Qualche giorno prima delle elezioni politiche spedii una mail e un sms al collega (candidato Presidente del Consiglio) Oscar Giannino. Lessi il suo programma elettorale, così come lessi quello di tutti gli altri candidati premier.
Rimasi colpito per il fatto che nel suo manifesto, pur impegnativo e con delle proposte condivisibili e intelligenti, non ci fosse mai citato – nemmeno per sbaglio – il concetto di lotta alle mafie e di contrasto all’illegalità imperante in Italia.
Gli scrissi dunque che senza un chiaro e sintetico piano di ritorno alla legalità, in questo benedetto Paese sarebbe stato inutile continuare a promettere mari…Monti e Tremonti. Gli investimenti, la rigenerazione di un circuito economico virtuoso, hanno bisogno di quattro principali regolette smilze smilze: tempi brevi, certezza del diritto, infrastrutture materiali e immateriali e legalità. Oltre, ovviamente, ad una visione strategica che è alla base della buona politica e della buona amministrazione.
Sul primo, sul secondo e sul terzo livello (tempi brevi che vogliono dire burocrazia zero e controlli dello Stato a posteriori; infrastrutture, che vuol dire non avere cattedrali nel deserto ma vasi economicamente comunicanti e certezza del diritto che vuol dire leggi applicate e rispettate) tutti promettevano e promettono qualcosa, compreso Giannino.
Sul quarto livello (vale a dire legalità da parte dello Stato e delle Istituzioni che in Italia e in particolar modo al Sud vuol dire rischio mafie non dico debellato ma quanto meno combattuto) il Pd si era più o meno peritato balbettando, il Pdl neppure a dirlo, Scelta Civica aveva poche idee ma confuse, Giannino che proponeva al mondo di “fare per combattere il declino”, non lo sfiorava neppure.
Alla mia mail e al mio sms – nel quale dicevo che senza legalità non solo non è possibile “fare” ma neppure “pensare di fare” – Oscar non rispose mai. Me ne dispiacqui e me ne dispiaccio perché lo considero un eccellente giornalista (laurea sì laurea no) e un intellettuale di livello.
IL NUOVO GOVERNO
Orbene, qualunque candidato premier o anche semplicemente qualunque esperto politico potrebbe facilmente aggirare la mia riflessione (ho qualche annetto anche io e conosco la furba mestizia dei politici e dei politicanti) affermando che la legalità è ovviamente alla base della crescita sociale economica di un Paese. E’ ovviamente la pre-condizione per crescere. E’ ovviamente la colonna vertebrale che sorregge l’azione della politica e del buon governo. La lotta alle mafie è ovviamente un’eredita che è ormai entrata nel Dna della politica. Inutile – dunque – perdere tempo a (ri)esprimere certi concetti. Pleonastico. Superfluo.
Bene a queste riflessioni risponderei: balle. La legalità e la lotta alle mafie, alla corruzione e all’illegalità hanno bisogno di essere urlate e poi operativamente declinate, hanno bisogno di poche idee ma forti e ampiamente condivise.
Restai all’epoca deluso da Giannino, persona che conoscevo e della quale riconosco bravura professionale, competenza (laurea si laurea no) e conoscenza.
Resto ancor più deluso oggi da un’altra persona che mi onoro di conoscere da molti anni e della quale riconosco bravura professionale, forte intelligenza, tatto, equilibrio, onestà, rigore morale e grandi conoscenze. Sulla bravura governativa non mi esprimo: lui e il suo governo vanno giudicati alla prova dei fatti. Senza sconti.
Questa persona si chiama Enrico Letta, che ha appena terminato la sua replica al Senato della Repubblica.
Né alla Camera né al Senato – di fronte ad un’economia criminale che sta divorando l’economia legale – ha mai neppure abbozzato il concetto di lotta alle mafie, all’economia criminale e alle illegalità.
