Ho aspettato giorni prima di scrivere alcune riflessioni sul maledetto attentato con il quale Luigi Preiti, disoccupato calabrese di Rosarno, domenica scorsa ha gravemente ferito due Carabinieri di stanza a Palazzo Chigi, oltre a ferire una donna.
Sarò sincero e sarò (forse) deviato in quel che penso ma dietro ciò che è stato c'è molto da analizzare (al netto dell'indubitabile dramma socio-ecomico alla base del gesto che è già stato descritto nei giorni, a partire dall'editoriale del direttore del Sole-24 Ore e da cui bisogna comunque partire per analizzare l'evento).
Vedrete (mi sbaglierò e mi auguro di sbagliarmi) che se non sarà attentamente seguito in carcere, Preiti sarà esposto ad un altissimo rischio di morte.
E già che ci siamo partiamo proprio da qui e dalle parole che Preiti ha pronunciato subito dopo essere stato messo a faccia in giù dai colleghi dei due Carabinieri feriti: «Ero io che volevo morire».
Gli avvocati di Preiti, che ieri hanno chiesto al Gip di «valutare la compatibilità del regime carcerario con lo stato di alterazione in cui si trova Preiti», hanno dichiarato che, quando è stato immobilizzato, Preiti gli ha domandato: «Perché non mi avete sparato? », precisando che Preiti si attendeva «che la sua azione dimostrativa culminasse con la sua morte».
Devo essere sincero? Credo a questa frase che suona come una rassicurazione a se stesso. Ma soprattutto al mondo esterno. Eccezion fatta – ovviamente – per i suoi familiari stretti che, a questa affermazione, avranno sentito salire un colpo al cuore.
Io credo che Preiti volesse e – soprattutto – dovesse morire. La permanenza in vita è un incidente di percorso che lui (solo lui?) non aveva messo nel conto o, forse, lo aveva messo in conto come rischio residuale ma rimediabile.
Rimediabile immediatamente con quella frase che suona – ripeto: sarò deviato – come una garanzia per se stesso e per il mondo esterno, così come suona a garanzia ciò che avrebbe ulteriormente precisato nelle scorse ore e cioè che si sarebbe voluto suicidare sabato sera in hotel. Ma per suicidarsi bisogna salire a Roma?
Preiti aveva messo nel conto di morire perché – tanti o pochi che fossero – prevedeva che gli agenti di Polizia e i Carabinieri, al fuoco avrebbero risposto con il fuoco. Tanto fuoco, lui sperava (lo avrebbe dichiarato). Tanto da ucciderlo e chiudere una partita che ora, invece, si complica.
LA PARTITA SI COMPLICA
A dire il vero, complicata, è apparsa da un nanosecondo dopo in cui Preiti è rimasto in vita.
Da quel momento, infatti, il nastro è stato riavvolto e i dubbi su alcuni punti da chiarire, anziché diminuire, aumentano. In questo articolo – senza giungere ad alcuna conclusione fantasiosa o mirabolante da 007 – li metto in fila anche perchè in questi giorni i colleghi ne hanno già messi molti in evidenza (a partire dai colleghi del Corriere della Sera, della Repubblica, ad alcuni servizi di Mediaset). Non mi invento nulla, dunque, ma con voi, rifletto.
Partiamo dalla permanenza a Rosarno. Ci sia stato un anno, due anni (come ha dichiarato) o 24 ore – credetemi – non cambia nulla. In quel paese – dove la ‘ndrangheta controlla anche i singoli respiri – non c’è una mosca che possa volare senza che chi deve sapere sappia. Anzi: deve sapere tutto e di tutti.
PIGNATONE GIUSEPPE
Il 17 febbraio 2012 (la fonte: Agi) l’ex capo della Procura di Reggio Calabria, Pignatone Giuseppe, dichiarò a Palermo, intervenendo al convegno “Il giudice, il processo, realtà giudiziaria e nuovo codice antimafia”: «Esiste in Calabria una densità criminale che non ha paragoni nemmeno con la Sicilia. A Rosarno, una cittadina con 15.000 abitanti, ci saranno non meno di 250 affiliati e se ne affacciano non meno di 7 ogni settimana. Se a ciò aggiungiamo parenti, amici e conoscenti, significa che la ‘ndrangheta controlla la vita cittadina con un metodo quasi democratico perché ha la maggioranza».
