Tra i grandi meriti dell’indagine Black Hawks (dall’inglese all’italiano, “Falchi Neri”, forzatura linguistica del cognome Facchineri) condotta dalla Gdf di Milano capitanata dal colonnello Vincenzo Tomei e coordinata dal colonnello Marco Menegazzo, comandante del Gico della Gdf del capoluogo, per conto della Procura di Milano (pm Giuseppe D’Amico), il più grande è quello che non appare: disegnare le coordinate di una mappa e di un sistema mafioso calabrese che portano dritti dritti nelle casse di San Marino. Vale a dire nel suo cuore. Senza le banche, infatti, semplicemente San Marino non sarebbe quella calamita universale per il riciclaggio del crimine internazionale. L’operazione Procura-Gdf di Milano è’ solo l’ennesima possibile conferma. In archivio troverete decine di articoli che ho dedicato all’argomento, a partire da quello che scrissi il 28 settembre 2009 a seguito del memoriale, che diedi in esclusiva, del pentito di ‘ndrangheta Francesco Fonti.
Con questo primo post (altri ne seguiranno nelle prossime ore) non mi riferisco tanto alle notizie già emerse in questi giorni in Calabria grazie al sito www.corrieredellacalabria.it (sempre attento e mai banale) o sul Titano per merito del collega dell’Informazione Davide Oddone di grande valenza e coraggio – e per questo, presumo con suo orgoglio, spernacchiato da pennivendoli e politicanti locali – quanto al peso delle famiglie ‘ndranghetistiche che (in)direttamente entrano in questa operazione e che sul Titano, di riffa o di raffa, giungono.
Del resto il Gip Luigi Varanelli mette subito le cose in chiaro quando già a pagina 2 dell’ordinanza scrive che nelle banche sammarinesi vengono depositati tra il 2007 e il 2008 parte degli “almeno” 217mila euro che provengono dai cugini Giuseppe e Vincenzo Facchineri di Cittanova (Rc) ma residenti in Lombardia a Lacchiarella e Milano (soldi provenienti da usura, estorsioni e traffico di droga e armi) e 104mila euro ricevuti da tal Rocco di Seregno (Monza e Brianza) che appartiene alla cosca Mancuso di Limbadi (Vibo): tanto per essere chiari quest’ultima famiglia è quella che gestisce quote gigantesche del narcotraffico mondiale in stretto contatto con i narcos colombiani prima e messicani poi. Questi soldi ricevuti dai Facchineri venivano sostituiti (restituendoli ai cugini sotto forma di 13.750 euro mensili) e quindi depositati in buona parte a San Marino in modo da ostacolare l’identificazione dell’origine delittuosa e poi reimpiegati in attività usurarie.
Interessanti i contorni e i riferimenti criminologici che la Procura dispiega sui Facchineri. Ad esempio quando scrive (pagina 12) che “indi, delineato il contesto in cui risultavano operare i Facchineri, con particolare riguardo ai rapporti con le famiglie alleate, ossia con le cosche o ‘ndrine al momento alleate, quali quelle dei Pesce e dei Bellocco, le indagini relative ai flussi finanziari provento delle attività criminali primarie dei Facchineri, soprattutto, furono incentrate sui rapporti con l’imprenditore bresciano xxxx (il suo cognome non rileva ai fini di quanto sto scrivendo, ndr) e con la società commerciale nel settore del noleggio di auto, yyyyy (il nome della ditta non rileva ai fini di quanto sto scrivendo, ndr) di Milano”.
La cosca Mancuso è già apparsa sullo sfondo di San Marino. Il 29 luglio 2011 con l’operazione Decollo Money la Dda di Catanzaro e il Tribunale di San Marino hanno infatti colpito un’organizzazione transnazionale dedicata al riciclaggio di denaro proveniente dal narcotraffico. Al centro la famiglia Barbieri, un tempo alleata proprio dei Mancuso. L’operazione ha stroncato sul nascere un trasferimento di denaro che si sarebbe dovuto aggirare sui 15 milioni: guarda caso la cifra che il Credito sammarinese – la banca in questione oggetto delle mire di Barbieri e del suo sodale Francesco Ventrici – aveva fissato, attraverso il suo ex presidente e proprietario, Lucio Amati, per la vendita della stessa (si veda il mio post in archivio del 2 agosto 2011).
