A interrogarsi sul fatto che a Reggio Calabria i pentiti spuntano come funghi ieri sono stati due “opposti politici o politici opposti”: gli onorevoli Angela Napoli (Fli) e Beppe Lumia (Pd), membri della Commissione parlamentare antimafia. Hanno alzato il ditino per chiedere, in un tripudio di euforia per l’ultimo arresto del presunto armiere della cosca Lo Giudice, che cosa stia mai accadendo e perché mai ci si concentri così tanto sugli esecutori e così poco sui mandanti delle intimidazioni, sottinteso, politici e borghesi. E come mai, in una terra in cui se chiedi paradossalmente al figlio come si chiama il padre, il figlio sputa per terra e se ne va, ora molti sembrano diventati più loquaci di un ventriloquo.
Napoli sì o Napoli no, Lumia sì o Lumia no, qualche analisi a freddo bisognerà pur provare a farla, altrimenti si corre i rischio di guardare solo il dito perdendo di vista che può indicare la luna.
Nelle mie recenti cronache sul Sole-24 Ore (compresa quella odierna), abituato come sono, da anni, a raccontare “tragediate” e abili messe in scena nel meridione che puzza di mafia, sto andando con i piedi di piombo nel raccontare (come non fanno invece i procura-dipendenti) quel che sta accadendo a Reggio Calabria e in tutta la regione, con pentiti che tutto d’un botto, nella regione forse più omertosa del mondo, saltano come grilli e si prendono quasi a cazzotti per raccontare che “le bombe le ho messe io, no le ho messe io. I bazooka li ho io, no tu li hai ma sono arrugginiti, io li ho nuovi e se non taci ti sputo” e via di questo passo.
Ma vi pare credibile? No alt, non rispondete, perché non è questo il punto. Il punto è andare con ordine e ragionare a mente fredda.
Vedete, cari amici di questo umile e umido blog, ci sono alcuni dati oggettivi e alcuni soggettivi.
ALCUNI DATI OGGETTIVI
Partiamo dai primi. La Procura di Catanzaro ha dapprima (motivandola con una corposa documentazione arricchita di preziosissime gemme informative dai Ros dei Carabinieri in giù) seguito la pista della cosca Serraino per quanto stava accadendo o era successo (bombe alla Procura etc etc). D’intesa con la Procura di Reggio Calabria, si intende. O almeno questo dovremmo presumere altrimenti (Dio ce ne scansi e liberi) dovremmo pensare che l’una non sa cosa fa l’altra e viceversa, Il che sarebbe grave quando le persone offese sono magistrati (vale a dire colleghi).
E perché mai dovrebbero essere stati i Serraino a scatenare la guerra santa contro la magistratura calabrese? Ma perché – poffarbacco – la Procura generale aveva rivoltato il metodo di lavoro come un pedalino: d’ora in avanti mai più appelli morbidi, mai più giudici “soft”! Contro la ‘ndrangheta, vale a dire lo sporco più sporco, una Corte d’Appello che avrebbe lavato più bianco del bianco! Nel frattempo, se ne vanno (o vengono cacciati?) dalla Procura generale due magistrati. Uno in sordina, l’altro con un clamore pazzesco e seguito di polemiche e veleni. E a condurre la guerra (per conto di chi? E ancora: da soli? E infine: senza accordi extra-‘ndrangheta?) i Serraino. Che bravi ‘sti Serraino! Bene, bravi, bis.
Tutti d’accordo, però, su un punto che mi sembra saldo: con l’arrivo un anno fa di Salvatore Di Landro alla Procura generale, i processi di appello hanno finalmente un’impronta di legalità assoluta.
Quando tutto questo sembrava una pista solida, fanno cucù tre pentiti di cui uno, Nino Lo Giudice, detto il “nano” (svergognati coloro i quali si sono permessi di copiare il soprannome di diritto appartenente a ben altro soggetto politico nazionale) la cui storia familiare è (sembra, almeno così in molti pensano) di mezza tacca. Lui e i suoi pur numerosi fratelli sono delle cartucce sparate, valida manovalanza, nulla più. De Stefano e compagnia bella se li mangiano a colazione inzuppati nel latte. Ma il nano si fa gigante è dice: “ho stato io picciotti. Ho stato io a mettere la bomba. Ho stato io a mettere il bazooka. Ho stato io a mettere l’altra bomba. E già che ci sono confesso che ho stato io, da bambino, a incolpare i De Stefano di avere abbandonato la carriera criminale per diventare tutti chierichetti ad Archi”.
Quindi i Serraino (famiglia che non è nel gotha della ‘ndrangheta ma aspira ad esserci) si dissolverebbero come neve al sole, mentre avanza come un panzer la famiglia Lo Giudice (manovalanza numerosa e tanta voglia di mettersi in mostra) che non solo potrebbe essere dietro le intimidazioni alla Procura generale ma anche dietro quelle alla Procura che conduce dure battaglie contro le cosche.
