Dopo la strage di ferragosto 2007 a Duisburg la ‘ndrangheta tedesca è sempre forte e ha capi e capitali

Il ferragosto di quattro anni fa la strage di Duisburg, in Germania.

Fu il momento più alto della faida di San Luca che per anni ha visto contrapposta la cosca dei Pelle-Vottari con quella dei Nirta-Strangio.

Sei le vittime stese davanti il ristorante da Bruno.

Ogni anno è buono, per i media, per fare un punto della situazione. Ebbene, è giusto ricapitolare partendo da tre certezze: la polizia federale tedesca, Bka, nonostante l’aiuto dato, con mille difficoltà, alle autorità italiane, si è fermata al 2009. Anno in cui aiutò la Procura di Reggio Calabria a effettuare una serie di intercettazioni ambientali e telefoniche utilissime per ricostruire la struttura della ‘ndrangheta in Germania. Basta visitare – come ho fatto oggi – il sito della Bka per capire che la ‘ndrangheta è, almeno apparentemente, scomparsa dai radar della polizia tedesca.

La seconda certezza, paradossalmente, è proprio il fatto che le cosche in Germania sono sempre più forti e hanno capi e capitali.

 

IL PROCESSO IN ITALIA

 

Partiamo dall’ultima certezza, la terza: lo stato del processo in Italia.

La Corte d'Assise di Locri, presieduta da Bruno Muscolo, il 12 luglio di quest’anno ha condannato Giovanni Strangio alla pena dell'ergastolo per la strage.

In tutto sono otto (rispetto ai 9 richiesti dalla Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria) gli ergastoli decisi dai giudici nell’ambito del processo Fehida che riguarda la faida tra le cosche di San Luca.

Carcere a vita anche per Francesco Pelle, soprannominato Ciccio Pakistan, Francesco Vottari, Sebastiano Vottari, Sebastiano Romeo, Francesco Nirta, Giovanni Luca Nirta e Giuseppe Nirta.

Assolto invece, nonostante la richiesta dell'ergastolo, Sebastiano Strangio. Stessa decisione per Luca Liotino, per il quale la Dda aveva chiesto la condanna a 15 anni, e Antonio Rechichi per il quale la stessa Procura aveva invocato l'assoluzione. Condannati a 9 anni Antonio Carabetta e Sonia Carabetta, per i quali la Procura aveva chiesto 18 anni di reclusione, e a 12 anni Antonio Pelle (18 la richiesta della Procura).

"Dal risultato dall'istruttoria dibattimentale è emersa tutta la ferocia, la violenza e la personalità degli imputati", ha spiegato il procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, nel commentare la sentenza. Il magistrato ha riconosciuto "il lavoro importante dalla Procura di Reggio e dai carabinieri di Locri in particolare, con una grande collaborazione della polizia di Duisburg e del Bka, senza la quale oggi non avremmo avuto questo risultato". Sulle tre assoluzioni, Gratteri ha detto che attenderà di leggere le motivazioni. "Forse – ha commentato – c'è stato qualcosa che ha riguardato l'acquisizione degli interrogatori in Germania".

Il magistrato, infine, ha sostenuto che "è importante che la Corte d'Assise di Locri abbia riconosciuto la responsabilità degli imputati per fatti così gravi che ci hanno additato come mafiosi, come fossimo in uno stato messicano e sudamericano. Questo ha nuociuto molto non solo alla Calabria ma all'immagine dell'Italia".

Alla lettura della sentenza scene di disperazione. La madre di uno degli imputati, nell'apprendere della condanna all'ergastolo del figlio si è lasciata a urla disperate. E' stata accompagnata all'esterno dell'aula dai carabinieri che svolgevano servizio d'ordine continuando ad urlare e battere pugni al muro.

Mentre Antonella Giorgi, madre di Marco Marmo, una delle vittime della strage, è netta: "Chi ha sbagliato deve pagare, non abbiamo fatto noi i nomi di chi ha ucciso i nostri figli, ma la giustizia. La giustizia deve fare il suo percorso. Senza giustizia non c'è pace". Vicino a lei, ad ascoltare la lettura del dispositivo di sentenza, era seduta Marianna Carlino, madre dei fratelli Francesco e Marco Pergola, anch'essi uccisi nella strage di Duisburg. "Ora – ha detto ai cronisti- voglio che il loro nome sia riabilitato. I miei figli sono stati chiamati mafiosi, ma in realtà sono vittime innocenti della mafia, della scelleratezza di questa gente".