L’avessi detta io questa cosa su Rosarno e sui suoi abitanti (che in vero ho scritto e detto mille volte, a partire dal dicembre 2010, mese e anno in cui seguii per il Sole-24 Ore la rivolta dei neri “schiavizzati” negli agrumeti della Piana) sarei stato giudicato come il solito giornalista del Nord (anche se sono romano!) che spara a raffica sulla Calabria. Visto che l’ha detto (e in verità anche ridetto) l’ex capo della Procura di Reggio Calabria, qualche attimo di riflessione bisogna considerarlo e, di grazia, applicarlo al caso di specie.
E applicarlo al caso di specie vuol dire che tanto più prolungata e stanziale è la permanenza a Rosarno di un “forestiero” (per quanto originario del luogo), tanto più sicura e oserei dire quasi matematica è la certezza che ogni suo passo sia seguito e controllato. «…la‘ndrangheta controlla la vita cittadina…»: parole e musica di Pignatone Giuseppe, ripeto, non le mie. Anche se io le ho dette e scritte prima di lui (scripta manent, verba volant).
Le ho scritte e le ho dette perché prima le ho vissute: nella mia permanenza di giorni e giorni a Rosarno mi muovevo da solo per seguire la rivolta dei neri e non c’è stato un momento in cui non sia stato seguito io come gli altri giornalisti presenti: dagli incontri con i neri nelle baraccopoli alle sere e notti in cui ho seguito i giovani rosarnesi armati di bastoni che facevano le ronde per la cittadina che – bombardata com è di buchi per le strade e nei palazzi mai finiti – sembra Beirut. Persino al Comune – dove andavo ad incontrare la terna commissariale – mi aspettavano e mi davano il benvenuto. Sono stato persino scortato fino a che non sono entrato in un taxi e l’ho scritto, vivaddio, nel post che chiunque può reperire nell’archivio di questo blog il 10 gennaio 2010!
Ho anche fotografato a loro insaputa – e ho ancora con me le immagini – le persone che si fermavano con la macchina o per strada con una scusa banalissima per chiedermi chi ero, cosa facessi, perché fossi a Rosarno. E dire che il motivo per cui fossi li era evidente: la rivolta dei neri e il fastidio che avevano procurato alle cosche Pesce e Bellocco che come tutte le cosche detestano i riflettori.
Vi sembra dunque possibile che la vita di un rosarnese, seppur di “ritorno” – con problemi di lavoro, familiari, sembra di gioco, forse di cocaina visto che nell’ultimo periodo ne avrebbe fatto uso, così come di ansiolitici – possa sfuggire alle cosche che tutto controllano? La risposta (per me) è: no. Assolutamente no.
Il disagio, a Rosarno, è un humus favorevolissimo ma che deve (ripeto: deve) essere tenuto costantemente sotto controllo e/o canalizzato a uso e consumo dei padroni e dei padrini. Nessuno può
alzare la testa o dare in escandescenza: le mafie non tollerano rumori ma predicano silenzio, mimetismo e omertà assolute.
Un uomo del genere – che, a quanto raccontano le vertiginose cronache di questi giorni e di queste ore a Rosarno ha vissuto senza dare apparentemente nell’occhio anche se vorrei capire chi gli forniva eventualmente la cocaina – poteva sfuggire ai radar dei padroni e dei padrini? Sicuramente no. Non è un giudizio né la volontà di arrivare a strampalate conclusioni, anzi il contrario: è la logica conseguenza di quanto è dato a vedere in loco, certificato da un capo di una Procura antimafia.
LA PARTENZA DA GIOIA TAURO: PERCHE’?
Preiti è partito dalla stazione di Gioia Tauro. Il TG5 ha mostrato le immagini della telecamera della stazione di Gioia che lo riprendono mentre sabato scorso si avviava verso l’ingresso della stessa.
