Ogni morto ammazzato in Messico pesa anche sulle coscienze calabresi.
No, non di tutti i calabresi. Solo di quelli che fanno affari con il narcotraffico oppure quelli che fanno finta di non accorgersi che polvere bianca e pasticche viaggiano sempre più sull’asse Città del Messico-Reggio Calabria. Non pochi, comunque.
Ieri Libera ha presentato un ricchissimo dossier sul Messico ed uno dei capitoli più interessanti è quello che lega mortalmente la Calabria a quella nazione.
UN PAESE MORTO
Per seguire il filo delle coscienze calabresi piegate dai narcoporoventi partiamo dai numeri nudi e crudi.
Dal 2006 a ottobre di quest’anno, in Messico sono state uccise 136.100 persone: 53 al giorno. 1.620 al mese, 19.442 all’anno.
Di queste solo 20mila sono stati eliminati dalla delinquenza comune e non da quella organizzata. Restano poi da aggiungere circa 15mila desaparecidos: nessuno sa che fine abbiano fatto e perché siano spariti. Facile immaginarlo.
IL TESORO
Per capire il perché di questa carneficina basti un numero. Immenso, stratosferico, impensabile: 280 miliardi di dollari. Tanto vale – ovviamente per difetto – ogni anno il narcotraffico, nel quale la cocaina fa la parte del leone.
Questa cifra può comprare e pagare tutto: dal silenzio al rumore, dalla vita alla morte.
L’80% dei comuni messicani è sotto lo scacco della criminalità organizzata (nel 2008 la quota era del 63%).
L’esercito messicano ha scoperto e distrutto 778 campi di reclutamento utilizzati dai gruppi di narcotrafficanti per diverse attività, che vanno dall’addestramento dei sicari alla semina e alla coltivazione di piante illegali.
Il compenso per chi spara e uccide è di mille pesos, all’incirca 60 euro. Ciudad Juarez è considerata la città più pericilosa e aggressiva del mondo: 1,5 milioni di abitanti e oltre 9mila sicari.
IL FILO CON LA CALABRIA
E veniamo a noi. Anzi: a voi. A voi calabresi innanzitutto. Molte di quelle morti, moltissime, oltre a quelle che si contano in giro per il resto del mondo tra gli altri cartelli della droga e quelle di chi muore per un buco, sono sulle coscienze delle cosche di ‘ndrangheta e sulle coscienze di quanti fanno, in Italia, poco più di zero per impedire traffici e carneficina. Da questo punto di vista a Nicola Gratteri andrebbe elevato un monumento.
La ‘ndrangheta non è “un” partner dei cartelli messicani – che sono dieci ma su tutti spiccano i Los Zetas – ma “il” partner. È il collega di lavoro perfetto: la sua rete capillare per smerciare droga garantisce sbocchi sicuri e piazze redditizie in tutta Europa, dove si ferma una percentuale elevatissima di droga. I messicani si occupano del trasporto all’interno del continente e del viaggio intercontinentale.
Solo per ricordare, nel 2008 furono arrestate 106 persone tra Italia, Messico e Usa. Con quell’operazione (detta Solare) fu smantellate la rete che aveva come obiettivo quello di introdurre cocaina attraverso il porto di Gioia Tauro. A coordinare il traffico la cosca di Aquino Coluccia in stretto rapporto proprio con i Los Zetas. Anche l’indagine Il Crimine ha documentato il patto tra ‘ndrangheta e Los Zetas.
Credo che – di fronte di questa carneficina – bisognerebbe fermarsi tutti un attimo a riflettere. La politica non lo farà. Sta alle coscienze. Le nostre.
r.galullo@ilsole24ore.com