La tragediata (o forse la verità) non si ferma mai e continua con l’ultimo colpo di scena (ma sono appena le 10.30 del mattino del 21 ottobre e altri colpi di scena sono in arrivo, tranquilli): al valico triestino di Feretti ieri acchiappano il gitante Cortese, supposto armiere dei Lo Giudice, che se ne era scappato in Romania ed era di ritorno dalla villeggiatura forzata. “Hai stato tu – gli chiedono subito tutti - a mettere la bomba su ordine del nano?” “No – rintuzza Cortese – non ho stato io”. E chi allora? Tutto il cucuzzaro!
Fin qui i dati che a me paiono oggettivi: la cronaca cruda e sintetica di quanto sta accadendo intorno ai presunti colpevoli delle tante intimidazioni.
Ah no, scusate, un ultimo dato oggettivo: zitta zitta la Procura di Reggio Calabria tira fuori dal cilindro alcune inchieste scoppiettanti in cui la politica e i servizi segreti deviati fanno cucù e forse anche bum-bum e la stampa che fa? Non se ne accorge o quasi. In pochi ne scriviamo e in pochi (34 parlamentari di Pd, Idv, Fli e Mpa) presentano un’interpellanza parlamentare urgente al Governo per sapere cosa c’è dietro la strategia della tensione a Reggio. Quali sono le connivenze politiche e via di questo passo.
Il Governo non manda (come richiesto ma anche se non fosse stato richiesto sarebbe stata logica e naturale la sua presenza) il ministro dell’Interno Roberto Maroni, ma spedisce un sottosegretario leghista che legge un compitino e dà zero (dico: zero) risposte. Bene, bravi, bis. E anche ter.
CONSIDERAZIONI SOGGETTIVE
E veniamo ora alle considerazioni soggettive. In questo caos stiamo (temo) perdendo di vista che la ‘ndrangheta ha due cappelli: uno da contadino. La mafia rurale, quella aspromontana tutta soldi, sangue e violenza. L’altro, da gentleman inglese. La mafia borghese, imprenditoriale, massonica e politica, tutta affari, connivenze, illuminate e impensabili strategie e deviazioni.
Ohibo! Ho detto deviazioni. Ma….Ma questa parola mi riporta magicamente alla mente un nome: Giovanni Zumbo! Se “zumba” lui, mi son detto e scritto, “zumba” tutta la Calabria e sai che botto! A pigiare il tasto su questo controverso commercialista reggino siamo rimasti in non più di quattro gatti (un paio di giornalisti e un paio di magistrati). Così come a pigiare il tasto sulla mafia borghese, colta e deviata, inzuppata nel brodo disgustoso delle logge deviate, siamo rimasti in quattro gatti (i soliti noti e, al tempo stesso, ignoti).
Adesso, cari lettori dell’umile e umido blog, si può provare a fare una riflessione (non a dare una risposta-verità) a quella domanda di cui sopra: tutto quel che sta accadendo vi pare credibile?
La risposta è si. E’ credibile ma bisogna essere consapevoli che la credibilità è limitata al dito. La luna è altrove.
E’ anche nelle carte dell’inchiesta “Meta” ed è nelle carte dell’inchiesta “Cento anni di storia” ad esempio. Lì c’è l
a borghesia mafiosa e politica, lì c’è la ‘ndrangheta tutta azioni e Borsa, lì c’è la massopolindrangheta che un altro straordinario pm, Pierpaolo Bruni, anche a Crotone ha provato a scoperchiare prima che scoperchiassero lui!
E lì c’è la miscela disgustosa capace di mettere in piedi un abile regia, un “disordine probatorio” che un domani renda tutte le “fonti probanti e pentite” che stanno emergendo dalla melassa calabrese, inattendibili e false. O forse attendibili. O forse no, solo per metà. O forse per un quarto. O forse quel pentito non è poi così pentito. O forse….
E tra un forse e un però si ricostruiranno magari verginità (alcuni magistrati defenestrati con ignominia saranno portati in processione come martiri), si rileggeranno le carte di inchieste scottanti, si condurranno nuove guerre tra palazzi di giustizia mentre le cosche non faranno la guerra ma faranno l’amore. L’amore per gli affari, condotti all’ombra delle logge massoniche deviate con il benestare dei servizi segreti deviati e della politica (che qui è quasi sempre deviata), perché, come ha dichiarato il capo della Procura di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone in commissione parlamentare antimafia il 21 settembre 2010, “…parlando di ‘ndrangheta, ma lo stesso varrebbe per Cosa Nostra, non possiamo distinguere l’ala militare da una indistinta e del tutto autonoma borghesia mafiosa, l’una è mischiata con l’altra”. E bene ha fatto Pignatone ad aggiungere, ieri, che i suoi uffici “non guarderanno in faccia a nessuno”.
Dalle parole si passi ai fatti.