Quando il capo della Procura di Palermo Francesco Messineo e il suo aggiunto Antonio Ingroia hanno incontrato a Palermo il 19 luglio 2010 la Commissione parlamentare antimafia in missione siciliana, la Procura di Palermo operava con un vuoto di organico di 18 posti su 64. Per effetto della nuova normativa è, infatti, vietato assegnare alle procure magistrati di prima nomina ed è stato così interrotto un canale di rifornimento che in passato aveva funzionato con risultati soddisfacenti. Il magistrato antimafia, peraltro, impiega cinque anni per formarsi una ragionevole professionalità che sviluppa successivamente e nel momento in cui è “maturo” viene obbligato ad andare via.
La composizione interna della Direzione distrettuale antimafia era costituita da un organico di 22 sostituti procuratori e 4 procuratori aggiunti che hanno la competenza territoriale sulle province di Palermo, Trapani ed Agrigento.
Dal luglio 2010 a oggi le cose sono cambiate. Sì, in peggio. La Commissione antimafia, scrive testualmente, nella sua relazione approvata pochi giorni fa (si vedano gli altri post in archivio) che la Dda di Palermo è in gravissima difficoltà in quanto alcuni magistrati sono sul punto di essere trasferiti avendo superato il limite decennale di permanenza presso la procura, termine che si abbassa a otto anni per gli aggiunti.
La Direzione distrettuale antimafia si articola in settori di competenza: la Provincia di Palermo è divisa in due parti, sud orientale e nord occidentale ed include le zone esterne denominate “Palermo 1” e “Palermo 2” e poi i settori di Palermo-Madonie, Trapani ed Agrigento.
Se Palermo piange la Procura di Caltanissetta non ride, come hanno ben testimoniato alla Commissione antimafia, il giorno dopo, il capo della Procura Sergio Lari e i pm Amedeo Bertone, Domenico Gozzo, Nicolò Marino, Roberto Condorelli, Stefano Luciani e Giovanni Di Leo.
Per comprendere le difficoltà in cui opera l’autorità giudiziaria di Caltanissetta è sufficiente ricordare che negli anni delle indagini sulle stragi la Procura ha operato con un organico al completo, al quale si aggiungevano anche magistrati applicati all’Ufficio nisseno da altri uffici giudiziari d’Italia.
La procura di Caltanissetta ha competenza su due province, quella di Caltanissetta e quella di Enna.
Nella provincia di Caltanissetta operano quattro mandamenti mafiosi: il mandamento di Gela, detto anche il Bronx siciliano, per la presenza contemporanea di due organizzazioni mafiose, Cosa nostra e Stidda, il mandamento di Vallelunga-Pratameno, il mandamento di Riesi ed il mandamento di Mussomeli.
Nella provincia di Enna sono presenti quattro famiglie mafiose senza “mandamento” e con una gestione di tipo provinciale verticistico.
La procura di Caltanissetta ha competenza anche sui procedimenti riguardanti i magistrati dell’intera Corte d’Appello di Palermo, che comprende i tribunali di Palermo, Agrigento, Trapani, Marsala, Sciacca e Termini Imerese.
Attualmente sono state riaperte le indagini sulla strage di Capaci, sulla strage di via D’Amelio, sull’attentato all’Addaura e sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia.
Ebbene, in questo quadro esplosivo, l’organico della procura della Repubblica di Caltanissetta, malgrado le rilevanti competenze che le vengono attribuite, ha una scopertura di cinque sostituti procuratori pari a circa il 40%, 50% dell’organico.
Il suo distretto giudiziario comprende anche le procure di Enna, Nicosia e Gela.
Attualmente, la procura di Enna presenta una scopertura nell’organico del 100%, così come la procura di Nicosia, mentre negli uffici giudiziari di Gela è rimasto un solo sostituto.
Queste scoperture hanno enormi ricadute sulla procura di Caltanissetta, che oggi gestisce le indagini connesse alle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, in quanto i suoi sostituti devono farsi carico anche dei turni e delle udienze avanti i predetti tribunali.
Anche l’organico della polizia giudiziaria è estremamente ridotto e va incontro a non poche difficoltà nell’evasione delle numerose deleghe che gli vengono conferite.
A Catania, infine, a rappresentare la situazione sono stati, il 21 luglio, l’allora Procuratore capo Vincenzo D’Agata, Michelangelo Patanè, Giuseppe Gennaro, Anna Santonocito, Iole Boscarino, Giovannella Scaminaci, Antonino Fanara, Pasquale Pacifico e Fabio Scavone.
La Procura di Catania, nel luglio del 2010, operava con un vuoto d’organico di 13 sostituti su 40, dovuto alle norme di ordinamento giudiziario che rendono gli uffici delle Procure poco appetibili.
L’assetto della mafia nel catanese, a differenza del palermitano, vede la presenza sul territorio di molte famiglie in lotta tra di loro, anche se in alcuni casi non sono mancate le alleanze.
In particolare, Cosa nostra è ben rappresentata in città dalla famiglia Santapaola e nel territorio circostante dagli Assinnata a Paternò, dal gruppo Sciuto ad Acireale, dal gruppo Mazzaglia-Tomasello a Biancavilla, dal gruppo Santangelo ad Adrano e dal gruppo Brunetto a Fiumefreddo. Altri gruppi che operano a Catania sono quelli della famiglia Laudani e della famiglia Cappello, che è rappresentata anche a Siracusa e che si è alleata con la famiglia dei Bonaccorsi, anche detti “Carateddi”. I Santapaola, i Laudani e i Cappello sono le tre famiglie storiche che si contendono il territorio.
Ma dico io: in queste condizioni – che sono state avvalorate anche dalle recenti relazioni di procuratori capo per l’apertura dell’anno giudiziario – si può davvero pensare di fare la guerra alle mafie (e non parlo tanto delle “ali militari” ma dei cervelli raffinatissimi, di quella zona grigia che governa indisturbata)?
A presto con nuovi approfondimenti.
6 – to be continued (le prime puntate sono state pubblicate il 26, 27, 31 gennaio e 2 febbraio)
P.S. Potete acquistare il mio libro: “Vicini di mafia – Storie di società ed economie criminali della porta accanto” online su www.shopping24.ilsole24ore.com con lo sconto del 10% e senza spese di spedizione