Cari lettori e lettrici lasciate che oggi mi intrattenga con voi con un argomento – solo apparentemente – poco serio sul quale mi piacerebbe avere anche la vostra opinione perchè al mondo si vive di dubbi ancor prima di certezze. In una società di immagine, le immagini contano, altro che! Il mezzo è il messaggio diceva qualcuno prima di me…
Devo essere sincero con voi: le serie tv sulle mafie generalmente non mi piacciono perchè non svelano l'intimità dell'odierna cultura mafiosa. Quelle dedicata a Cosa nostra – tanto per fare un esempio – le ho trovate diseducative. L'immagine poetica che ne esce di Totò Riina dalla serie del 2007 "Il capo dei capi" andata in onda sulle reti Mediaset è da brivido. Il rischio – concreto – è che fatti e personaggi diventino, anzichè realtà deprecabili, esaltazioni da imitare. Debbo essere ancora una volta sincero: non neppure ho capito tutto 'sto successo di Romanzo Criminale.
Altro è l'impegno cinematografico – nazionale e internazionale – nello stesso senso. Inutile citare le pellicole che hanno arricchito di cultura miliardi di spettatori. Forse il cinema – rispetto alla tv – è ancora l'Università dopo le scuole dell'obbligo.
Il Corriere della Sera da notizia della nuova produzione di Pietro Valsecchi: «Le mani dentro la città», che già nel titolo scimmiotta il film del 1963 di Francesco Rosi ("Le mani sulla città"), un film di impegno civile che denunciava corruzione e speculazione edilizia.
Le mani, nella produzione di Valsecchi (sei puntate e 12 episodi), sono quelle della 'ndrangheta e la città è Milano. A differenza del Capo dei capi, dunque, non una mini-serie su un personaggio criminale ma su una nuova dimensione criminale.
Sul Corriere della Sera si legge che la serie «vuole contribuire ad alzare quel pericoloso velo – sollevato per la prima volta in modo deciso da Roberto Saviano – che rende meno evidenti i traffici della criminalità organizzata al Nord. Per farlo, si parte da un commissariato della periferia milanese di cui Cavallari è al comando».
Detto che se al posto di Milano ci mettessimo Roma o Sanremo poco cambierebbe – vedrete che prima o poi l'illuminata cinematografia e/o tv italica se ne accorgerà – quel che mi inquieta è il "buongiorno". Se è vero che si vede dal mattino (si parlerebbe dei traffici criminali e dunque dell'aspetto più ovvio, conosciuto e scontato per quanto incisivo sulla vita di tanti), leggete qui cosa ha dichiarato Simona Cavallari, l'attrice che dovrebbe condurre il Commissariato della periferia milanese all'attacco delle cosche milanesi: «Se si vuole descrivere la realtà, che è quello che la gente dimostra di voler vedere, bisogna ancora parlare di mafia, camorra, 'ndrangheta. Trovo sempre pericoloso quando non si cerca di vedere la realtà per quella che è. È come se dicessimo che abbiamo sconfitto la mafia. Non è per abbassare il livello del nostro Paese ma perché la verità va detta: per cambiare le cose bisogna prima essere informati».
Ora che per essere informati sulle mafie bisogna guardare le serie tv è – a dir poco – impegnativo. Così come impegnativo sarà per gli sceneggiatori e il regista – sempre che ci sia una resipiscenza di quanto comunicato – descrivere la vera 'ndrangheta che vive e regna a Milano: non solo quella che scioglie nell'acido, vive di usura e droga e impone il pizzo (pur ripugnante, criminale e perseguibile, poichè mina la sicurezza e le certezze dei cittadini) ma quella che pascola nelle stanze della politica corrotta, dell'imprenditoria che cede in tempo di crisi ai capitali sporchi, dei professionisti collusi e della finanza cedevole (nel regno della Borsa) che, ancor peggio, mina la democrazia. La differenza non è da poco, converrete.
Sarà inoltre straordinariamente interessante vedere come – anzichè cadere nella trasposizione banale dei poliziotti senza benzina ma con tanto coraggio – sarà reso il dramma nel quale versa l'intelligence investigativa, l'unica vera arma contro il terrorismo della 'ndrangheta che corre dentro lo Stato e non in parallelo.
Se le parole hanno un senso quel "dentro la città" dovrebbe deporre nel senso di un viaggio negli inferi delle mafie (le menti raffinatissime) e non in superficie (i traffici di droga che alimentano oggi le mafie come accadeva ieri con i sequestri di persona). O no?
Ci riusciranno sceneggiatori, produttori, regista e attori? Glielo auguro. Chi – come me – studia con passione da anni l'economia criminale e la criminalità organizzata (e sono solo all'inizio del percorso) se lo augura di cuore.
Nessun pregiudizio ma la sensibilizzazione alla legalità e alle battaglie antimafie sono argomenti talmente seri che già lasciarle in mano ai magistrati è dura, figuriamoci alla televisione.
Buona fortuna di cuore Valsecchi. Non solo per Lei e il suo team ma soprattutto per la coscienza di una società civile ormai allo stremo e uno scatto di cultura televisiva sarebbe il benvenuto per elevare le speranze di rinascita di questo amato e maledetto Paese.
r.galullo@ilsole24ore.com