E’ scattato nuovamente l’allarme per possibili attentati contro obiettivi sensibili di Palermo: il Palazzo di Giustizia, la squadra mobile e magistrati e uomini delle Forze dell’Ordine e della società civile che negli ultimi hanno continuato con atti e fatti a togliere l’ossigeno a Cosa Nostra.
Le informative raccontano quanto noto agli addetti ai lavori: l’ala stragista (ancora viva) vorrebbe ricavalcare l’onda di 18 anni fa e tornare a fare la voce grossa con attentati clamorosi.
Nessuno mi toglierà dalla testa che se questo è, lo si deve a una duplice volontà della mafia siciliana: allontanare la verità da quelle stragi (su cui sta scavando tra mille difficoltà anche la Procura di Caltanissetta) ma soprattutto ricercare un nuovo equilibrio con la politica e con le Istituzioni. Con un obiettivo che a me pare chiarissimo: la secessione, che sarebbe benvenuta.
Cosa Nostra fiuta ciò che gli altri neppure avvertono e per me ha fiutato non tanto le difficoltà di Sua Onnipotenza Psico-Fisica di Arcore (quelle son tutte da dimostrare) e dunque la necessità di prepararsi a nuovi equilibri politici, quanto il vento di secessione che la funesta e funerea Lega Nord continua a far spirare più forte di sempre, anche se si ammanta di una verginità federalista del tutto inesistente. Un vento che fa godere le mafie (giustamente dal loro punto di vista criminale) e che fa godere Bossi (che però sbaglia a godere).
IL VENTO DELLA SECESSIONE GRADITO A COSA NOSTRA
Ora molti di voi si chiederanno: ma che c’azzecca Cosa Nostra con la secessione? C’azzecca da sempre. Da sempre, cioè, l’ala indipendentista di Cosa Nostra ha ispirato (e ispira) modelli e movimenti politici che fanno dell’indipendenza dell’Isola un lungimirante cavallo di battaglia per meglio governare i propri traffici (ovviamente non mi riferisco all’indipendentismo politico storico, a esempio quello marchiato Andrea Finocchiaro Aprile, tanto per capirci, che aveva radici culturali e storiche di ben diversa valenza).
Il 21 marzo 2001 la posizione di Licio Gelli, Stefano Menicacci, Stefano Dalle Chiaie, Rosario Cattafi, Filippo Battaglia, Salvatore Riina, Giuseppe e Filippo Graviano, Nitto Santapaola, Aldo Ercolano, Eugenio Galea, Giovanni Di Stefano, Paolo Romeo e Giuseppe Mandalari fu archiviata dalla Procura di Palermo. Tutti erano indagati (il pm che chiese l’archiviazione constatò che erano scaduti i termini per le indagini preliminari) per aver “promosso, costituito, organizzato, diretto e/o partecipato ad un’associazione, promossa e costituita in Palermo anche da esponenti di vertice di Cosa Nostra, ed avente ad oggetto il compimento di atti di violenza con fini di eversione dell’ordine costituzionale, allo scopo – tra l’altro – di determinare, mediante le predette attività, le condizioni per la secessione politica della Sicilia e di altre regioni meridionali dal resto d’Italia, anche al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa Cosa Nostra e di altre associazioni di tipo mafioso ad essa collegate sui territori delle regioni meridionali del Paese. Fatti commessi in Palermo (luogo di costituzione e centro operativo della associazione per delinquere denominata Cosa Nostra) ed altre località, in epoca anteriore e prossima al 1991 e successivamente”.
Le posizioni di Gelli, Menicacci, Delle Chiaie, Cattafi, Battaglia, Di Stefano e Romeo, furono archiviate anche per quanto riguarda l’accusa di aver progettato ed eseguito un programma di eversione dell’ordine costituzionale, con lo stesso scopo sopra descritto.
L’ARCHIVIAZIONE DEL 2001
Sono andato a rileggermi gli atti di quell’archiviazione. A pagina 13 il pubblico ministero osservava che : “I nuovi soggetti politici, consistenti in varie leghe meridionali da aggregarsi poi in un’unica Lega meridionale, avrebbero dovuto agire in sinergia con la Lega Nord, movimento allora emergente e in grande crescita, che perseguiva da anni un autonomo progetto politico accentuatosi in quella fase storica in direzione del secessionismo di alcune regioni del settentrione. La creazione di uno Stato autonomo nel Sud con prerogative di sovranità avrebbe consentito di monopolizzare la gestione politica degli interessi economici leciti e illeciti, trasformando questa parte del paese in una sorta di zona franca, governata da soggetti espressione del sistema criminale.
Per utilizzare le parole di uno dei collaboratori, venuto a conoscenza di parti significative di tale progetto, sono anni in cui Cosa Nostra e i suoi referenti progettano di “farsi Stato”, ritirando la delega per la tutela dei propri interessi a settori del mondo politico rivelatisi inaffidabili, con l’intenzione di gestirli diretta
mente, tramite proprie creature politiche”.
