Chi tocca i fili muore. Soprattutto se quei fili conducono in un labirinto fatto di ‘ndrangheta e complicità insospettabili nel pubblico e nel privato.
Sono infatti 44 i colpi di Kalashnikov K 47 di provenienza jugoslava sparati poche ore fa a Gioia Tauro contro il capannone della Global repairs, un’azienda del Gruppo De Masi di Rizziconi – circa 160 dipendenti complessivamente – che si occupa di lavori di riparazione di manutenzione di mezzi portuali.
Un benvenuto sfacciato, diretto e sfrontato a neppure 24 ore di distanza dall’insediamento del nuovo capo della Procura di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho. Le cosche non hanno paura di niente e di nessuno e devono mandare chiarissimi segnali della propria presunta forza. Sono certo che la Dda di Reggio non mancherà di seguire il filone che da anni porta De Masi al centro dell’odio incrociato delle cosche di Gioia Tauro e settori deviati del pubblico e del privato.
L’attentato non è stato casuale: è stato fatto contro il capannone dove il Gruppo De Masi da pochi giorni ricovera i container vuoti movimentati nel porto di Gioia Tauro, sulla base di un contratto siglato appena 20 giorni fa con il terminalista. Un attentato plateale e al tempo stesso studiato nei minimi particolari visto che alcune cartucce inesplose sono state fatte volontariamente trovare accanto a quelle esplose. Un chiaro segnale: le prossime sono per l’imprenditore.
Antonio De Masi ha presentato denuncia ai Carabinieri di Gioia che porteranno il caso alla prossima riunione del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza.
«Il tenente dei Carabinieri – spiega De Masi al sole24ore.com – mi ha fatto domande di rito e gli ho detto chiaro e tondo che, come dimostra la mia vita sempre in trincea contro l’illegalità, non ho nessun timore nel denunciare fatti e circostanze ma voglio che lo Stato sia presente. Non ho minimamente paura e timore a denunciare anche quando sarò portato al cospetto del Comandante provinciale dell’Arma. Lo Stato però non può lasciarmi solo nelle battaglie contro la ‘ndrangheta e le deviazioni del sistema creditizio che combatto ormai da una vita».
Antonio De Masi – che negli anni Novanta era stato tra i primi imprenditori calabresi a chiudere “per mafia” per protestare contro l’assoluto dominio delle cosche della Piana di Gioia Tauro alle quali, dal momento della riapertura delle attività, non si è mai piegato – sta conducendo una battaglia pressoché isolata anche contro la deriva del credito, dopo aver vinto negli ultimi anni alcune battaglie giudiziarie che hanno stabilito come nei confronti delle sue aziende fossero stati praticati tassi usurari.
Per l’esattezza 13 sentenze favorevoli, l’ultima delle quali dalla Corte di cassazione che ha stabilito che le circolari di Banca d'Italia non hanno valore di legge, ma solo fini statistici di rilevazione dati, e ha evidenziato la «responsabilità degli amministratori (presidenti e cda) nell'applicazione delle condizioni economiche alla clientela e la responsabilità degli istituti di credito per il risarcimento dei danni alle parti lese in sede civile».
La battaglia di De Masi prosegue anche su altri fronti: nonostante il fatto che il Commissariato straordinario del Governo antiracket lo abbia riconosciuto da anni come vittima di usura, è ancora in attesa di circa 10 milioni.
Battaglie paradossali in una terra dove lavoro non c’è e dove chi lo crea si trova la strada sbarrata. De Masi a luglio 2012 ha presentato un brevetto mondiale di un’altra azienda del suo gruppo: una cellula antisisma di sicurezza a moduli che è in grado di resistere al crollo in caduta verticale di 9,3 tonnellate e di 8,3 tonnellate in pressione orizzontale. All'interno della cellula – proprio grazie alla modularità – può dunque trovare rifugio un numero variabile di persone (si veda Il Sole-24 Ore online del 5 luglio). Nonostante questa invenzione assoluta nessun istituto di credito tra i dieci interpellati da De Masi ha erogato un solo centesimo di credito e più di uno – dopo aver promesso una rapida erogazione – è misteriosamente tornato sui suoi passi.
La settimana scorsa De Masi ha chiesto che Camera e Senato istituissero una Commissione d'inchiesta sull'operato delle banche e dei sistemi di vigilanza in materia di credito alle imprese La commissione d'inchiesta dovrebbe verificare «se le strategie adottate delle banche sono figlie di un libero mercato o viceversa, siano frutto di accordi illegali e di cartello. Nelle indagini dell'Autorità garante per la concorrenza e il mercato nelle quali c’ è la dimostrazione dell'esistenza di accordi di cartello a danno dei cittadini. La commissione dovrebbe avere concreta risposta da parte della Banca d'Italia su quale ruolo ha avuto in queste vicende e quali interessi ha sino ad oggi tutelato» e avere «dalle istituzioni tutte, ed in particolare dalla stessa Banca d'Italia, conoscenza dei motivi per i quali ha consentito e sta ancora consentendo di distruggere le imprese, soprattutto in presenza di sentenze di Tribunali di questo Paese che attestano la pratica dell'usura». De Masi chiede anche «come mai l'istituzione Banca d'Italia non sia mai intervenuta, nel rispetto del suo mandato, a salvaguardia del bene pubblico tutelato, per trovare una soluzione alle varie vicende, rimanendo invece impassibile di fronte alla morte dell'imprenditoria».
Ma non è finita qui. Il Tribunale di Palmi si pronuncerà nei prossimi giorni sulla richiesta di emissione di un provvedimento d'urgenza per il riconoscimento di una provvisionale di 18,5 milioni di euro sulle somme richieste dall'imprenditore Antonino De Masi, a seguito di un'azione civile per risarcimento danni depositata al Tribunale e corredata da una perizia che indica in oltre 215 milioni i danni complessivamente subiti.
Numerose sono state le interrogazioni parlamentari presentate nella scorsa legislatura per accendere i riflettori sul caso del Gruppo De Masi (a partire da quelle di Doris Lo Moro del Pd e di Angela Napoli del Pdl) ma nessuna ha portato il Governo a dare risposte quantomeno dialettiche.
Poche ore fa il coordinatore di Libera Don Pino De Masi ha contattato l’imprenditore di Rizziconi per esprimergli la propria solidarietà mentre la scorsa settimana il coordinamento azionale antimafia Riferimenti ha sposato l’idea di istituire una Commissione bicamerale di inchiesta sui crimini finanziari compiuti in questo Paese, sull'operato delle banche e dei sistemi di vigilanza. Una Commissione, si legge nel comunicato stampa diramato, che possa verificare «se le strategie adottate delle banche sono figlie di un libero mercato o, viceversa, di accordi illegali e di cartello….Nel caso dell'imprenditore De Masi vi sono delle sentenze passate in giudicato che dimostrano come le banche abbiano violato i suoi diritti ed in particolare quanto disposto dall'art 47 della Costituzione, non rispettando le regole del mercato creditizio, bene pubblico tutelato».
r.galullo@ilsole24ore.com