La scelta di Gioia Tauro per la partenza è anomala.
Ho controllato i collegamenti tra Rosarno (dove abitava) e Roma, dove si è fermato a dormire.
C’è un treno che, anche il sabato, parte alle 8.43 (comodo dunque) da Rosarno e arriva a Roma Termini alle 15.21. Sei ore e 38 minuti con un Intercity a partire da 53.50 euro.
Troppo presto? Bene ce n’è uno che parte sempre da Rosarno alle 9.42 e arriva nel cuore di Roma alle 15.15. Ci mette solo 5 ore e 33 minuti e costa 70.50 euro. E di diretti – si badi bene – ce ne sono molti nell’arco della giornata.
E invece no. Cosa fa Preiti? Parte da Gioia Tauro. Volutamente. Una scelta. Non può essere altrimenti. Una scelta condivisa? Con chi?
Preiti parte dunque da Gioia Tauro alle 9.35 di sabato (e sappiano che è partito la mattina anche perché i genitori lo attendevano per pranzo), scende (secondo tabella di marcia consultabile sul sito www.trenitalia.com) a Napoli alle 13.15 da dove riparte alle 14 alla volta di Roma dove giunge alle 15.10 al prezzo base di 92 euro anziché alla tariffa minima con la soluzione di un treno diretto (Preiti è uno squattrinato per sua ammissione e non certo per mia consapevolezza) che avrebbe potuto prendere a Rosarno, comodamente sotto casa, oltretutto senza cambiare a Napoli. O forse a Napoli doveva fermarsi?
Ah, che sbadato: dimenticavo un particolare. La stazione di Gioia Tauro è a 6, dico sei minuti di distanza da quella di Rosarno che si coprono con un “regionale” al costo di 1.05 euro. Soldi che equivalgono più o meno al consumo di benzina per coprire la stessa distanza.
Preiti doveva partire dalla stazione ferroviaria di Gioia Tauro e da quelle videocamere – non da quelle di Rosarno – doveva essere ripreso. In quei 10 minuti che in macchina ha percorso e che potevano essere tranquillamente evitati, potrebbe esserci stato (il condizionale è d’obbligo) l’incontro di chi gli ha fornito la borsa che con se teneva? Certo, quella borsa potrebbe averla anche attrezzata prima e nascosta ai genitori, che attestano che quando ha varcato l’uscio di casa, con sé non l’aveva.
Starà agli investigatori accertarlo, fatto sta che in quella borsa sarebbe stata trovata una cartina di Roma (utilissima per chi a Roma non è di casa) e una punta di trapano (utilissima per chi volesse sviare e confondere le acque).
LA PISTOLA
Solo un pazzo o uno squilibrato – e sappiamo per ammissione dei familiari e dei congiunti, anche degli amici, che Preiti pazzo non è tanto che persino la Procura di Roma ha escluso la necessità di una perizia psichiatrica – punzonerebbe la matricola di una pistola il giorno stesso dell’attentato e si porterebbe con sé, così, per ricordo!, la punta del trapano che ha abraso la matricola. Voi lo fareste?
Chiunque – e dico: chiunque – abbia bazzicato Rosarno anche solo per raccontarla (come io ho fatto più volte) sa che trovare lì una pistola è facile come bere un bicchier d’acqua. A Rosarno ci sono più armi che abitanti.
La scoperta di depositi di armi – spero che anche in questo caso si colga il paradosso – sono più frequenti dei gol di Zlatan Ibrahimovich e gli arresti per detenzione illegittima o abusiva di armi più frequenti degli assist di Francesco Totti. E uno – uno chiunque – per prendere un’arma che a Rosarno schizza pure dai tombini, prende e parte (quattro anni fa sembra!) e va a comprarla al mercato nero ad Alessandria, a Genova o in qualunque altro posto voi vogliate? A voi giudicare: io sto mettendo in fila gli elementi di dubbio. Tanti. Troppi. Al netto – ripeto – del dramma socio/economico che viveva e vive quest'uomo.
