ESCLUSIVO/ Il pentito cosentino: “Lo Giudice infanga il pm antimafia Cisterna per motivi personali”

Lo ha detto, lo ha fatto. Il pentito cosentino che vuole denunciare il complotto per incastrare il pm della Procura nazionale antimafia Alberto Cisterna, appreso direttamente nel carcere di Rebibbia da Nino Lo Giudice, ha dato ieri il via libera per presentare un esposto alla Procura della Repubblica di Roma.

L’avvocato che lo difende, Claudia Conidi, questa mattina, attraverso un ufficio legale della capitale depositerà l’esposto-denuncia (si veda il post di ieri in archivio).

L’esposto – che mi è stato recapitato questa mattina – offre una lettura in filigrana. Si scopre così che lo stesso avvocato Conidi ha anticipato direttamente a Cisterna, recandosi in Procura antimafia a Roma, che il proprio assistito era stato “partecipe in Rebibbia  della perpetrazione di un  reato, per averlo appreso direttamente dal suo autore nella struttura carceraria in cui lo stesso era allocato”.

Il “legalese”, lingua scritta e orale spesso incomprensibile nella quale cade anche l'avvocato Conidi, conferma quel che ieri aveva anticipato questo umile blog: il pentito della provincia di Cosenza ha appreso direttamente (ripeto: direttamente) che quello contro Cisterna ma verosimilmente contro altri pm antimafia, è solo un complotto. “Cisterna – si legge nell’esposto-denuncia – è accusato ingiustamente, a dire del …OMISSIS…da un collaboratore di giustizia spinto da interessi  personali nel rendere determinate dichiarazioni che hanno di fatto coinvolto l’attuale Proc. Agg. Dr Cisterna”.

E qui torna d’attualità quel che sto scrivendo da tempo. Vale a dire che la “tragediata”, della quale ogni giorno che passa sono sempre più convinto, alle spalle ha più motivi che si legano l’uno all’altro.

Il primo è quello “familiare”. Alcuni membri della cosca Lo Giudice, senza esercito e senza territorio, dunque inesistente, avrebbe potuto avere un ruolo determinante nella cattura del Supremo Pasquale Condello. Potrebbero essere stati Luciano e Nino, entrati in contatto anni fa con la Procura nazionale antimafia, a portare i pm Cisterna, Vincenzo Macrì e Francesco Mollace (tutti tirati in ballo a vario titolo nella “tragediata”) alla cattura di Condello con l’aiuto determinante dei servizi segreti militari (Sismi). E volete voi che il Supremo (non a caso, etimologicamente vuol dire “colui il quale si trova al di sopra di tutti”) non lo scoprisse?

E infatti lo ha scoperto credo anche facilmente e a quel punto i due Lo Giudice (ma attenzione: con loro tutta la famiglia) sarebbero stati spacciati anche perché, quella protezione e quella tutela, oserei dire quella impunità che chissà perché e percome, pensavano di trovare in quei magistrati, in realtà non c’era. Per il semplice motivo che non poteva esserci.

Di qui è verosimile, dunque, il motivo di risentimento personale di Nino Lo Giudice che il pentito cosentino tira fuori con questo esposto-denuncia alla Procura di Roma.

Non finisce qui. Quale migliore occasione per fare bordello e scatenare l’iradiddio contro le Procure e i procuratori? Bombe, attentati, intimidazioni, manomissioni, bazooka: di tutto di più per creare l’humus che ha dato il via alla seconda fase della strategia della tensione borghese-mafiosa.

Qui scatta infatti il secondo, lucidissimo e geniale (proprio perché banale) step: chi meglio dei Lo Giudice, che erano spacciati, potevano essere utilizzati dal gotha reggino (Condello che offriva così ai Lo Giudice un salvacondotto in cambio del loro sacrificio, Libri, De Stefano, i soli che tutto possono a Reggio) per tutto quel casino?

Perché una cosa deve essere chiara a tutti voi lettori: come ho scritto tante volte, subito dopo il primo attentato (la notte tra il 2 e il 3 gennaio 2010) i boss di ‘ndrangheta con radio carcere avevano già fatto scattare l’ordine di individuare e prendere i colpevoli. Credo che abbiano impiegato non più di 24 ore per sapere chi era stato. Altro che Sismi, Stasi e Mossad!

La caccia ha dato frutti dorati perché, da quel momento, è cominciato un lento e geniale processo di sfiancamento, frattura e divisione tra magistrati antimafia reggini, “romani” e catanzaresi. E intanto che si andava avanti con attentati, veleni, accuse infamanti raccontate a tavola, querele e interrogatori, la ‘ndrangheta ha continuato e continua a fare i propri affari. Distolta l’attenzione dalla matassa politico-mafiosa-massonica che governa la Calabria: obiettivo raggiunto e chissenefrega se intanto arrestano e indeboliscono l’ala militare e narcotrafficante delle cosche. Quella è come i Pokemon: non muoiono mai. Anzi: evolvono!

E un altro obiettivo è raggiunto: sparare bordate micidiali contro la Procura nazionale antimafia (Cisterna è il braccio destro dell’impareggiabile Piero Grasso e Ciccio Mollace è con il Procuratore generale Salvatore Di Landro). Una perfetta stagione di veleni. Una perfetta stagione di corvi che lascerà sul terreno più di una vittima. E non è detto che siano quelle che meriterebbero davvero la gogna.

Non senza avervi ricordato che a Reggio Calabria nulla si fa senza che gli uomini (sempre presenti) degli apparati deviati dello Stato non siano informati (e dunque, anche nei passi di questa tragediata c’è il loro silenzio-assenso), vi lascio con le ultime frasi dell’esposto in Procura: il pentito…OMISSIS…“chiede altresì  l’urgente convocazione dinanzi Codesta Autorità Giudiziaria al fine di poter esporre  quanto dallo stesso appreso all’interno del carcere di Roma Rebibbia da un collaboratore di giustizia che ha accusato il magistrato sopra nominato per fatti gravissimi, ma consapevolmente, del tutto ingiustamente”.

Non so se sarà la Procura di Catanzaro – informata dell’esposto – chiamerà il pentito ma tra la Procura di Roma, quella nazionale antimafia e quella di Reggio Calabria qualcuno, statene certi, dovrà sentire quel che il pentito cosentino ha da raccontare. E verificarne, punto per punto, l’attendibilità soprattutto alla luce di un dettaglio che vi ho rivelato con il post di ieri: il pentito cosentino non sarebbe l’unico collaboratore di giustizia ad avere appreso quel che Lo Giudice raccontava.

r.galullo@ilsole24ore.com

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