Un solo, timido passaggio, alla Camera, quando ha affermato che: «Un importante argomento di contesto concerne la giustizia, in quanto solo con la certezza del diritto gli investimenti possono prosperare. Questo riguarda la moralizzazione della vita pubblica e la lotta alla corruzione, che distorce regole e incentivi. Questo riguarda anche la giustizia nel suo complesso. La giustizia deve essere giustizia innanzitutto per i cittadini. La ripresa ritornerà anche se i cittadini e gli imprenditori italiani e stranieri saranno convinti di potersi rimettere con fiducia ai tempi e al merito delle decisioni della giustizia italiana. E tutto questo funzionerà se la smetteremo di avere una situazione carceraria intollerabile ed eccessi di condanne da parte della Corte dei diritti dell'uomo. Ricordiamoci sempre che siamo il paese di Cesare Beccaria!».
E’ vero: la certezza del diritto è una condizione vitale per gli investimenti ma ancor più vitale è la certezza della legalità!
In Italia – egregio Signor Primo Ministro – abbiamo questa certezza?
Si guardi intorno, guardiamoci intorno e dateci, diamoci una risposta. Sempre più vaste aree del territorio vengono letteralmente mangiate dalle mafie. Quindici giorni fa nel silenzio totale e assordante dei media e della politica, due imprenditori veneti sono stati legati e violentemente picchiati nella loro impresa perché non stavano rispettando quei patti che avrebbero dovuto far scalare a criminali legati alla ‘ndrangheta (ai quali si erano rivolti in un momento di crisi di liquidità) la propria azienda. Questa è l’Italia che ci aspetta: il dominio dell’economia criminale se continueremo a chiudere gli occhi, la bocca e le orecchie.
Soprattutto dia, Signor Primo Ministro, date al popolo italiano strumenti per aprire un negozio senza dover attendere anni, per poter aprire una filiale senza dover pagare mazzette, per poter attrarre investimenti a Gioia Tauro o a Gela senza dover pagare le cosche, per poter competere solo “con” e “nelle” regole del mercato e non anche “contro” le regole delle mafie che investono sì ma nel lavoro nero, nell’evasione fiscale (l’altra faccia della medaglia mafioso/criminale), nella corruzione costante e continua degli uomini dello Stato e delle Istituzioni locali, nella crescita di generazioni di professionisti corrotti e corruttori, nell’ignoranza di ritorno e nell’occupazione e nel controllo (anche) militare di aree sempre più vaste del Paese.
Che Paese è un Paese nel quale i militari presidiano la casa di un pm antimafia come Giuseppe Lombardo a Reggio Calabria!
Che Paese è un Paese nel quale persino i tombini sono stati saldati davanti all’abitazione del pm antimafia di Palermo Nino Di Matteo per evitare che l’asfalto salti in aria come accadde a Capaci e uccida lui e chi lo accompagna!
Che Paese è un Paese che obbliga a Gioia Tauro l’imprenditore Nino De Masi a vivere da una settimana con la scort
a perché gli hanno sparato 44 colpi di khalashnikov alle saracinesche di un’attività nel Porto, per fargli capire che i prossimi colpi saranno per lui che, ostinatamente, vuol fare impresa senza piegarsi ai voleri delle cosche della Piana!
Il lavoro, una nuova fiscalità, un rinato rapporto con l’Europa, il welfare, una sana spesa dei fondi europei – solo per rimanere ad alcuni punti principali toccati da Letta nel suo discorso di fiducia alle Camere – non prescindono dalla legalità e dalla lotta senza quartiere alle mafie, all’economia criminale e alla corruzione. Persino la scelta degli uomini (e dunque questo è il salato “costo” e non i “costi” della politica) non ne possono prescindere: per questo mi domando ancora perché un ministro come Anna Maria Cancellieri sia stata “deviata” alla Giustizia quando era l’Interno il posto naturale dove il suo essere “super partes” avrebbe continuato a garantire sicurezza, professionalità e trasparenza.
Non capire che la lotta ai “sistemi criminali” è e deve essere una priorità sventolata, conclamata, gridata e attuata, di questo come di tutti i governi e di tutte le amministrazioni della cosa pubblica, vuol dire non avere capito nulla di dove va l’Italia. O forse vuol dire saperlo bene ma non avere la forza di affrontare il tema, il che sarebbe anche peggio perché vorrebbe dire allungare una lenta agonia di questo amato e maledetto Paese.
Buon lavoro Enrico e che la Politica ti sia lieve.
r.galullo@ilsole24ore.com