Il carcere duro fa male ai boss ma quando vanno in ospedale stanno benissimo ed evadono

Provenzano è molto malato. Basta col 41 bis, rischia la morte”.

Giuseppe Nirta non può sostenere il carcere duro”.

Questi sono due recentissimi titoli di giornali. L’uno della Sicilia di Catania e l’altro della Gazzetta del Sud. Entrambi del 9 settembre.

Fanno riferimento tanto l’uno quanto l’altro agli appelli lanciati dai rispettivi avvocati sulle insostenibili condizioni di carcere duro per il boss corleonese e per uno dei componenti del gruppo di fuoco, seconda l’accusa dei pm, che a Ferragosto 2007 si macchiò in Germania della strage di Duisburg.

Lungi da noi l’idea di fare della facile ironia sulle loro condizioni di salute – Provenzano sarebbe ammalato di cancro mentre Nirta avrebbe disturbi alimentari – quel che colpisce è la costante e metodica riproposizione di critiche al carcere duro che, non dimentichiamolo mai, aldilà delle costrizioni fisiche, è un vero e proprio colabrodo. Anche dietro le sbarre i boss di mafia continuano a impartire ordini senza problemi.

Chiariamo ancora che il diritto alla salute e alle cure sanitarie è e deve essere garantito a ogni detenuto: a maggior ragione a chi si è macchiato di fatti di mafia o è accusato di essere un mafioso non fosse altro per il fatto che la Giustizia deve essere in grado di fare fino in fondo il suo corso soprattutto con queste figure.

Solo che il sistema penitenziario è perfettamente in grado di garantire ogni forma di tutela e garanzia dei diritti: a partire da quella alla salute. Non esiste carcere che non abbia al proprio interno un monitoraggio sanitario 24 ore su 24 ai detenuti. E allora viene un sospetto: che, ancora una volta, sia proprio l’isolamento dal resto del mondo, seppur spesso virtuale, che i boss di mafia, veri o presunti, intendono abbattere. Come a dire: nessuno può permettersi di recluderci come bestie in gabbia.

E questo sospetto – a pensar male – diventa quasi certezza quando si legge un altro titolo di giornale, questa volta di oggi, 15 settembre, del Quotidiano della Calabria: “Il padrino evade dall’ospedale” e la cui notizia è stata da poco battuta dalle agenzie.

A chi si riferisce il giornale? Ad Antonio Pelle, alias “la mamma”, considerato dagli inquirenti ai vertici della mafia aspro montana, Il boss è stato condannato a 13 anni di reclusione nell'ambito dell'inchiesta sulla strage di Duisburg.

Non è la prima volta che Pelle, boss del clan Pelle-Vottari di San Luca, si dà alla latitanza.

Quando i Carabinieri si presentarono sotto casa sua per arrestarlo dopo l’eccidio in Germania, Pelle non si fece trovare, salvo poi essere arrestato dagli agenti della squadra mobile di Reggio Calabria nell’ottobre 2008, ad Ardore, nella Locride.

Recluso fino a poco tempo fa con il 41 bis ma da pochi giorni ricoverato nell’ospedale di Locri, proprio a causa delle precarie condizioni fisiche. Che tanto precarie non dovevano in fondo essere, dal momento che è tranquillamente scappato da una struttura colabrodo. O no?

IL COLLEGAMENTO

Aspri il collegamento e il sospetto avanzati dal membro della Commissione parlamentare antimafia Angela Napoli (Fli) che ha ricordato come la relazione predisposta dal prefetto Paola Basilone, attualmente vice capo della Polizia di Stato, che ha portato, nel 2006, allo scioglimento per infiltrazione mafiosa dell’Asl di Locri aveva evidenziato le numerose presenze, tra il personale sanitario e parasanitario del presidio ospedaliero, di parenti, alcuni anche stretti, di boss della ‘ndrangheta dell’area jonica reggina. Così come la stessa relazione evidenziava rapporti con la criminalità organizzata attraverso convenzioni e servizi esterni.

Tuttavia, dopo lo scioglimento in questione – ricorda ora Napoli – nessun provvedimento giudiziario o amministrativo è intervenuto per allontanare ed interrompere quei rapporti all’interno del presidio ospedaliero di Locri. Addirittura, inspiegabilmente, la Regione Calabria non ha provveduto, fino ad oggi, ad ottemperare in accordo con il ministero dell’Interno al deliberato che prevedeva l’accorpamento dell’Asl di Locri con l’Asp di Reggio Calabria così come avvenuto per ogni singola provincia con le altre Asl calabresi. Appare, inoltre, di fronte a quanto sopra e in aggiunta ai numerosi omicidi che sono avvenuti nel presidio ospedaliero di Locri, altrettanto grave la mancanza di controlli all’interno e all’esterno dello stesso. E’, altresì, più che comprovato l’interesse che la ‘ndrangheta ha nel settore della sanità calabrese ed è pertanto, estremamente grave che da tale presidio ospedaliero sia riuscito ad evadere, con un piano strategicamente predisposto, il boss della omonima cosca di San Luca Antonio Pelle. L’evasione, sulle cui responsabilità mi auguro possa essere fatta chiarezza con celerità, dimostra come non siano in atto in Calabria i dovuti interventi utili a garantire l’espiazione della pena per tutti i boss della ‘ndrangheta e ci si adagi solamente, con troppa facilità, sugli esiti derivanti dalla cattura degli stessi criminali”.

p.s. Invito tutti ad ascoltare la mia trasmissione su Radio 24: “Sotto tiro – Storie di mafia e antimafia”. Ogni giorno dal lunedì al venerdì alle 6.08 circa. Potete anche scaricare le puntate su www.radio24.it. Attendo anche segnalazioni e storie.

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  • pasquale montilla |

    Gli ospedali calabresi in mano alla criminalità organizzata e commissariata per mafia da anni.Hanno semplicemente consegnato il lupo al branco.
    E’sempre tutto sotto gli occhi di tutti.
    Il suo “Guardie o ladri” è un appuntamento da non perdere mai.
    Pasquale Montilla

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