Vi siete domandati poi che razza pistola è quella che ha usato? Ve lo dico io (anche se ovviamente lo avrete già letto su tutti i giornali o sentito sui media televisivi e radiofonici). Una Beretta calibro 7.65 che ha meno probabilità di incepparsi della carabina di un tiratore alle Olimpiadi! Non per altro è l’arma preferita da molti killer di ‘ndrangheta. E chiarisco subito che – ovviamente e questo lo capirebbero anche i lettori più maliziosi ma non forse gli imbecilli la cui mamma è sempre incinta – Preiti NON è un killer di ‘ndrangheta. Non lo è. Sottolineo e risottolineo il passaggio dell’arma e di chi ne fa generalmente uso solo perché è fondamentale: è un’arma certa, sicura, garantita. Fatta apposta per colpire. Un’arma che a Rosarno e nella Piana di Gioia è di casa. Un souvenir per i turisti (ari-paraosso, che utilizzo per estremizzare i concetti e renderli più comprensibili).
IL TELEFONO CELLULARE
Un altro elemento fa capire che la pianificazione dell’attentato è stata meticolosa e l'uomo potrebbe – a mio modesto avviso – essere stato magari aiutato.
Si scopre che la sim usata da Preiti sarebbe stata acquistata (e dunque intestata) ad un extracomunitario. Spiace ripetermi anche in questo caso: chiunque frequenti Rosarno, la Piana di Gioia Tauro ma il discorso vale per tutte le aree “calde” del Sud sa che l’intestazione fittizia di schede per cellulari è un trucco vecchio quanto il mondo utilizzato da chi vuole comunicare (raggiungere ed essere raggiunto) da persone che non devono e non possono essere visibili. Quegli stessi “invisibili” – sia ben chiaro – che a Rosarno, nella Piana e in tutte le aree “caldissime” del Sud gestiscono il traffico di sim intestate a extracomunitari e che stabiliscono dunque “se”, “quando”, “a chi”, “per quale motivo” e “per quanto tempo” darle. In altri termini: senza autorizzazione e senza scopo è praticamente impossibile (o altamente, altamente rischioso) far registrare e poi utilizzare una sim intestata a persona diversa dal titolare (quasi sempre extracomunitario).
Non è secondario il fatto che i genitori abbiano inutilmente cercato di mettersi i contatto con Preiti visto che a casa per pranzo non era tornato.
E non è dunque da escludere – aggiungo io – che di cellulari
“diversamente intestati” ne avesse più di uno.
L’ARRIVO A ROMA
Anche questo aspetto – non sottolineato abbastanza – è atipico. Anziché partire il giorno stesso dell’attentato per Roma – la domenica c’è un treno che da Rosarno parte alle 6.45, arriva a Lamezia alle 7.18 da dove riparte alle 7.56 alla volta di Roma dove giunge alle 11.55 al costo base di 79.50 euro e dunque con orari compatibili con il momento in cui ha tentato il duplice omicidio e in ogni caso con notevoli risparmi di denaro, che al nostro stava giustamente a cuore viste le sue misere finanze – Preiti parte il giorno prima e va in un anonimo hotel della stazione, vai a capire tu se scelto a caso o suggerito.
Da lì, il giorno dopo, si veste con la cravatta della festa e parte per Palazzo Chigi dove sa che i politici non arriveranno prima delle 13/14 e, oltretutto, verosimilmente protetti da un cordone di Forze dell’Ordine (al netto dei “papaveri” che arrivano nella macchina blindata).
Il nostro arriva sulla piazza di buon’ora e a un certo punto, innervosito per l’attesa, spara contro due Carabinieri perché, dice, capisce che con il montaggio delle inferriate non avrebbe potuto raggiungere facilmente il suo vero (!) obiettivo: i politici. E cosa credeva di trovare un tappeto rosso che lo portava dentro la stanza del premier?
E come spara? Braccio teso e…pum…pum…pum da distanza ravvicinatissima (perché la Beretta 7.65 è precisa ma non precisissima) contro il primo Carabiniere che è dotato di giubbotto antiproiettile. Poi mira al secondo che viene colpito alle gambe. Poi viene fermato.