 

LE CAPOTALI TEDESCHE

 

L’inchiesta Il Crimine, scivolata il 13 luglio 2010 sull’asse Reggio-Calabria/Milano ha fatto capire a tutti che la ‘ndrangheta tedesca ha ben altre capitali che non Duisburg.

Singen, Rielasingen, Radolfzell, Ravensburg, Engen e Francoforte: ecco quelle in cui la presenza è forte e spesso asfissiante.

Singen è una città di 45.000 abitanti situata nel land del Baden –Wurttemberg (versante sud-occidentale della Germania, confina a sud con la Svizzera e a ovest con la Francia).

Rielasingen-Worblingen è un comune di 12.000 abitanti situato nel land del Baden –Wurttemberg.

Radolfzell am Bodensee è una città della Germania occidentale sul lago di Costanza. Dopo Costanza e Singen è la terza città più grande del Circondario di Costanza.

Ravensburg è una città di 47.000 abitanti situata nel land del Baden –Wurttemberg.

Engen è un comune di 10.000 abitanti circa situato nel land del Baden -Wurttemberg

Francoforte sul Meno è la città extracircondariale di 670.000 abitanti della Germania centro-occidentale.

 

IL MODELLO

 

In Germania è stato replicato il modello strutturale della ‘ndrangheta calabrese. Le ramificazioni criminali, seppur dotate di una certa autonomia, relativamente alle classiche forme di manifestazione mafiosa, in realtà sono rigidamente dipendenti alla ‘ndrangheta della provincia di Reggio Calabria a cui “rispondono”.

Gli inquirenti hanno avuto conferma dell’esistenza di due gruppi criminali uno che farebbe capo a Bruno Nesci, arrestato in Germania l’8 marzo 2011, l’altro che fa capo ad un personaggio ancora ignoto alle indagini ma certamente di origine calabrese (e forse anche della stessa zona di origine di Nesci) che nelle intercettazioni viene soprannominato “lo svizzero” verosimilmente per essere domiciliato in Svizzera. E’utile evidenziare che la città di Singen si trova quasi a ridosso de
l confine tra la Germania e la Svizzera.

Tra il gruppo di Nesci e quello dello “svizzero” vi sarebbero degli attriti che attengono esclusivamente al predominio territoriale che una fazione vorrebbe esercitare sull’altra.

In tale quadro Nesci si sentirebbe autorizzato ad agire in maniera autonoma essendo egli autorizzato ad esercitare la sua carica di capo società forte di una assenso ricevuto da Domenico Oppedisano. Autorizzazione che con tutta evidenza è espressione del “crimine” al quale Nesci, come scrivono nell’ordinanza i magistrati, risponde, come fanno risaltare i contatti con Domenico Oppedisano, anche per sua stessa ammissione nel corso della telefonata del 22 aprile 2009, alle ore 09:50 in cui esplicitamente riferisce:“la società mia è da sette anni che sta rispondendo al Crimine

 

LE LITI

 

Per porre rimedio all’attrito sorto in Germania tra Nesci e lo “svizzero”, tale Marcello si fece promotore di una riunione alla presenza di un personaggio di spessore: “E adesso Marcello vuole fare l’appuntamento per Agosto… la sotto per ragionare con quello del Crimine, Damiano, Rocco, Totò”.

Nesci, secondo i magistrati capo società in Germania, riceve ordini e disposizioni dalla Calabria (“io quando vado la sotto, parlo di quello che devo parlare, e quando vango qua, dico quello che mi dicono la sotto”).

L’articolazione ‘ndranghetista in Germania (e anche in Svizzera) “risponde” al Crimine (“Adesso se lo vuole fare lo fa, però ci devono essere pure quelli del

Crimine presenti gli ho detto io… Perché lui dipende di là, come dipendiamo tutti”).

Nei contatti che spesso preludono a incontri tra Bruno Nesci e Domenico Oppedisano si usano linguaggi e termini che indicano l’esistenza di una patrimonio linguistico e simbolico di riferimento comune. Si cita ad esempio l’uso dei termini “nuove piante “ e “alberi” di cui Nesci fa uso nel dialogo 19 agosto 2008 e si richiama il significato di tali termini, usati in un contesto del tutto avulso da improbabili questioni agronomiche e che si riferiscono invece all’affiliazione di nuovi adepti.

