Carissimi amici di blog da quattro giorni sto ragionando sull’ordinanza del 15 aprile 2011 della Procura di Catanzaro che ruota intorno alla serie di falliti attentati alla Procura generale di Reggio Calabria e ai procuratori Salvatore Di Landro e Giuseppe Pignatone (rimando all’archivio per i tre post precedenti).
I Lo Giudice – colpiti nel portafoglio e arrabbiati per essere stati lasciati soli dallo Stato – sarebbero i soli responsabili. Peccato che non si conoscano cause, motivi e, aggiungo io, mandanti.
Prima di addentraci nel magico mondo delle profezie che a Reggio Calabria sono di case, vale la pena spendere due righe sulla paradossale chiamata in causa (che fa parte di questa abile “tragediata” che sto da giorni raccontando) di due magistrati.
Sia chiaro: la Procura di Catanzaro scrive chiaro e tondo che i rapporti che i Lo Giudice millantano con alcuni magistrati delle Istituzioni sono antecedenti alla patria galera conosciuta recentemente da Luciano Lo Giudice e comunque, per sua stessa ammissione, del tutto leciti.
Alcuni giorni fa anticipavo che una nuova e velenosissima stagione dei veleni è alle porte e per il momento la Procura di Catanzaro è riuscita a evitare il primo avvelenamento dei pozzi.
I Lo Giudice, chissà perché, non parlano mai apertamente delle bombe ma chissà perchè trovano in questa "tragediata" il tempo di parlare di “un avvocato a Roma” e di “Zio Ciccio”. Verrebbe da chiedersi, a questo punto – e solo per fare un esempio – che fine hanno fatto , quando saranno tirati fuori e da chi, i verbali in cui Luciano Lo Giudice dice di conoscere il magistrato Cisterna, ma come si conosce un benzinaio. Vale a dire, tradotto: buongiorno, buonasera.
L’AVVOCATO E ZIO CICCIO
Il secondo sarebbe il pm Francesco Mollace – transitato il 9 dicembre 2009 dalla Direzione distrettuale antimafia alla Procura generale. Tenete a mente questo particolare e tra qualche riga capirete il perché. Mollace – per inciso – dichiara di non aver mai avuto rapporti né direttamente né indirettamente con i Lo Giudice e aggiunge di non conoscere nulla della vicenda, in quanto nessuno gliene ha mai parlato. I casi sono due, dirà a botta calda: “o è una millanteria di qualcuno o è una menzogna costruita di sana pianta. Apprendo di questa cosa adesso e non so veramente di cosa si tratti”.
Il secondo sarebbe il magistrato Alberto Cisterna che fino a quel momento e anche dopo farà maniacalmente presente al suo capo in Dna, Piero Grasso, che la famiglia Lo Giudice (mogli comprese) lo tampina. Non solo ogni atto, cartolina, telegramma ricevuto o respiro fatto dai Lo Giudice sarà da Cisterna protocollato o comunicato in Dna, ma di ogni atto, cartolina, telegramma o respiro, sarà avvertita anche la Procura della Repubblica di Reggio Calabria. Anzi, di più: il detenuto catanese, Luigi Rizza, che a luglio spiffera che il suo collega di cella Lo Giudice rivela di essere l’autore della bomba a Reggio, non viene inizialmente preso in considerazione. Ritenuto inattendibile? Forse sì, all’inizio, salvo metterlo ora sotto programma di protezione.
Ma a proposito di profezie, ecco un aspetto inquietante.
IL DIBATTITO
Sul Dibattito, mensile reggino, il direttore Francesco Gangemi scrive nel numero del 26 giugno 2010: “…vuoi vedere che stanno per essere arrestati gli autori dell’attentato taroccato del 3 gennaio e Dudù (così Gangemi chiama Di Landro ndr) sta cercando di salvarsi in calcio d’angolo scaricando la bomba sull’avvocatessa Giulia Dieni visto che le indagini hanno preso altre direzioni? Ma quali direzioni avrebbero preso? All’epoca abbiamo formulato le nostre ipotesi grazie soprattutto ai suggerimenti di San Michele Arcangelo:
a) il materiale utilizzato è lo stesso di quello usato per il mancato attentato al bar “Arangea” di proprietà di Antonio Nicolò, fratello di Santo, quest’ultimo ammazzato durante la guerra di mafia, imparentato per mezzo della moglie con i Serraino”.
Ma attenzione al punto b) perché è una vera profezia: “ uno dei pubblici ministeri della Dda, transitato alla Procura Generale non ha mantenuto fede ad alcuni patti, quali: 1) ha lasciato dentro qualcuno che una volta arrestato attendeva il suo aiuto o quello di altro suo collega; 2) l’arresto di Pasquale Condello, detto “il supremo”, gli viene addebitato per non averlo avvertito giacché da lui stipendiato tant’è che gli inquirente trovano nel covo (di Condello) un bigliettino indirizzato ad un magistrato birbo e per chi non l’avesse compreso sto parlando di don Ciccio Mollace da Casignana”.