Però che mira! Ma per uccidere o per ferire? Fatto sta che non sarà un professionista ma è avvezzo allo sparo. Un’ora, 10 ore, un giorno, una settimana di allenamento? Chi lo sa, fatto sta che questo “piccolo” particolare ci riporta a Rosarno e nella Piana di Gioia Tauro perché – a meno che Preiti non potesse permettersi un poligono di tiro a pagamento che da quelle parti peraltro non esiste – è nelle campagne di Rosarno e zone vicine che forse avrà sparato per allenarsi. Contro una pecora, una bottiglia o un fiore, ma si sarà allenato, vivaddio! E vi pare possibile che – se questa ipotesi trovasse riscontro – da quelle parti uno possa allenarsi al tiro-a-segno senza che nessuno lo noti e lo sappia? E vi pare possibile che da quelle parti qualcuno come Preiti spari (oltretutto uno come lui non collegato direttamente ad ambienti mafiosi) e che quegli spari (che chi deve sentire sente, siatene certi) passino inosservati e non siano quantomeno passati ai raggi X? Nessuno che si chiede, in un paese dove padroni e padrini controllano anche il polline primaverile, a cosa servano quegli spari e perché quella persona spari?
Uno dei tanti misteri di Rosarno e della Piana se (mai) sarà possibile accertare che lì si è esercitato a sparare.
SPARI INDIRIZZATI E MIRATI
Ma ritorniamo a Roma e veniamo a quella che appare a mio modesto avviso – e fin dal primo secondo in cui ho appreso della notizia – una tra le incongruenze maggiori.
Preiti ha (avrebbe) dichiarato che «…tutto era previsto, tutto…». E qui, come ho già detto, sono d’accordo con lui: tutto era previsto, tranne la mancata morte che comunque era stata messa nel conto perchè rimediabile con un silenzio granitico.
Tra le cose previste – a modesto avviso di chi scrive – c’era anche l’attentato ai Carabinieri e non ai politici contro i quali Preiti avrebbe voluto sfogare la sua rabbia. «Un paio di giorni addietro ricordo che Luigi era con noi in casa a guardare la televisione – ha dichiarato la madre nel primo interrogatorio con i Carabinieri – ed in un frangente ebbe un momento di sfogo, per il lavoro che mancava e addebitava tale stato di cose al nostro attuale governo che a suo dire non faceva nulla per dare delle certezze, intese come un futuro. Lui si lamentava e criticava parecchio i politici, accusandoli di non volersi mettere d’accordo e che se avessero continuato così, non si sarebbe mai riuscito a formare un governo e mentre questi continuavano a perdere tempo, intanto in Italia un sacco di persone senza lavoro si stavano uccidendo».
Badate bene a due dettagli: 1) il bersaglio delle lamentele con la famiglia erano i politici; 2) quei politici che «non si mettevano d’accordo».
Voleva colpire i politici? Poteva farlo.
Leggete qui il lancio di agenzia dell’Agi delle 22.48: «(AGI) – Roma, 28 apr. – Enrico Letta ha giurato questa mattina come Presidente del Consiglio. Il premier ha ascoltato in piedi la lettura del verbale da parte del segretario generale della Presidenza della Repubblica Donato Marra, quindi ha letto la formula di rito. Arrivo low profile per i ministri del governo di Enrico Letta al Quirinale dove alle 11,30 giureranno sulla Costituzione davanti al Capo dello Stato. A piedi arrivano il democratico Andrea Orlando, l'Udc Giampiero D'Alia ed anche Emma Bonino, scesa dal taxi, in Piazza del Quirinale e' stata accolta dall'applauso della folla. Si presenta al Colle il nuovo ministro della Giustizia, il prefetto Anna Maria Cancellieri. Con lei anche le nipotine. In taxi, la neo ministro per l'Integrazione Cecile Kyenge. Oggi il Quirinale, nonostante il giuramento del nuovo Esecutivo, e' rimasto aperto al pubblico che in fila attende di visitare il palazzo. A piedi e tra gli applausi e' arrivata anche Josefa Idem, accompagnata dal marito e da un figlio. Con tutta la sua numerosa tribù, nove figli, e' entrato al Quirinale anche Graziano Delrio».
