“Sequestrate armi da guerra e altro materiale di qualità”. Era questo il take con il quale l’ufficio di corrispondenza dell’Ansa di Termoli, in provincia di Campobasso, il 22 luglio dava la notizia del ritrovamento di un deposito di armi della 'ndrangheta. Almeno: sono queste le prime conclusioni alle quali è giunta l’inchiesta, ancora in corso, della Polizia che sta indagando sul ritrovamento di armi in un’auto parcheggiata in un garage.
Il sequestro di armi a Termoli rappresenta uno dei più grossi del centro sud avvenuto di recente: 14 fucili, altri a pompa, mitra, di cui alcuni kalashnikov; 10 pistole, silenziatori, passamontagna, lacrimogeni di segnalazione degli elicotteri, munizionamento per armi particolari, giubbotti antiproiettile, cesoie, ramponi per aprire furgoni. In più, tanto per non farsi mancare nulla, qualche grammo di cocaina.
Materiale vario e per gli investigatori di qualità.
Le indagini non escludono che l’arsenale potesse servire per eventuali grosse operazioni malavitose di una famiglia di ‘ndrangheta di Mesoraca (Crotone), specializzata nel traffico di armi, soprattutto dalla Svizzera, droga e riciclaggio di denaro sporco.
Per quei pochi che credevano che il Molise – una regione-città, con i suoi 319 mila abitanti, più o meno la popolazione di Bari o, se preferite, Cagliari e Foggia messe insieme, anche se i molisani si consolano dicendo che l’Islanda ha gli stessi abitanti della loro regione – fosse un’isola felice dalla contaminazione mafiosa, ecco a voi l’ultima testimonianza significativa (e allarmante) in ordine di tempo. Certo che, in tempi di tagli utili, quello di questa Regione sarebbe una mano santa!
E’ impossibile pensare che una regione che confina con Lazio, Puglia e Campania, rimanga immune dal contagio. Senza dimenticare che la Calabria è lì a un passo. Non a caso il territorio è stato rifugio di latitanti – nel 2000 in Molise è stato arrestato Aniello Bidognetti, tra i boss dei Casalesi – ed è stato spesso scelto come sede per il soggiorno obbligato, soprattutto dai pugliesi.
Diversi arresti di latitanti campani, eseguiti sia in passato che in tempi anche recentissimi, testimoniano che qui la camorra è di casa.
Il 15 luglio 2009, è stata eseguita a Toro (Campobasso), un’ordinanza di custodia cautelare emessa il 1° luglio 2009 dal Gip del Tribunale di Napoli per associazione mafiosa nei confronti di due soggetti ritenuti esponenti del “clan dei Casalesi”. Il loro ruolo? Fungere da collegamento tra S. Cipriano di Aversa e Modena. “Resta la circostanza che due esponenti non secondari di un clan camorristico – scrive a De Simone – avessero la disponibilità di un immobile nel Molise, ritenuto evidentemente utile o per la cura di interessi criminali locali non emersi dalle indagini ovvero per fruire di un appoggio utile agli interessi criminali del clan dei Casalesi con riferimento a regioni più o meno vicine come ad esempio l’Abruzzo, sul quale si appuntano le mire di sfruttamento del clan tramite l’imprenditoria collusa, con riferimento alla ricostruzione post-sismica”.
Anche la Provincia di Isernia è territorio di elezione di appartenenti a clan camorristici (come il clan La Torre, attivo nella confinante provincia di Caserta).
Infiltrazioni camorristiche sono state scoperte anche nei lavori di completamento del 2° lotto della strada Isernia Castel di Sangro-Forlì del Sannio-Rioneo Sannitico. Gli accertamenti svolti dalle Forze dell’ordine hanno rilevato la presenza sui cantieri, con mezzi e personale, di società ritenute in collegamento con alcuni soggetti gravitanti in clan camorristici. Non solo. Alcune imprese avevano tentato goffamente di aggirare la certificazione antimafia.
NEGARE, NEGARE SEMPRE NEGARE
Un antico adagio recita che anche di fronte ad un tradimento colto in flagranza la migliore strategia sia quella di negare sempre e comunque. “Cara non è come credi”. “Caro ti posso spiegare”.
Questo adagio mi è tornato in mente quando il 2 luglio ho letto www.quotidianomolise.it.
L’articolo riguardava gli arresti di presunti affiliati al clan dei Casalesi. L’ultimo era quello di Andrea Letizia sul quale pendeva un provvedimento restrittivo e per questo si era trasferito a Venafro dopo il divieto di dimora in Campania e Lazio inflittogli dal Gip di Napoli per presunti delitti commessi per conto del clan Piccolo di Marcianise.
Il sindaco di Venafro, Nicandro Cotugno, anziché affrontare di petto il problema dei soggiorni obbligati che – come testimoniano tutti gli esperti è un richiamo irresistibile per il trasloco fuori regione delle famiglie mafiose – racconto che gli episodi di cronaca non riguardano la città. “I fatti– dichiarò il sindaco Cotugno al giornale online – non riguardano la città di Venafro. Posso tranquillizzare i cittadini su questo punto. Venafro non ha nulla a che fare con la camorra. Il territorio è sotto controllo perché qui le forze dell’ordine fanno il loro dovere fino in fondo e di questo non possiamo non ringraziare Carabinieri, Polizia, Magistratura per un lavoro straordinario di prevenzione e di salvaguardia del nostro comprensorio da possibili infiltrazioni malavitose”.
Sulla stessa lunghezza d’onda l’ex sindaco Vincenzo Cotugno che in pieno consiglio comunale ha invitato il sindaco e tutta l’assise civica ad alzare la voce e a difendere l’immagine della città e dell’intera comunità venafrana. “Prego il sindaco e tutta l’assise – ha detto tra l’altro Vincenzo Cotugno durante i lavori del consiglio comunale – ad alzare la voce a difesa dell’onorabilità della città di Venafro e di tutte le forze sane della città. A Venafro non c’è la camorra, questo deve essere chiaro a tutti e noi che abbiamo responsabilità istituzionali dobbiamo fare in modo di veicolare questo messaggio all’esterno con unità d’intenti. La nostra città è una città fatta di galantuomini ed è governata da persone per bene da sempre. Il nostro territorio è integro, sano”.
La mafia, insomma, è sempre un problema del comune vicino.
A domani con una nuova puntata su questa regione che, se fosse abolita, nessuno sentirebbe la mancanza (tranne parte dei molisani).
1 – to be continued
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