Ora, a parte il fatto che l’ultima circostanza è stata più volte smentita e negata e a parte il fatto che suppongo che Mollace abbia querelato Gangemi (viste le gravissime accuse formulate nei suoi confronti), quel che appare incredibile è che a giugno c’è chi profetizza quel che accadrà: vale a dire, che uno dei magistrati transitato dalla Dda alla Procura generale (chi altri, vorrei capire, se non Mollace?) avrebbe lasciato solo un detenuto (chi altri se non Luciano Lo Giudice?) che attendeva il suo aiuto o di un altro collega (chi altri se non Cisterna seguendo questo incredibile filo logico?). Insomma a giugno c’è – usando la logica – chi è in grado di raccontare quella che è la motivazione che avrebbe spinto i Lo Giudice e che solo a luglio, per la prima volta, sarà spifferata in una cella a un detenuto siciliano (si veda il post di ieri).
La terza motivazione, scrive Gangemi, è che arrivano alla procura generale “le perizie inviate dal giovane dottor Lombardo sui beni da sequestrare al Supremo”.
Condello al quale, secondo quanto stanno ricostruendo i magistrati con l’aiuto del pentito Consolato Villani, Antonio Lo Giudice avrebbe cercato di fare le scarpe.
E’ interessante leggere – e lo rivelo per la prima volta – quel che Salvatore Di Landro, chiaramente preso di mira da Gangemi con la sua sprezzante ironia, scrive nella lettera-relazione spedita al ministro della Giustizia Angelino Alfano l’8 marzo 2010.
IL GIUDIZIO DI SALVATORE DI LANDRO
Ecco cosa scrive il Procuratore generale alle pagine 14, 15 e 16 della relazione (si tenga presente che anche le sottolineature fanno parte dell’originale): “In Reggio Calabria viene stampato da oltre 20 anni un mensile scandalistico denomina
to “Il Dibattito”, il cui Direttore, tale Francesco Gangemi, ha riportato decine di condanne per diffamazione ma continua imprudentemente a imperversare confidando forse nella sua età avanzata e nella sua nulla tenenza di beni (così almeno pare).
Non ho avuto il tempo di affrontare la tematica giuridica del perpetuarsi della pubblicazione di tale mensile, nonostante le campagne stampa palesemente diffamatorie che si protraggono da anni anche nei confronti di valorosi magistrati, per cui v’è da ritenersi, ad una prima considerazione che – nonostante la palese natura diffamatoria di tanti suoi articoli – sia estremamente difficile – se non impossibile – sul piano giuridico pervenire alla sua chiusura.
Orbene: è risaputo che tale mensile, mentre appare critico e diffamatorio nei confronti di quasi tutti i magistrati, è sempre molto “benevolo” nei confronti deldr. Neri, di cui segue e menzione con particolare cognizione processi e vicende alla quali egli è direttamente o indirettamente interessato. Tale dato è riscontrabile anche attraverso la documentazione (una minima parte, in possesso dello scrivente) che allego.
Già in passato, lo scrivente, per avere osato dissentire rispetto ad alcune iniziative del dr. Neri (vedi caso Sarra), è stato oggetto di “avvertimenti” dal direttore del citato mensile.
Oggi però il caso assume un clamore inusitato e intollerabile, per la presenza di un sostituto procuratore, che ha come suo “protettore” un mensile che diffama “all’occorrenza” il “suo” Procuratore Generale.
Nel numero di gennaio 2010 tale mensile così si esprimeva nei miei confronti: “Il dr. Di Landro è una persona perbene, mite e professionalmente corretto e imparziale…”.
Nel successivo numero di febbraio 2010, essendosi erroneamente e malamente affermata l’idea di un mio intendimento malevolo nei confronti del dr. Neri (per avere semplicemente adempiuto al mio dovere di esporre compiutamente i fatti), tale mensile, prendendo espressamente le difese del dr. Neri, si è scagliato contro di me con un violentissimo attacco diffamatorio tanto inaudito quanto fondato su affermazioni talmente assurde che gli addetti ai lavori possono coglierne subito la palese falsità; mentre l’opinione pubblica, pur conoscendo la dubbia fama del mensile, non può non rimanere perplessa e turbata riguardo alla figura del Procuratore generale.
La totale, palese falsità del contenuto dello strumentale attacco denigratorio è facilmente dimostrabile “per tabulas”; esso è talmente grossolano da non meritare dignità di confutazione: ciononostante (premesso che sono facile profeta nel prospettare un seguito della campagna diffamatoria di tale mensile) i documenti, che dimostrano l’impudenza della diffamazione, possono da me essere messi a disposizione in qualunque momento ove si ritenga opportuno prenderne contezza”.
Ma non solo di virtù profetiche vive Reggio Calabria. Nei prossimi giorni scopriremo cose interessanti sul processo Rende che – come abbiamo visto – lega in qualche modo Di Landro al suo ex sostituto Francesco Neri.
Buona Pasqua a tutti.
4 – to be continued (le precedenti puntate sono in archivio)
p.s. Invito tutti ad ascoltare la mia trasmissione su Radio 24: “Sotto tiro – Storie di mafia e antimafia”. Ogni giorno dal lunedì al venerdì alle 6.45 circa e in replica alle 0.15 circa. Potete anche scaricare le puntate su www.radio24.it. Attendo anche segnalazioni e storie.
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