I proiettili “a orologeria” sulle inchieste del Pm antimafia Peppe Lombardo e le talpe della ‘ndrangheta

Su questo blog ieri ho dato – in esclusiva ripresa poi dalle agenzie di stampa, da blog e tv locali e oggi da diversi quotidiani – la notizia dell’ennesimo proiettile spedito al pm antimafia Peppe Lombardo.

Chi volesse sapere quale è stata la sua reazione all’ennesimo atto intimidatorio può ripescare in archivio il pezzo. Lombardo, pm integerrimo Servitore dello Stato, non si piegherà certo alle minacce e andrà avanti negli scottanti filoni d’indagine che sta perseguendo. Riguardano – tutti – i rapporti tra cosche, politica e zona grigia.

Il giorno dopo questa notizia vorrei soffermarmi non tanto sull’intimidazione – che come scrivevo ieri è più allarmante per il fatto che nessuna parola ha accompagnato il gentile cadeau a Lombardo, intercettato dal centro smistamento delle Poste di Lamezia Terme – quanto sul fatto che le minacce e le intimidazioni non sono causali ma arrivano “a orologeria”.

L’ho già accennato nel post di ieri ma -  forse – i soloni dei media che hanno ripreso la notizia hanno ritenuto opportuno e conveniente non approfondire il discorso delle talpe nella Procura della Repubblica di Reggio Calabria e/o negli organi investigativi che accompagnano le inchieste dei magistrati più esposti, come appunto Giuseppe Lombardo e Nicola Gratteri (ma tanti altri negli uffici della Dda di Reggio stanno portando avanti un lavoro che definire egregio è poco).

Vedete, cari amici di blog, nel passato (non poi così lontano) quegli uffici e quelle stanze erano un colabrodo. Al punto che qualunque cronista – a me è capitato – dopo aver passato il blando controllo in garitta, poteva circolare liberamente tra le stanze alla ricerca del sostituto procuratore Tizio o Caio.

Le cose sono poi (un po’) migliorate dopo che proprio nella stanza di Nicola Gratteri una manina anonima (ancora oggi tale) ha messo una rozza microspia che potesse intercettarne l’azione.

Corvi? Talpe? Di qualunque animale si trattasse è certo che proprio laddove le accortezze, la segretezza e la riservatezza dovrebbero essere elevate al massimo grado, era possibile intromettersi più o meno a piacimento e spiare, controllare. Magari riferire e consegnare.

Ma le cose non sono forse migliorate poi tanto dal punto di vista della sicurezza e della garanzia della segretezza del delicato lavoro che si svolge in quel brutto immobile alla periferia di Reggio Calabria.

Eh sì perché altrimenti non sarebbe successo che – ancora una volta – proprio nei sotterranei del Palazzo Cedir che ospita la Procura, lo scorso anno potessero essere tranquillamente manomessi i bulloni delle ruote della macchina del Procuratore generale di Reggio Calabria Salvatore Di Landro e, sempre lì, lasciati addirittura sul parabrezza della macchina del capo della Procura di Palmi Giuseppe Creazzo, dei simpatici bigliettini intimidatori.

Ma se il Palazzo è un colabrodo – lo sarà ancora oggi? – dal punto di vista “fisico” (cosa comunque inquietante perché sul fronte di guerra, e Reggio lo è, non sono ammesse queste leggerezze a meno che non siano volute), lo è  ancor più dal punto di vista “fisiologico”.

Solo un cretino, infatti, non si porrebbe – ed evidentemente a Reggio sono tutti cretini ma non ci credo – il problema delle strane “coincidenze” delle intimidazioni ai magistrati maggiormente esposti sul fronte antimafia.

“Stranamente” questo proiettile di kalashnikov “nudo” perché non ci sono più parole da spendere, è arrivato a Lombardo proprio nel momento in cui alcuni delicati filoni di indagine stanno arrivando ad una svolta.

Coincidenze? Sì come quelle passate, quando i proiettili arrivarono nel momento in cui aveva toccato i fili del potere cittadino a cui seguì la reazione della “cupola” affaristico-mafioso-massonica della città sulla riva dello Stretto. Che in parte riuscì a sventare il pericolo di essere colpita.

Ora, solo i soliti cretini “intelligentissimi”, le solite rozze menti “raffinate”, possono non capire che se questo accade è perché c’è qualcuno che all’interno di quel palazzo, tra quegli uffici, magari tra coloro che stringono le mani ai magistrati maggiormente impegnati o negli uffici investigativi che accompagnano il corso di quei stessi magistrati, c’è qualche giuda che tradisce. Magari qualche toga sporca o qualche divisa macchiata.

Fantascienza? No siore e siori. Possibile, possibilissimo, verosimile, quasi vero. Vero.

Ma prima di sottoporvi casi concreti vi voglio raccontare un’esperienza personale. Qualche tempo fa, in Calabria, non dico quando e in quale città, salgo sull’auto blindata di un magistrato. Facciamo un bel tratto di strada insieme. Parliamo da amici quali siamo. Ad un certo punto gli domando (anche se sapevo già la risposta): ma perché non abbiamo in macchina neppure un uomo di scorta e guidi tu? Perché sono tutti dietro a seguirci e a precederci? “Perché il silenzio è d’oro” fu la risposta. Chiaro, chiarissimo. Più chiaro di così si muore. Ed infatti si può morire.

Queste sono le condizioni in cui – solo in Calabria? no, quasi ovunque – i magistrati che fanno della lotta alle mafie il loro credo, sono costretti a lavorare.

Una situazione drammatica, in cui fidarsi è diventato un lusso. Andatevi a leggere – tanto per davi un’idea – cosa ho scritto su questo blog il 14 maggio 2010.