Avete letto vero? Arrivo “low profile”, cioè di basso profilo al Quirinale, scrive il collega dell’Agi. Alcuni ministri sono arrivati perfino a piedi con folla plaudente e il ministro Cancellieri è arrivata anche con i nipotini. Cuore di nonna! Di più: porte aperte al Quirinale.
E quale migliore occasione per colpire i politici che filare dritti dritti al Quirinale dove fare fuoco? E si badi bene: già il giorno prima alcuni media avevano lanciato la notizia che alcuni ministri sarebbero arrivati senza fanfare e scorte tanto al Quirinale quanto, al termine della cerimonia, a Palazzo Chigi. Avesse anche voluto colpirli davanti alla sede del Governo poteva attenderli al varco confuso tra la folla nonostante le transenne che, ovviamente, sarebbero state montate. Invece non lo ha fatto.
La verità – a mio modesto avviso – è che voleva colpire le Forze dell’Ordine dalle quali sperare poi di essere ucciso. E voleva colpirle ovviamente quel giorno – il giorno del giuramento del nuovo Governo – e lì davanti, di fronte alla sede dell’Esecutivo nascente. La forma che diventa contenuto.
Ma veniamo, di conseguenza, all’altro dettaglio che dettaglio, per me, non è. Preiti dichiara alla madre che i politici «non si mettevano d’accordo».
Ma a lui che gliene fregava che non si mettessero d’
accordo? Ah già, per il lavoro e più tempo si perde per la creazione di un Governo e più tardi si aggredisce la crisi. Già…E ovviamente se i politici si fossero messi d’accordo, magicamente gli sarebbe arrivato un lavoro.
E ora – pensateci un attimo – che il suo presunto intento di uccidere non è riuscito, pensate che il figlio, al quale pure ha detto di pensare in continuazione perché non poteva permettersi di mantenerlo, se la passerà meglio?
LA STABILITA’ POLITICA
E’ solo una coincidenza ma ogni qualvolta in Italia si assiste ad una svolta epocale (trovereste voi altro aggettivo per descrivere un Governo Bersani-Berlsuconi-Monti?) c’è un fattore esterno che aggrega e che ricrea quell'armonia necessaria. Un fattore che mette d’accordo. Tutti. Tranne le ali ma le ali vengono tagliate e non piegate.
Accadde con la strage di Capaci. Bum…e l’autostrada saltò per aria! Accade oggi (con tutti i distinguo e ripetendo per l'ennesima volta che il disagio socio/economico per come è stato immediatamente acclarato è alla base del gesto). Pum…e la politica si unisce a coorte! Avete fatto caso che perfino nel Pd – che fino al giorno prima aveva i “giovani turchi” e chi più ne ha più ne metta che sbraitavano all’interno del partito – è calata la pace consensuale per il bene del Paese? Solo il povero Pippo Civati, che evidentemente non è turco ma è l’ultimo dei giapponesi, continua ad aggirarsi da solo per la foresta.
Nell’informativa alle Camere, che naturalmente si basa su quanto riferito dagli investigatori dei Carabinieri ai magistrati romani, il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha ripetuto che «al momento risulta che Preiti abbia agito senza ricevere alcun tipo di sostegno, il che rafforza l'ipotesi investigativa, subito affacciata peraltro, che si tratti di un gesto isolato» ma ha poi chiarito che «sono in corso ulteriori accertamenti, con particolare riguardo alla provenienza dell'arma, la cui matricola risulta abrasa».
Ecco, forse è il caso di indagare e molto sul passato prossimo, sulle amicizie, sulle conoscenze e sui percorsi che può aver attraversato anche inconsapevolmente quest’uomo fragile e vizioso e di conseguenza magari avvicinabile e magari senza una sua consapevolezza diretta, da quei mondi (ripeto: mondi). Non sono certezze (quelle appartengono ad altri), sono solo riflessioni in corso d'opera.
r.galullo@ilsole24ore.com