Ma che la famiglia Mancuso ci sia dentro fino al collo lo si evince da un altro riscontro. Una telefonata del 17 giugno 2008 (ore 18.24) in cui uno degli arrestati, Gianluca Giovannini *(residente a Nonantola, in provincia di Modena) parla con un altro arrestato, O. P., di San Costantino Calabro (Catanzaro). E’ bene precisare che i due (oltre ad altri indagati) sono al tempo stesso – secondo l’accusa – vittime e carnefici dei Facchineri dovendo restituire il denaro ricevuto (frutto di attività illecite) con tassi di interesse mensile del 15% (a loro volta davano a strozzo il denaro). Se non stavano ai patti giù mazzate!
Prima del contenuto della telefonata una piccola digressione di carattere generale: Nonantola è ormai storicamente un paese che, oltre ad essere in provincia di Modena, è anche in…provincia di Caserta alla luce della strisciante e criminale presenza, in tutta l’area limitrofa, di molti appartenenti al clan dei Casalesi. Se il quadro accusatorio fosse confermato in giudizio – la presunzione d’innocenza è obbligatoria fino all’eventuale terzo grado e quel che leggete qui è cronaca – ci sarebbe da interrogarsi sulla presenza di una o più monadi che sul territorio modenese, anziché rispondere al “controllo” dei Casalesi, fanno affari con famiglie di ‘ndrangheta. A meno che – come spesso accade fuori dai confini regionali – accordi e trattative soddisfano tutte le parti in gioco e si chiudono dunque nel nome di affari comuni. Quindi vorrebbe significare che chi – sul territorio – stringe patti con una mafia è pronta eventualmente a servire anche l’altra. Dunque, se le future attività investigative e i futuri step giudiziari dovessero appurarlo ci troveremmo di fronte a un possibile schema nuovo ed inedito: da Caserta a San Marino via Cittanova e magari Limbadi prima e Nonantola poi.
Ma torniamo alla telefonata. Ebbene Giovannini* ad un certo punto dice all’altro che avrebbe dovuto corrispondere una somma complessiva di 7.500 euro a tale “Mancuso”. Alla pronuncia di questo cognome, P. interviene raccomandando al socio di non fare nomi per telefono. Il cognome Mancuso e il pronto intervento di P. che impedisce a Giovannini* di dare ulteriori particolari per telefono, porta a ritenere i magistrati inquirenti che “si tratti di un altro importante esponente della ‘ndrangheta, della famiglia Mancuso di Limbadi, a favore del quale i due soci Giovannini* e Purita, da veri e propri riciclatori professionali si occupavano evidentemente di gestire i capitali, fornendo prestazioni analoghe a quelle effettuate a favore della cosca Facchineri”. E quando si parla di capitali dei Mancuso parliamo di centinaia di milioni, forse miliardi, accumulati negli anni. Quanti di questi avranno preso la via di San Marino?
P.S Nel giugno 2014 è giunto un commento della sig.ra Zanotti, che leggete in calce all’articolo, che pubblico volentieri, specificando due cose: 1) sono felice per lei per l’esito giudiziario che l’ha vista completamente estranea; 2) ribadisco che ho fatto cronaca sulla base degli atti. Scriverne non vuol dire prendere parti a contese (non sono un giudice né un pm) ma solo esercitare la libertà di stampa, che si esercita giorno per giorno, facendo dunque cronaca. Quando, come nel suo caso, lo sviluppo giudiziario è favorevole, sono il primo ad essere felice di poterne dare conto.