Ve lo riporto. Sono atti ufficiali: a prova di qualunque smentita, perché smentite non possono arrivare.

Nella nota spedita ai giornalisti a seguito dell’operazione che il 10 maggio 2010 ha fatto conoscere all’Italia l’asse Camorra-Cosa Nostra per estromettere la ‘ndrangheta dal business miliardario del trasporto e del commercio dei prodotti ortofrutticoli (si veda in archivio il mio post dell’11 maggio), Raffaele Cafiero de Raho, magistrato di punta della Direzione distrettuale antimafia di Napoli testualmente scrive a pagina 3: “…oltre alla consumazione di numerose estorsioni ai danni di operatori commerciali, l’uso di ambasciatori utilizzati per la reciproca trasmissione di ordini e rendicontazioni, il ricorso alla violenza per la risoluzione di conflitti con altri gruppi criminosi, la detenzione di arsenali di armi pronte all’uso, di sofisticati nascondigli – il tutto reso ancor più allarmante dall’esistenza di relazioni inquinate e continuative con appartenenti alle Forze dell’Ordine – le indagini hanno posto in luce come posizione centrale nel sodalizio casalese abbia ancora la famiglia Schiavone (e quella alleata dei Del Vecchio) nonostante i suoi più importanti esponenti siano reclusi”. Mi limito a evidenziare in grassetto e sottolineare la frase che ho trovato – e tutti dovrebbero trovare -  inquietante, disarmante, umiliante. Disperante.

Napoli, i Casalesi e quelle divise lordate, sono più vicine a Milano e alla ‘ndrangheta che inquina le divise molto più di quanto si possa credere.

Leggete qui: pagina 6 della relazione consegnata l’11 dicembre 2009 dalla Procura di Milano alla Commissione parlamentare antimafia. Chi scrive è Ferdinando (detto Enrico) Pomarici , ex magistrato di punta della Direzione distrettuale antimafia di Milano: “…come detto, invece, sempre più presente ed operativa appare l'attività illecita posta in essere da associazioni criminali che si rifanno alla '"ndrangheta" calabrese : infatti risulta accertato che i gruppi qui operanti e che costituiscono articolazione autonoma delle cosche calabresi hanno svolto per anni un'intensa, complessa, attività illecita (soprattutto importazione e commercio di ingenti quantitativi di diversi tipi di stupefacente) con contemporaneo riciclaggio degli altrettanto ingenti proventi illeciti conseguiti, al riparo da reazioni ambientali e controlli delle forze dell'ordine, o da azioni di disturbo dei gruppi criminali concorrenti, infiltrandosi e mimetizzandosi nell'ambiente socio economico della zona di insediamento attraverso condotte ed investimenti apparentemente leciti, con l'utilizzo di attività imprenditoriali e proprietà immobiliari, nonché avvalendosi della rete protettiva rappresentata dai numerosi canali informativi e da supporti operativi acquisiti anche all'interno delle forze di polizia”.

C’è altro da aggiungere?

Si c’è altro da aggiungere. Brevemente e tornando a quel dannato proiettile indirizzato due giorni fa a Peppe Lombardo. Andatevi a rileggere i post che ho scritto su questo blog tra luglio, agosto e settembre 2010. Vi cito come esempio quello del 13 agosto 2010: a Reggio Calabria c’è chi conosce le inchieste e non dovrebbe. E’ l’inchiesta Il Crimine scivolata sull’asse Milano-Reggio Calabria il 13 luglio 2010 che mette in luce connivenze, devianze nei servizi e una rete fitta di spionaggio interno che mette a nudo la facilità con la quale le talpe entrano a Palazzo.

Ma vi siete mai chiesti come è stato possibile che le microspie in casa Pelle siano durate così poco e poi, in fretta e furia, si è dato il via ad una raffica di arresti? Quelle microspie – se fossero rimaste a lungo custodite come un segreto di uno Stato coeso come un solo uomo – avrebbero svelato molto ma molto di più del poco (o nulla) che sono riuscite a svelare.

Per questo è vitale alzare la guardia e i riflettori sul cammino degli uomini impegnati a Reggio e altrove nella lotta alle mafie. Perché se è vero che dai nemici li guarda Iddio e che dagli “amici” si guardano loro, almeno dell’opinione pubblica non debbono curarsi ma solo sentirla vicino. Il mio mestiere serve anche a questo.

r.galullo@ilsole24ore.com

p.s. Invito tutti ad ascoltare la mia nuova trasmissione su Radio 24: “Sotto tiro – Storie di mafia e antimafia”. Ogni giorno dal lunedì al venerdì alle 6.45 circa e in replica poco dopo le 00.05. Potete anche scaricare le puntate su www.radio24.it. Attendo anche segnalazioni e storie.

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  • Paola |

    Ho letto poc’anzi su un quotidiano on line la smentita, inviata per iscritto dai dottori Piagnatone e Lombardo(oggetto quest’ultimo del vile gesto intimidatorio), su una notizia pubblicata dal giornalista Lucio Musolino prprio su quel giornale..i su citati magistrati smentiscono il fatto che il dott lombardo abbia chiesto l’arresto x consigliere comunale reggino, delle cui gesta abbiamo ampiamente letto nelle intercettazioni pubblicate su vari giornali, ed inoltre hanno smentito la circostanza che il proc. Pignatone abbia negato la sua firma x richiesta di arresto x poter effettuare ulteriori indagini. Qui non si capisce più niente..gradirei la Sua opinione anche xche una vecchia volpe diceva che a pensar male si fa peccato…ringrazio anticipatamente.

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