singolar tenzone – sbattè in faccia alla pm Sara Ombra un’imbarazzante pesce: «Lei non conosce le carte» che se lo avesse rivolto a me delle due l’una: o avremmo preso la residenza in Tribunale per spulciare e analizzare le carte una per una, rigo per rigo, a costo di invecchiarci oppure mi sarei dimesso seduta stante lasciando ad altri il compito di guidare la pubblica accusa.
ILLO TEMPORE
Mentre l’eco di tutto questo non si è ancora spento, irrompe la sentenza con la quale, in primo grado, la prima sezione civile del Tribunale di Reggio Calabria, presidente Rodolfo Palermo (con lui in collegio anche Giulia Messina e Salvatore Pugliese), il 19 luglio, San Simmaco Papa (giorno e mese che io personalmente ricorso per la strage di Via D’Amelio a Palermo nel ’92) , ha dichiarato l’ex sindaco di Reggio Arena Demetrio, Curatola Walter, Eraclini Giuseppe, Martorano Giuseppe, Morisani Pasquale, Plutino Giuseppe, Tuccio Luigi e Vecchio Sebastiano, incandidabili alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento del Comune di Reggio Calabria.
Ebbene – leggerete – questa sentenza scardina alcune certezze sull’osservanza nel Comune di Reggio Calabria del principio di distinzione tra politica e amministrazione. Non da ieri…Da illo tempore
Seguitemi passo passo.
ARRIVA LA SENTENZA: CONTINUITA’
Cosa ti combinano quei bricconi del collegio giudicante? Quei comunisti (va sempre di moda per pm e giudici ed è un appellativo che si porta con tutto, anche d’estate) che vanno a escogitare? Quella cricca a propria insaputa (stiano sereni i giudici, lo siamo anche noi giornalisti cialtroni) che ti va a scrivere?
Ma non ti va a ritirare fuori la continuità nell’azione amministrativa già messa in luce dalla relazione ministeriale (pagina 6) prodromica allo scioglimento per contiguità mafiosa?
«Giova, peraltro, evidenziare come la compagine amministrativa, eletta all'esito delle consultazioni del maggio 2011 – si legge a pagina 14 della sentenza – si sia posta su di una linea di continuità rispetto all'amministrazione che ha precedentemente governato la città.
Ed invero, l'avvicendamento tra le amministrazioni che hanno assicurato il governo di Reggio Calabria non ha impresso un'inversione di tendenza nella conduzione del comune, che anzi si contraddistingue per una concreta continuità di azione; in tal senso, è particolarmente significativo che su nove assessori ben quattro erano componenti delle precedenti giunte; inoltre, due degli attuali consiglieri facevano parte della compagine che ha amministrato l'ente dal 2007; appare, inoltre, degna di nota la circostanza che all'interno dell'attuale compagine, siano presenti diversi amministratori (ben sei su nove) già eletti nelle consultazioni del 2002 ovvero del 2007; significativo, infine, risulta il fatto che il sopra citato consigliere comunale, destinatario della misura restrittiva della libertà personale eseguita il 21 dicembre 2011, ha rivestito la carica di consigliere o di assessore dell'ente nelle ultime tre consiliature».
Come vedete
quei tre bricconi comunisti del collegio che cosa dicono? Cambia la musica ma i suonatori sono sempre gli stessi! Scopelliti Giuseppe e Arena Demetrio due volti della stessa medaglia! Incredibile!
Ma andiamo avanti.
TUEL: ARTICOLO 107
I tre giudici però non si accontentano di “copiare” (si badi bene: non da giornalisti notoriamente cialtroni ma nientepopodimenoche da prefetti e governo!) e vanno a fondo in una delle criticità evidenziate all’interno dell’amministrazione comunale e che maggiormente è lo specchio della continuità fra la precedente e la nuova gestione apicale: «l’assetto organizzativo degli uffici e servizi comunali». Parola di giovane marmotta: il grassetto (o neretto) è nell’originale!
La norma di riferimento è l’articolo 107 del Testo unico degli enti locali, il quale (ricordate che ne abbiamo fatto cenno sopra?) al primo comma stabilisce che «spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti. Questi si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico- amministrativo spettano all'organo di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo».
La norma si inserisce all’interno del fondamentale principio di ordine generale di separazione fra politica ed amministrazione.
Stabilendo una cesura netta fra i compiti degli organi politici e di quelli amministrativi, il principio prevede che ai primi sia demandato il potere di stabilire l’imprinting della gestione dell’ente pubblico, attraverso l’individuazione di obiettivi, programmi e conseguente monitoraggio del raggiungimento dei risultati ai quali deve tendere la dirigenza amministrativa.
Quest’ultima, provvede a gestire concretamente l’attività indirizzata dal sindaco, rimanendole demandati, come dice il secondo comma dell’articolo 107, «tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale, di cui rispettivamente agli articoli 97 e 108».
VIOLAZIONE DAL 1998
Da pagina 67 della sentenza crolla un mondo di certezze (altrui) e si riannoda la storia di Reggio Calabria con un filo di continuità.
Orbene, in violazione dell’articolo 107 del Tuel e, ancor prima, del principio di separazione fra politica ed amministrazione, l’articolo 17 del “Regolamento sull’ordinamento degli Uffici e dei Servizi”, approvato dalla Giunta comunale di Reggio Calabria con delibera n. 914/1998 stabiliva che «il sindaco, su proposta dell’assessore con delega all'organizzazione ed alle risorse umane e sentito il dirigente del settore, attribuiva direttamente gli incarichi di responsabile di unità organizzativa di II e III livello a dipendenti professionalmente idonei, inquadrati, di norma, nella categoria "D" dell'ordinamento professionale di comparto».