IL RUOLO DELLA MASSONERIA DEVIATA
Alle pagine 128 e 129 si legge che: “…la Lega delle Leghe del gruppo gelliano, dunque, non si presentava come movimento antagonistico della Lega del Nord ma, anzi, ne faceva proprio il programma e i contenuti ideologici, presentandosi come l’attore politico in grado di pilotare al Sud il programma di divisione dell’Italia in macroregioni. Il progetto finale, come si è accennato, era quello della divisione del paese in due o tre macroregioni, con statuti di Stati autonomi, in un Italia federata destinata a perdere la propria identità nazionale e ad essere attratta al Nord sotto l’influenza della Europa del Nord e al Sud sotto l’influenza dei paesi del Nord Africa (Libia). Ed è ben comprensibile che tale progetto facesse gola anche alle organizzazioni criminali. La frammentazione del paese in stati federali avrebbe consegnato il Sud all’egemonia del sistema criminale, e ciò anche grazie anche alla regionalizzazione del voto e all’introduzione del sistema uninominale che esaltavano le potenzialità di condizionamento delle votazioni da parte delle organizzazioni mafiose e delle lobbies criminali”.
IL BENESTARE DEI CALABRESI
Gli accordi stipulati tra Cosa Nostra e ‘ndrangheta calabrese su un’analoga strategia avente obiettivi destabilizzanti al fine di realizzare la secessione della Sicilia e del Meridione dal resto d’Italia furono corroborate anche dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia calabresi Filippo Barreca e Pasquale Nucera.
Barreca il 12 settembre 1996, nel corso di un interrogatorio, affermò che la regia di tale disegno era da ricercarsi a Milano dove era avvenuto un incontro tra i clan calabresi facenti capo ai Papalia ed esponenti di Cosa Nostra siciliana. Il tutto, ovviamente, con la benedizione della massoneria deviata.
Anche il collaboratore calabrese Pasquale Nucera ha riferito di un “piano politico criminale” elaborato dalla criminalità organizzata nel 1991. In particolare, ha dichiarato che il 28 settembre 1991, in occasione della riunione annuale della ‘ndrangheta che si tiene presso il santuario di Polsi, alla quale era presente come rappresentante della famiglia Iamonte, avevano partecipato, oltre ai vari capi della ‘ndrangheta, anche alcuni rappresentanti di famiglie napoletane, esponenti mafiosi calabresi provenienti da varie parti del mondo (Canada, Australia, Francia), tale Rocco Zito, in rappresentanza di “Cosa nostra” americana e un personaggio di Milano, definito come “un colletto bianco” legato alla mafia siciliana e calabrese. Quest’ultimo, in particolare, dopo aver affermato che in Italia ci sarebbero stati degli “sconvolgimenti” (non meglio specificati), aveva rappresentato la necessità di una “pacificazione fra le cosche calabresi, perché i siciliani delle famiglie americane ci tenevano molto per poter meglio realizzare un progetto politico, consistente nella costituzione di un movimento politico di Cosa nostra definito partito degli amici”.
I GIORNI NOSTRI…
Attenzione: quell’inchiesta, nata a seguito della strategia della tensione politico-mafiosa degli anni ‘91/92/93 tramanda ai giorni nostri una fotografia che, nei fini, acquista nuovo vigore alla luce di quanto sta accadendo in Italia (o quel che ne resta).
Sugli interessi di Cosa nostra a proseguire sulla strada della secessione non c’è dubbio alcuno. La Sicilia è “cosa loro” nonostante la ribellione di pezzi di società civile e imprenditoria. Così come non c’è dubbio alcuno che molti rantoli della politica siciliana che preme per la creazione di movimenti indipendentisti o largamente autonomisti sono di ispirazione mafiosa.
Ma c’è di più, molto di più rispetto a 20 anni fa. Il radicamento affaristico-politico-mafioso di Cosa Nostra al centro e al Nord Italia è un dato di fatto. Così come dati di fatto sono altre due cose: l’equilibrio in tutta Italia con le altre mafie è ormai consolidato (da Fondi a Reggio Emilia, da Modena a Torino, da Genova a Padova, da Roma a Pavia) e si basa quasi sempre sul riconoscimento della supremazia delle cosche calabresi, a partire da quelle onnipotenti della pr
ovincia di Reggio.
E’ a maggior ragione, dunque, è un dato di fatto incontrovertibile il consolidamento della ‘ndrangheta che non solo domina pressoché incontrastata ma del centro e del Nord Italia ha ormai fatto una roccaforte di affari e scambi di voto. Alla ‘ndrangheta dunque (e alla Camorra casertana) la secessione fa un baffo. Anzi rafforza e fortifica il disegno di un antistato che si fa Stato non solo al Sud ma anche nel resto d’Italia. Un antistato che si fa Stato ancor prima che lo Stato se ne possa accorgere. Quando se ne accorge è sempre (consapevolmente) troppo tardi.
