Il figlio di Lenin Mancuso, ucciso nel ’79, mi scrive: ecco come viene trattato un familiare di vittima di mafia

Le follie burocratiche, le sottigliezze linguistiche, i distinguo normativi, le finezze legislative, i cavilli codicistici, quando si tratta di familiari di vittime di mafia non mancano mai.

Ricorderete che su questo blog il 24 maggio (si veda post in archivio) avevo raccontato la storia di Milly Giaccone, detta Milly, figlia di Paolo Giaccone, il medico legale ucciso a colpi di pistola l’11 agosto 1982, per essersi rifiutato di alterare i risultati di una perizia medico-legale.

Per lei, che aveva chiesto di andare in pensione anticipata usufruendo dei benefici accordati ai familiari di vittima della mafia, lo Stato ha fatto a gara per metterle i bastoni tra le ruote e dare vita a una serie incredibile di ostacoli che offendono la memoria sua, del padre e di tutti coloro i quali credono che essere figlie o mogli o padri di una persona uccisa dalla mafia non sia un privilegio ma un’orrenda mutilazione.

Dopo quell’articolo (e l’intervista andata in onda nella mia trasmissione “Sotto tiro” su Radio 24, riascoltabile andando nell’archivio della trasmissione attraverso www.radio24.it) mi ha scritto Franco Mancuso, figlio del maresciallo della Polizia di Stato Lenin Mancuso, ucciso dalla mafia assieme al giudice Cesare Terranova, giudice istruttore del Tribunale di Palermo, al quale faceva da scorta, il 25 settembre 1979.

A proposito dei privilegi che toccano ai familiari delle vittime di mafia, ricordiamo che gli assassini sono ancora oggi rimasti ignoti e che il condominio sotto al quale furono uccisi il giudice e il poliziotto, rifiutò di apporre una targa che tenesse sempre viva la memoria di quella strage. Una via a Lenin Mancuso è stata comunque dedicata a Palermo.

Ebbene leggete la storia di Franco Mancuso (la cui intervista manderò in onda nella mia trasmissione “Sotto tiro” domani, mercoledì 1 giugno) e poi chiediamoci – come nel caso di Milly Giaccone – se ormai non stiamo perdendo quel poco di dignità che una volta faceva del nostro Paese il più grande Paese al mondo per cultura.

Siamo sempre la culla del diritto ma una culla che vede spesso i propri diritti soffocati appena nascono. Ma sempre nel rispetto della legge…

r.galullo@ilsole24ore.com

IL TESTO DELLA LETTERA

Egregio dott. Galullo,

Nei giorni scorsi ho letto quanto accaduto  a Milly Giaccone e vorrei raccontarvi la mia via vicenda in tutto simile a quella di Milly.

Sul finire dell’anno 2009 il mio ex datore di lavoro, il Banco di Sicilia ora Unicredit, avendo necessità di sfoltire il personale, mi ha pressantemente invitato a presentare all’Inps domanda di pensione usufruendo dello scivolo di 10 anni concesso agli orfani delle vittime del terrorismo.

Sapendo che l’applicazione di tale beneficio alle vittime della mafia era piuttosto controverso, ho subordinato la presentazione della domanda di pensione all’acquisizione di un parere scritto dell’Inps,  che certificasse il mio diritto ad usufruire dello stesso.

 Alla fine del gennaio 2010 l’Inps ha risposto che l’applicazione del beneficio, già concesso alle vittime del terrorismo, era estensibile anche alle vittime della criminalità organizzata e che pertanto avevo diritto ad usufruirne.

A fronte di tale risposta ho presentato il 28 gennaio 2010 domanda di pensione, che è stata accolta, tant’è che per i mesi di febbraio e marzo 2010 mi sono stati regolarmente accreditate le relative mensilità di pensione.

A fine aprile 2010 sono stato convocato presso l’Inps di Palermo, dove un funzionario mi ha candidamente comunicato che si erano sbagliati in quanto i benefici pensionistici previsti dalla legge 206/2004 non sono applicabili agli orfani delle vittime della mafia.

Conseguentemente mi è stato sospeso il trattamento pensionistico e ho dovuto restituire le due rate di pensione che avevo già percepito.

Pertanto a partire da febbraio 2010 mi sono trovato senza stipendio, essendo cessato dal servizio, e senza pensione non avendo i requisiti per accedervi.

Non avendo nessuna altra possibilità, ho allora fatto domanda di riammissione in servizio al mio datore di lavoro, che dopo alcuni mesi di silenzio, nell’ottobre del 2010 ma con decorrenza febbraio 2010 mi ha collocato, con il mio assenso, in prepensionamento sino al 2014, anno in cui avrò maturato i requisiti minimi per il pensionamento.

 

Cordiali saluti

Franco Mancuso

Palermo

p.s. Invito tutti ad ascoltare la mia trasmissione su Radio 24: “Sotto tiro – Storie di mafia e antimafia”. Ogni giorno dal lunedì al venerdì alle 6.45 circa e in replica alle 0.15 circa. Potete anche scaricare le puntate su www.radio24.it. Attendo anche segnalazioni e storie.

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