Segnatevi questi nomi: Carlo Macrì, a capo della Procura dei minori di Reggio, uno che ha vissuto una vita contro le cosche dai tempi dell’anonima sequestri e la sua collega Francesca Stilla.
Segnatevi anche quest’altro nome: Aurelio Chizzoniti, consigliere regionale, politico di vecchio corso. Oltre a loro, quattro gatti tra i quali spiccavano i giornalisti molti dei quali, nonostante dovrebbero conoscere le vicende giudiziarie (vitali) della città come le proprie tasche, hanno posto all'ex pm alcune domande da far cadere le braccia. Ma forse la cosa era voluta. Rimando al post che ho scritto ieri per la cronaca della giornata (che ho seguito con altri 4 gatti in streaming sul sito di Calabria Ora, al quale va il merito di aver trasmesso la conferenza stampa).
Segnatevi questi tre nomi perché sono gli unici (due magistrati e un politico) che ieri erano presenti alla conferenza stampa reggina – aperta a tutti – dell’ex procuratore aggiunto della Dna Alberto Cisterna, indetta per reagire ad una "infamante" (così lui la giudica) richiesta di archiviazione avanzata dal Gip di Reggio nei suoi confronti per corruzione in atti giudiziari. "Infamante" – ha dichiarato Cisterna in conferenza stampa – perché contiene a suo dire cose false e perché le 500 pagine di richiesta di archiviazione della Procura di Reggio – redatte senza che sia mai stato chiamato una sola volta a fornire la propria versione – suonano per lui come una sentenza di condanna a morte. Umana e professionale. Per questo Cisterna ha chiesto di essere processato: non vuole l'archiviazione. Vuole un rinvio a giudizio. Un processo.
A parte i due magistrati, il politico e i quattro gatti giornalisti, non c’era nessuno. Dico nessuno. Nè tra i suoi colleghi di ogni parte d’Italia che prima facevano a gara a leccargli la pelandrana, sicuri di trovare una parola intelligente e di servizio nelle sue parole, nè tantomeno quelli che sulla lotta alla mafia la pensano esattamente come lui, nè tantomeno i politici che da quelle parti, a Reggio come in tutto il Sud, sono sempre pronti a correre sulla biga del vincitore. Figuratevi se salivano sul carro dell'"appestato"!
Ricorderete – voi reggini e calabresi tutti – le decine e decine di flash che ritraggono decine di politici calabresi plurindagati a fianco dei pm più in voga in tutta la Calabria, nel corso di convegni, manifestazioni pubbliche, tagli di nastri, seminari, torte della nonna e via di questo passo. Una cosa indegna ma quelle foto – sui siti e sui quotidiani calabresi – rimarranno a imperitura memoria.
Non c’è stato un solo magistrato – a parte i citati e a parte quei pochi di cui conosco nome e cognome che non sono andati per altri motivi che pure conosco – che si è sentito il dovere di farsi vedere accanto o esprimere solidarietà o gridare tutta la sua rabbia all’”appestato”, al magistrato che fino a due anni fa loro stessi, colleghi assenti e tanti altri, vedevano volare e spingevano verso la stessa Procura di Reggio o persino verso mete più prestigiose. Vai avanti tu a fare la lotta alla cupola ‘ndranghetista, quella fatta di politica corrotta, politici punciuti, grembiuli sporchi, preti conigli, professionisti asserviti e servizi deviati. Vai avanti tu, Albè, che a noi ce viè da ride…
Zero carbonella, come diciamo noi romani. Nessuno era presente.
Perché? Semplicissimo secondo la mia erronea considerazione: per paura. Si lo so che se andaste a interrogarli uno a uno, quei nomi e cognomi di magistrati (per altro specchiati e limpidi) accamperebbero tutti delle scuse: “non volevo prestare il fianco a critiche”, “meglio agire che mostrare”, “Alberto sa che può comunque contare su di me”, “avevo un po’ di febbre”, “avevo il bambino sul fuoco e il latte che piangeva”. Scuse, scuse e scuse.