Un’altra conversazione ci consegna le doglianze di Nesci per un “fiore” conferito i Calabria a un suo uomo senza prima interpellarlo e senza chiedergli se lo meritava. Emerge il ruolo guida di Nesci rispetto alle “piante “ in Germania e la rivendicazione del suo potere di non riconoscere “il fiore” in Germania. Oppedisano lo autorizza in

tal senso.

Dalla conversazione del 3 novembre 2008 si apprende di spinte scissioniste nella Locale di Fabrizia. Persone di Fabrizia residenti in Germania vorrebbero dissociarsi da Nesci replicando la Locale di Fabrizia in Germania . Oppedisano ribadisce che coloro che stanno in Germania rispondono a Nesci .

L’8 marzo 2009 Nesci riferisce a Oppedisano dei problemi esistenti fra la Società di Singen e la Svizzera, delle mire espansionistiche di qualcuno che risiede in Svizzere e che rivendica una squadra autonoma in Germania sicche’ la leadership di Nesci sarebbe messa in discussione, che al fine di rendere nota questa situazione “lo svizzero” sarebbe andato in Italia a parlare con tale Damiano. Oppedisano ribadisce che tutto e’ rimesso alla decisione della Società di cui lui e’ vertice e che fintanto che la lui non sarà investito della questione Nesci manterrà attiva la sua squadra.

Dalla conversazione fra Nesci e una donna emergono altri particolari sulla

degenerazione dell’attrito con “Ntoni lo svizzero”.

Il 3 luglio 2009 Nesci informa Oppedisano di una riunione che sarebbe stata convocata dalla “montagna della Svizzera”, temine con il quale Nesci indica evidentemente il suo antagonista svizzero. Antagonista che sarebbe stato già in viaggio per la Calabria al fine di ottenere i benestare alla costituzione della nuova società.

Il dato, al di là dell’evoluzione della vicenda che avrà esito negativo per l’ aspirante svizzero, conferma che la costituzione di una nuova “società” in Germania necessita del beneplacito degli organi decisionali calabresi.

E’ importante il fatto che Oppedisano rassicuri Nesci sul fatto che nessuno può agire da solo, senza il consenso degli alti gradi calabresi e che “stupidi” sono quelli che vanni dietro lo svizzero.

r.galullo@ilsole24ore.com

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  • bartolo |

    caro galullo,
    mi scuso per le imprecisioni e gli errori, avevo letto velocemente e velocemente risposto.
    la rabbia rimane semppre cattiva!
    di nuovo la saluto

  • bartolo |

    anche se sono stato sprezzante (e mi scuso) il mio non voleva essere un attacco contro di lei, bensì soltanto un invito a farle conoscere la realtà delle mafie a 360°, tralasciando di accodarsi al terrorismo mediatico che oramai ben organizzato opera ininterrottamente dal 1992 nel nostro paese che hanno fatto diventare un paese di m….
    vede galullo, quando sono stato arrestato nel 1993 sa quale è stata l’accusa contro di me? il colonnello pellegrino nel chiuso di un ufficio della dia di roma ha esibito unitamente ad un centinaio di foto anche la mia. l’unico motivo di quella esibizione al cospetto del falso pentito barreca è stato perché risultavo schedato dalla questura in quanto anni prima sono stato denunciato per favoreggiamento personale nei confronti di un latitante che in seguito era stato condannato soltanto per associazione semplice.
    per tornare all’amaro che non riesco a digerire (grazie per gli auguri); non è per me che grido la mia rabbia ma soltanto per fare qualcosa affinché altri casi come il mio non possano più succedere. nel dibattimento mi sono difeso con l’unico modo che un innocente può farlo. e cioè dichiarando di non essere assolutamente un mafioso e di non aver mai avuto a che fare ne conoscere il pentito che attraverso la mia foto asseriva che pur non sapendo chi fossi ero mafioso. sa chi era il pm che ha seguito l’inchiesta? un tale verzera che partecipava a delle feste mondane con ragazzine e ragazzini che approfittando della sua arma giocavano a spararsi. il gip che ha firmato il mio arresto invece era il dottore cisterna, attuale numero due dell’antimafia nazionale. quando dal carcere disperato lo invitavo con decine di lettere supplicandolo di valutare quell’inchiesta in quanto c’era qualcosa che non andava tra un falso pentito, un colonnello corrotto e un pm incapace mi ha scarcerato ma poi chisà perché mi ha rinviato a giudizio in assenza di qualsiasi motivazione, mentre lui prendeva il posto di quel pm ed ha fatto la sua brillante carriera nell’antimafia. oggi, a sua volta, anche lui è accusato da un pentito. soltanto che a differenza mia che mi ha fatto arrestare, il suo inquirente oggi non lo ha fatto. nonostante a differenza del mio caso che non conoscevo e non conosco il signor barreca, egli per sua ammissione conosce il signor lo giudice. come vede galullo, è vero che sono sprezzante. ma è pure vero che per venti anni queste mie denunce fatte a chiunque persino l’altro ieri nella caserma dei carabinieri di melito porto salvo non interessano a nessuno, che siano forze dell’ordine, giudici, giornalisti e società cosiddetta civile.
    un caro saluto e grazie ancora per gli auguri.
    ps
    continuero a seguirla perché sono un sognatore e mi piace pensare che lei sia davvero in buona fede e non faccia parte del plotone di scrittori e giornalisti addetti al terrorismo mediatico.