La norma – fin dal 1998 – violava pertanto apertamente il menzionato principio di separazione fra politica ed amministrazione, stabilendo un pervasivo – ed illegittimo, dicono i giudici in primo grado – controllo diretto dell’organo politico sulla dirigenza amministrativa.
E chi era sindaco nel 1998? Un, due e tre. Tempo scaduto: Italo Falcomatà (Democratici di sinistra), primo cittadino dal 23 novembre 1993 all’11 dicembre 2001. La Giunta era di centrosinistra.
IN RIGA! MA MI FACCIA IL PIACERE!
Con tutta la calma del mondo – del resto: che fretta c’era? – alla luce di questa violazione, il ministero dell’Interno nel giugno 2010 (!!) inviava il parere n. 15700-5R con il quale invitava l’amministrazione comunale a conformarsi alla legge e, pertanto, ad eliminare l’indebita ingerenza del sindaco nella nomina dei responsabili degli uffici e dei servizi.
Nonostante l’esplicito parere di censura del ministero dell’Interno, la Giunta comunale solo alla fine dell’anno 2011 (precisamente il 13.12.2011, ossia sette mesi dopo l’insediamento di Arena Demetrio) prendeva provvedimenti in apparente conformità con quanto intimato, ma in realtà – scrivono quei bolscevichi dei giudici – perpetrando la violazione di legge, di principi costituzionali e prescrizioni del ministero dell’Interno inserendo un anomalo parere obbligatorio dell’organo politico nelle attribuzioni delle responsabilità di uffici e servizi.
La Giunta Comunale, il 13 dicembre 2011, con la deliberazione comunale n. 275, ha infatti previsto all’articolo 17, II comma, che «ciascun dirigente, sentito il sindaco e l’assessore con delega all’organizzazione ed alle risorse umane, attribuisce gli incarichi di responsabili di unità organizzative di 11 e III livello a dipendenti in servizio presso il rispettivo settore, scelti tra quelli professionalmente idonei, inquadrati di norma nella categoria D di cui al nuovo ordinamento professionale di comparto».
DAL CILINDRO ESCE…
E in questo ragionamento del collegio (non dei giornalisti cialtroni, stranamente, ma possiamo sempre rimediare) ti (ri)esce un altro nome che proprio non ti aspetti!
«La piena continuità della nuova con la precedente gestione comunale – si legge da pagina 67 – si concretizza appieno nel caso di specie: nella “gestione Scopelliti” la diretta nomina politica aveva infatti evidenziato “l'interferenza del vertice politico sulle attività ricadenti nelle competenze della dirigenza amministrativa, con l'ulteriore conseguenza che i dirigenti siano stati di fatto delegittimati in ordine alle proprie competenze e responsabilità mentre taluni funzionari e semplici dipendenti hanno assunto un "peso" particolare e rilevante sullo svolgimento delle attività amministrative dell'ente».
Del resto lo si leggeva anche a pagina 38 della Relazione della Commissione d’accesso, ma questo è un dettaglio da “cricca”.
Nella vigenza del mandato di Arena, il ritardo della Giunta nel recepimento della nota del ministero dell’Interno (un anno e sei mesi dopo la sua emanazione, di cui sei mesi imputabili ad Arena), qualifica ulteriormente l’agire amministrativo in considerazione del sostanziale mancato adeguamento a quanto prescritto dal ministero ma, soprattutto, imposto dalla legge in ossequio al principio di separazione fra politica ed amministrazione.
L’obbligo di consultazione del potere politico nelle attribuzioni delle responsabilità di uffici e di servizi ha di fatto comportato secondo i giudici di primo grado «una immo
tivata prerogativa a formulare le proprie considerazioni in ordine all'opportunità di nominare un dato soggetto quale responsabile di ufficio o di servizio» e un «potere di interferenza nelle competenze della struttura amministrativa [che, nota dei giudici] si pone in netto contrasto con la previsione normativa di riferimento» (si veda anche pagina 38 della Relazione della commissione d’accesso).
CONCLUSIONI
Se questa circostanza denuncia un chiaro sviamento della gestione della cosa pubblica dai criteri di correttezza, buon andamento ed efficienza, affermano i giudici (ma noi giornalisti cialtroni allora non serviamo proprio a nulla se fanno tutto da soli!) sempre a pagina 67, «acquista una luce particolare sol che si consideri che il parere stabilito dalla Giunta Arena doveva esser richiesto obbligatoriamente al Sindaco e all’assessore con delega all’organizzazione e alle risorse umane e che, in quest’ultimo settore, sono risultati assunti 40 dipendenti con precedenti penali per reati associativi di ‘ndrangheta e 5 aventi rapporti di frequentazione e/o parentela con elementi della criminalità organizzata» (si vedano anche pagine 39-51 della Relazione della commissione d’accesso).
Alla luce di queste e tutte le altre considerazioni svolte o condivise nel tempo non solo dai giudici di un Tribunale civile ma anche da prefetti, Governo e Presidente della Repubblica, non ci si può meravigliare nel leggere a pagina 109 che «L’ente comunale è risultato così non solo vulnerabile rispetto al potere delle ‘ndrine locali, ma di fatto a queste permeabile, generando un pericoloso vulnus nel doveroso rigore granitico della legalità amministrativa».
3 – to be continued (le precedenti puntate sono state pubblicate il 12 e il 14 agosto)
r.galullo@ilsole24ore.com