A Reggio la paura fa 90, 180, 260, si moltiplica al quadrato come i numeri in matematica. Il clima instaurato negli anni (in molti anni) è questo: inutile provare a dire il contrario. Tacete, vi prego. Reggio non è una città in cui si possa sventolare il proprio pensiero, la propria opinione, la propria faccia pulita, la propria anima linda. A meno che non si voglia pagare un prezzo. E nessuno, ormai, in Italia è disposto a pagarlo. Tutti teniamo famiglia….
A Reggio – e lo dico da molto, molto tempo prima dell’onorevole Angela Napoli, non a caso spedita a casa – la democrazia è sospesa. Non si può (e non si deve) avere il coraggio delle proprie idee e delle proprie azioni.
Chi per un motivo, chi per un altro, gli esponenti della classe dirigente, politica, giudiziaria, ecclesiastica, delle professioni, dell’imprenditoria, non ne parliamo del giornalismo, vive sotto schiaffo: o perché ha paura o perché teme le conseguenze dell’esposizione o perché (ma qui siamo nel campo degli impresentabili) ha tanto da nascondere.
Dico a tutti i suoi colleghi e agli uomini dello Stato colpevolmente assenti (assolvo quel manipolo che non è andato per altri e in parte condivisibili motivi) che – si badi bene, non da ieri ma da anni – hanno lasciato solo Cisterna, una sola cosa: ma come potete tornare a casa e guardarvi in faccia allo specchio? La vostra giacca sarà pure immacolata – del resto schizzata di fango è quella di Cisterna – ma la vostra anima?
E la politica? Ma si quella politica parolaia e politicante che a Reggio si riempie la bocca del vuoto pneumatico e lo sputa sotto forma di infami libercoli e di inutili appelli alla legalità e alla democrazia! Dov era la politica di destra (che poteva finalmente guardare in faccia un uomo professionalmente morto, ritenuto falsamente un nemico dimenticando che la Giustizia non ha e non può avere colore politico)? Dov era la politica di sinistra che al telefono ti rompe i coglioni un giorno sì e l’altro pure per dirti che finalmente a Reggio l’aria è cambiata ma poi ha paura anche della propria ombra? Ma cambiata – dico io – in che senso?
Dov era la politica tutta che – a differenza della magistratura che aveva il dovere di interrogarsi su quanto successo a Cisterna e presenziare ad un evento più unico che raro come quello dell’annuncio della ricusazione di un’archiviazione – non aveva doveri ma solo oneri: quelli che toccano a chi, per esercitare al meglio il proprio mandato, deve capire cosa sta succedendo e cosa si nasconde dietro una delle pagine più buie e nere della nostra, della loro recente vita democratica. Perché il caso-Cisterna (qualunque sia l’epilogo e chiunque abbia ragione) questo è. E questo lo dico e lo direi se al posto di Cisterna ci fosse stato qualunque altro: chi, come lui, ha segnato la città con le sue indagine (quelle andate bene e quelle fallite), va comunque ascoltato. Che poi ciascuno si formi la propria opinione.
E la società civile? Quella che si incazza se gli dici che non esiste, per due banali motivi: 1) ad una società civile non può contrapporsi nell’espletamento della vita democratica una incivile (ergo: è inutile chiamarla civile); 2) a Reggio la coscienza democratica è prossima allo zero e il motto quotidiano è “a chi n’appartini?”.
Ma si quella società che riempie le città di manifesti deliranti, che si fa turlupinare dalla politica parolaia e parolante, che si mette in saccoccia i quattrini della politica stessa, per mandare avanti strutture e associazioni, che fa carriera (del gambero) sulle morti? Dov è? Dov era ieri? Fosse stato anche solo per capire cosa sta succedendo in questo scontro furioso traconcetti di intendere la lotta alla cupola mafiosa distanti anni luce.
Qui, signori miei, non stiamo assistendo allo scontro tra magistrati (è chiaro e palese come la luce del sole che ridurlo a questo sarebbe fare strame dell’intelligenza dei contendenti) ma di valori e principi tradotti in azioni o inazioni.
Ma dico io: anche solo cercare di capire, no? Mica dico che ha ragione Cisterna ma magari può averla e se così è vuol dire che la cupola massonicopoliticomafiosa che avvolge Reggio e l’Italia tutta ha vinto: fuori Cisterna dai coglioni, Grasso azzoppato e affari garantiti per i prossimi 100 anni all’ombra delle logge deviate…