IL RUOLO DELLA POLITICA
Ed ecco che veniamo alla terza, fondamentale componente del processo secessionistico: il ruolo della politica connivente. Se in Campania, Calabria e Sicilia si può in molti casi parlare di simbiosi totale, al Nord il processo di identificazione appare sempre più chiaro. Lasciamo perdere le timide e sconnesse inchieste degli anni Ottanta, Novanta in cui il voto di scambio (soprattutto in Piemonte) si affacciava nell’ignavia della società civile e della Politica (ancora ce n’erano sprazzi con la P maiuscola). Oggi l’inchiesta “Il Crimine”, solo per citare la più nota, testimonia che il connubio con la politica locale e nazionale è realtà. Anzi: Come ho anche scritto sul Sole-24 Ore e come logica vuole, non potremmo certo meravigliarci di scoprire un giorno che anche cellule politiche leghiste siano o siano state vicine alla criminalità organizzata e sono pronto a giocarmi la figurina di Bossi che indicazioni di votare a palate i candidati della Lega a ogni elezione possibile e immaginabile giungano dai boss e dai padrini-padroni di mezza Italia, a insaputa degli stessi candidati, sia chiaro. Così come sono strasicuro che affiliati alla criminalità organizzata frequentino con il fazzoletto verde al collo – a loro insaputa – le sedi dei nobili politici della Lega Nord e che magari in campagna elettorale il loro portafoglio votivo sia particolarmente generoso, senza che magari lo sappiano.
Le mafie hanno chiarissimo in testa il fatto che con la Lega bisogna fare i conti e dunque la Lega diventa oggetto del desiderio contaminativo, di amore e blandizie. Il dramma è che anche la Lega Nord crede di poter regolare vittoriosamente i conti con le mafie e se si fa presente che qualche allegro filmino riprende magari per sbaglio supervotati consiglieri regionali lombardi (non indagati, per carità di Dio) in compagnia di “goodfellas” della ‘ndrangheta, fanno spallucce e ruttano improperi.
MILANO CAPITALE TRIPLA: PER LA LEGA, LE MAFIE E LA MASSONERIA DEVIATA
Il paradosso dunque non è più tale e Milano, la Milano di Bossi e della Lega (che non ho mai amato come movimento politico proprio perché ha alla base una miope dissoluzione dello Stato unitario sulle fondamenta di una cosa inesistente come la Padania) è oggi la capitale delle mafie. Non più la capitale di “riserva” rispetto a Caserta, Reggio Calabria o Palermo, ma la vera capitale affaristico-massonico-mafiosa di ‘ndrangheta, Cosa Nostra e Camorra. Oggi la famiglia Papalia (che guarda caso si ritrova in quell’inchiesta archiviata nel 2001 a Palermo) in Lombardia è tra quelle che dettano legge nonostante i colpi ricevuti. Tutte le famiglie delle mafie spingono oggi per la secessione, consapevoli che sarà più facile governare i propri traffici in un tessuto, quello settentrionale, ormai “calabresizzato” e privo di anticorpi. Un affare ancora più semplice se – e anche questo è acclarato, a esempio con i rapporti siciliani dell’89enne Licio Gelli che ha risposto con il silenzio alle domande dei pm Fernando Asaro e Paolo Guido della Dda di Palermo saliti appositamente lo scorso anno a Villa Wanda di Arezzo per interrogarlo – la massoneria deviata è al fianco di questo progetto che non nasce per dividere l’Italia ma per raddoppiare gli affari.
Bossi e compagnia questo lo sanno ma pur di portare a compimento il proprio progetto, sono pronti a correre il rischio. L’inesistente Padania vale il prezzo della mafia anche quando su quell’inesistente nazione di un popolo inesistente le mafie hanno già piazzato i propri uomini e le proprie bandiere? Ma non basta vedere quanto e come le mafie siano ormai transnazionali e se ne fottano dei confini geografici? Non insegna nulla la miopia dell’Europa falsamente unita che non ha una linea univoca di sbarramento alle mafie e neppure scandalosamente una legislazione comune che ad esempio riconosca ovunque l’associazione a delinquere di stampo mafioso o le stesse durissime norme contro il riciclaggio? Ma dove crede di andare Bossi con il “trota” a seguito e i pecoroni verdi a “belare dalle sue labbra”?
E’ triste rilevare che l’unica strada percorribile – uno Stato unitario e federato anche nella lotta al crimine organizzato – sia avversata tanto al Sud quanto al Nord. Vuol proprio dire che le mafie sono a un passo dalla vittoria.
Arrendiamoci, con o senza un fazzoletto verde al collo e prepariamoci all’eventuale colpo finale delle ali stragiste di Cosa Nostra e ‘ndrangheta, che faranno strame di ciò che resta dell’Italia, mandando all’aria l’attuale assetto politico, che seppur disgustoso è il frutto di un voto ancora de
mocratico, tra un dito medio alzato di Bossi, un cappuccio indossato in una loggia deviata magari di Lamezia Terme e un rutto in un circolo lombardo dove si votano i capi della ‘ndrangheta.
r.galullo@ilsole24ore.com
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