  • Paola |

    Grazie alle Sue Inchieste giornalistiche- cn la I maiuscola-ed alla Sua capacita’ di cogliere alcune sottigliezze credo che Lei dott Galullo possa tranquillamente fregiarsi del titolo di storico di ‘ndrangheta. Lei ha esposto fatti e ragionamenti in tutti i Suoi articoli che neanche alcuni calabresi, cresciuti a panem et circenses, hanno ancora compreso. Sicuramente tra qualche anno le indagini della magistratura sveleranno una realta’ ancora più complessa dove i lupi travestiti da agnelli verranno svelati. O almeno lo spero x noi calabresi onesti che ci ostiniamo a voler vivere nella ns terra. PS non pubblicate mia mail

  • galullo |

    Caro Iamonte,
    sono sicuro che avrà festeggiato, come è giusto, il ritorno a casa dopo il carcere.
    Non mi permetto di entrare nel giudizio di chi le ha inflitto la pena avendo grande rispetto per la magistratura. Sui magistrati il discorso è diverso: non sono tutti uguali ma questo vale anche per la mia categoria e per tutte le professioni del mondo.
    I sui giudizi sono però sprezzanti e non posso associarmi ovviamente, pur rispettando le sue verità che, sono sicuro, avrà avuto modo di esprimere in dibattimento.
    Mi permetto di segnalarle che forse ha sbagliato indirizzo: non sono certo un giornalista che fa letteratura antimafia. Fatti, fatti e fatti. Lei dovrebbe saperlo bene. E’ sempre stato un mio assiduo lettore e se non ricordo male apprezzava moltissimo quel che scrivevo. Che cosa le ha fatto cambiare idea?
    Lei mi legge insieme a migliaia di altre persone: alcuni mi augurano vita lunga, altri la morte, altri ogni bene, altri mi promettono pestaggi. L’ultimo pochi giorni fa. Non ho mai pubblicato quel commento firmato – che ovviamente è in mano ai miei avvocati – e le assicuro che proviene da una persona con un passato tumultuoso (eufemismo). Egli ha letto in modo errato dichiarazioni altrui e non miei pensieri, però attribuendomeli pur sapendo che ho il massimo rispetto per chi è diventato collaboratore di giustizia. Come vede fare il giornalista ha i suoi rischi ma me ne fotto tre quarti.
    Quelli che temo di più sono gli “invisibili”. Quelli che tacciono ma non perdono – nel mondo della malapolitica, nelle cosche, dei servizi deviati – una riga di ciò che scrivo.
    Coloro i quali non si fanno mai sentire o vedere e che sanno che gli zompo sulle palle (fino a che me lo lasceranno fare) ogni giorno con i miei articoli, con la mia voce in radio e con i libri, per denunciare i loro traffici malandrini e mafiosi.
    Anche questi credono che io non sia un giornalista. Come vede è in buona compagnia e non è il solo a pensarlo.
    Un saluto
    Roberto Galullo

  • bartolo |

    caro galullo,
    come vede ho finito di scontare la pena che la magistratura più mafiosa del mondo mi ha inflitto dopo sedici anni di processo in cui il mio diniego di essere un mafioso è stato cosa inutile; si è preferito invece dare credito al finto pentito barreca, associato a delinquere con i suoi protettori in toga e in divisa.
    quando lei la smette di fare letteratura antimafia e inizia a fare inchieste su questo fenomeno criminale allora forse diverrà un giornalista. rimango a sua disposizione se vorrà iniziare anche da adesso.
    un caro saluto bartolo iamonte

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