Per tre volte in Commissione parlamentare antimafia (una volta come vicepresidente), una vita blindata da 10 anni per le sue battaglie antindrangheta, minacciata l’ultima volta a gennaio di quest’anno attraverso le parole intercettate nel carcere di Tolmezzo a Pantaleone Mancuso («Stiamo lavorando per toglierla di mezzo», pronunciate dopo un’interrogazione parlamentare presentata sul provvedimento del Tribunale di Vibo Valentia che dispose il trasferimento in ospedale del presunto boss), ad Angela Napoli è stata tolta la scorta che finora l’ha protetta.
Quando la Questura – a ore – le comunicherà ufficialmente la notizia che le è stata anticipata telefonicamente ieri sera dalla Prefettura, via la macchina blindata, via l’autista e l’uomo di tutela e largo al fai-da te.
Il livello di vigilanza che lo Stato potrà assicurargli è infatti il 4: vale a dire che la Napoli ci deve mettere la propria macchina, un suo autista personale e il Viminale ci metterà un uomo a tutela.
A raccontare quanto è accaduto è proprio lei, di ritorno da una nuova tappa della sua politica in giro per la Calabria (ieri era a Gioia Tauro), che continua a svolgere con la sua associazione Risveglio Ideale, nonostante non sia più stata neppure candidata al Parlamento. «Ieri sera mi ha telefonato il prefetto di Reggio Calabria Vittorio Piscitelli – racconta Napoli con la solita calma – e ha fatto riferimento ad una circolare dell’ex ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri che obbliga a rivedere lo status delle persone protette e mi ha comunicato, di conseguenza, le novità».
Napoli non si è comunque persa d’animo e ha cominciato a cercare qualcuno che voglia fargli da autista. Risposte: zero. «Nessuno mi vuole fare da autista – dice – perchè hanno giustamente paura. A questo punto rinuncerò a quel poco di scorta che mi verrebbe attribuita perché un autista non lo trovo e il poliziotto che mi verrebbe assegnato a tutela ovviamente non può guidare anche la macchina, oltretutto privata. Mi dispiace ma dirò allo Stato che si deve assumere fino in fondo la propria responsabilità. Non potrò più muovermi in alcun modo».
C’è da chiedersi se la decisione sia frutto di battaglie intestine alla sua ex coalizione politica di centro destra (militava nel Fli di Gianfranco Fini dal quale poi uscì polemicamente). «Qualcuno mi fa notare –risponde Napoli – che pago quel che ho detto, senza guardare in faccia a nessuno, soprattutto da dopo lo scioglimento per contiguità mafiose del Comune, di centro destra, di Reggio Calabria. Pago tutto, compreso il mio ultimo intervento a Reggio Calabria il 2 maggio in cui sono ritornata su quel tema e ho come sempre denunciato i sistemi criminali che governano questa regione. Per fare nomi e cognomi non c’è bisogno di essere parlamentari ma mi domando: come può lo Stato ritenere che non ci sia più bisogno di tutelarmi o farlo in maniera tale che io sia costretta a rinunciare? L’unica cosa che possono fare per non farmi muovere è togliermi la scorta. L’hanno fatto e se ne assumeranno la responsabilità ma io non mollerò questa battaglia di civiltà politica anche perché voglio chiarire che la scorta non mi era stata assegnata come parlamentare ma come soggetto ad alto rischio. Vuole che le racconti l’ultima? Il prefetto mi ha detto: “se dovesse succedere qualcosa rivedremo la decisione”. E cosa aspettano? Che mi ammazzino per ridarmi la scorta?».
C’è da chiedersi che ne sarà delle battaglie di una delle pochi voci fuori dal coro in una Calabria autodistruttiva e, dunque, sempre più arretrata.
r.galullo@ilsole24ore.com