Il corso di Confindustria (chiamarlo “nuovo” come fanno ancora molti osservatori, dopo i 6 anni ormai passati dalle scelte nette e limpide di Confindustria Caltanissetta che aprì la stagione, sarebbe irriconoscente) continua a far paura.
Schierarsi nettamente contro il racket, l’usura e ogni tipo di illegalità spiazza quanti continuano a credere che il mercato non debba essere libero, ma Cosa loro.
E invece Confindustria – con in testa il presidente Emma Marcegaglia, il presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello, il responsabile per la legalità Antonello Montante e tantissimi altri associati di pari dignità che hanno alzato la testa o l’hanno sempre avuta alta – ha detto chiaro e tondo che il mercato non è, non può più essere Cosa loro. Chi si piega è fuori.
Il prezzo da pagare è altissimo.
Come ha ricordato ancora due giorni fa Lo Bello commentando lo smantellamento di una rete estorsiva della cosca Lo Piccolo a Palermo, ci sono ancora molti imprenditori che debbono trovare il coraggio di denunciare. Un coraggio che – oltre che al proprio interno – si trova quando lo Stato c’è. E in molte parti della Sicilia, del Sud e dell’Italia, ancora oggi, spesso, lo Stato non c’è. Peggio: a volte, quando c’è, è colluso o deviato.
Ma le scosse di ribellione sono continue. Lo ha riconosciuto il pm di Palermo Gaetano Paci che proprio a me, due giorni fa, dichiarò (e lo riportai sul Sole-24 Ore) che le nuove leve imprenditoriali palermitane, insieme ai giovani delle associazioni come Addiopizzo, sono le prime a ribellarsi e trascinare i colleghi.
E’ proprio questa frattura generazionale che le mafie temono. Se i giovani rompono il muro di omertà che i genitori hanno subito o in molti casi accettato o condiviso, Cosa Nostra, ‘ndrangheta, Camorra e Sacra Corona Unita sono “fottute”.
Per questo Confindustria – dal Sud al Nord dove per la prima volta due associazioni, Confindustria Liguria e Confindustria Monza-Brianza hanno dedicato la relazione congressuale al tema dell’economia criminale e mafiosa – oggi è più che mai diventata l’ago della bilancia che tanto fa paura alle mafie abituate a fare affari in un mercato dopato e drogato dalla loro lurida e inquinante presenza.
Anche per questo gli occhi degli innovatori e dei mafiosi si posano oggi sulla Calabria, dove per la prima volta dopo secoli di acquiescenza, collusione e paura, la società civile e l’imprenditoria sana danno segni di risveglio.
Per questo oggi un imprenditore calabrese onesto, Antonino De Masi chiamato a condividere un corso che condivide da sempre, ha scritto al presidente di Confindustria Emma Marcegaglia e al suo collega siciliano Antonello Montante, giovane ma forte anello di quella catena di legalità, che deve e può attraversare l’Italia intera. Vi chiedo di leggere il testo della lettera che riporto sotto.
Una lettera scritta di getto dopo che una lurida e anonima mano mafiosa ha spedito un caricatore vuoto indirizzato a E.M. (Emma Marcegaglia) e A.M. (Antonello Montante).
Può un caricatore vuoto fermare un corso di legalità?
La risposta è semplice: no, neanche se fosse stato pieno o, peggio, se avesse, come è successo nel passato, sparato per spezzare la catena di legalità. Ormai non più.
r.galullo@ilsole24ore.com
IL TESTO DELLA LETTERA
Cara Presidente
Ho appena letto quanto pubblicato dalla stampa circa l’intimidazione che hai ricevuto, insieme al collega Montante.
Sono senza parole, esterrefatto, perché un Paese finisce di essere libero e democratico quando si usa la violenza e le minacce per imporre la volontà o limitare la libertà.
Sono ancor più amareggiato, deluso, arrabbiato, in quanto da come riportato dalla stampa tali fatti vengono collegati alla questione Reggio Calabria.
Io sono un calabrese, un reggino, un componente del comitato di reggenza appena nominato dai probiviri dopo il commissariamento di Assindustria Reggio e quindi in parte appartengo a quella realtà geografica economica ed associativa che, come sembra emergere dalle notizie stampa, è causa di tali azioni criminali.
Dirti che la Calabria ed i calabresi sono altro, sono persone perbene, è ormai banale e non basta, dirti che tali criminali sono una minoranza e che infangano l’onore di una terra è superfluo; non ho parole. Io sono una persona che mette al centro del proprio essere valori primari come la libertà e la democrazia, e nel nome di tali valori spesso “combatto” battaglie che vanno molto al di là delle mie possibilità, ma credo che per l’importanza della posta in gioco siano doverose, in quanto tutti siamo chiamati a fare scelte che portano responsabilità e rischi e nel nome della nostra libertà andiamo avanti.
Non so a questo punto cosa dirti Illustrissima Presidente, il mio scriverti è un atto di stima e di ammirazione per quello che fai e per come lo fai, è un abbraccio da calabrese affinché un giorno tutti possiamo tornare a vivere un paese normale..
Spero che molti calabresi sentano la necessità di scriverti e di manifestarti la solidarietà di un popolo che per la maggior parte è forse omertoso, forse silente, forse inconsapevole,forse rassegnato, ma certamente per bene.
Antonino De Masi
Componente comitato esecutivo di reggenza Confindustria Reggio Calabria
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