Cari lettori, debbo ammettere che non avrei mai voluto scrivere gli articoli che ho scritto sul “Sole-24 Ore” domenica 13 dicembre e ieri, martedì 15. Ma sapete com è: mi pagano per scrivere notizie.
Non avrei mai voluto scrivere di un portone sbattuto in faccia ai pm forlivesi Fabio Di Vizio e Marco Forte che da oltre un anno e mezzo stanno indagando sull’asse Forlì-San Marino, con un pool dedicato di 10 ufficiali di polizia giudiziaria, oltre ai consulenti tecnici.
Il lavoro – che finora ha prodotto una mole di lavoro di oltre 120mila pagine – ruota intorno alla cosiddetta inchiesta Varano, che ai primi di maggio ha portato all'arresto dei vertici della Cassa di Risparmio di San Marino e del gruppo italiano Delta, con l'accusa che la prima (banca extracomunitaria) controllasse illegalmente il secondo.
La Procura che sta indagando su ipotesi di riciclaggio, abusivismo bancario e finanziario, evasione fiscale, appropriazione indebita e ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, si è vista di fatto strapazzare la richiesta di rogatoria. Con una sentenza emessa il 9 dicembre, la “Consulta"
sammarinese ha detto no agli interrogatori e ha sfidato la Procuradi Forlì a chiedere il sequestro degli atti. Di questo, ahimè, ho scritto sul Sole-24 Ore negli ultimi giorni.
Parlo di sfida perché se i pm battessero la strada della richiesta di copia degli atti, a conoscere gli atti sarebbero – ancor prima dei pm stessi – gli indagati presenti e quelli eventualmente futuri, con buona pace di quella segretezza assoluta alla base della premessa di rogatoria.
Fine del discorso, dunque. La rogatoria – che pure era stata ammessa dal commissario della legge Rita Vannucci – a questo punto ha 99,99 probabilità su 100 di rimanere un bel ricordo.
La mia sensazione (sapete che scrivo sempre quello che penso) è che la Procura
di Forlì abbia comunque in mano materiale sufficiente per disinteressarsi (o quasi) dell’incidente di percorso che, suppongo, sia stato ampiamente previsto. Più che altro è l’ennesima prova (dopo l’inchiesta Re Nero) di due vasi giudiziari e processuali che – in queste condizioni – non possono e non potranno mai essere comunicanti. Mi domando – ancora una volta – come i due Paesi possano stringere accordi e firmare patti. A meno che Giulio TreMonti non si chiami in realtà “Giulio Quattromonti”, volendo aggiungere ai tre, per simpatia o trascorsi, anche il Titano.
LA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA GODE
San Marino è uno Stato sovrano e dunque, pur riconoscendola appieno (come chi vi scrive correttamente e coerentemente ha fatto anche nel caso della sentenza sul caso Licenzopoli, senza fare a meno di criticarla, nonostante gli avvertimenti di stampo mafioso che ho ricevuto a disinteressarmene) non posso fare a meno di informarvi sul alcune conseguenze che la decisione di spernacchiare, di fatto, la rogatoria italiana, si tirerà dietro. Sapete com è: sono un giornalista libero, indipendente e che ragiona con la propria testa per rispetto dei lettori e di se stesso. Se ne facciano una ragione i meschineddi che ancora pensano che possa essere influenzato da qualcosa o da qualcuno. L’unico asse che conosco è quello delle reminiscenze geometriche.
Se ne facciano una ragione anche i penosi contabili di cultura e stampo mafioso che senza dubbio leggeranno anche questo articolo. E che magari torneranno a minacciarmi. Me ne frego. Libero sono e libero resto.
La prima è più importante conseguenza – in un Paese, San Marino, che neppure riconosce il reato di associazione di stampo mafioso, incredibile eh! – è che gli aspetti relativi alla penetrazione della criminalità organizzata non saranno compiutamente approfonditi.
Non lo dico io: lo dicono i magistrati forlivesi Di Vizio e Forte in una lettera inviata il 27 ottobre alla Procura nazionale antimafia. E lo dicono – vedrete se ho torto o ragione – anche i documenti che stanno arricchendo la documentazione del caso Smi, la maggiore e più antica holding finanziaria e fiduciaria del Titano. Questa indagine ipotizza il riciclaggio di un miliardo. Sono stati sequestrati conti correnti per circa 700mila euro, che vanno ad aggiungersi ai 5 milioni già sequestrati nei mesi scorsi. Le ordinanze sono state emesse dal commissario della legge Rita Vannucci su richiesta dell'autorità giudiziaria italiana.
IL VULNUS DEL CONTANTE
I giudici forlivesi avrebbero voluto sapere chi e come si nascondeva certo dietro certi prestanome già peraltro smascherati, chi si nascondeva e come certo dietro certi conti cifrati, chi si nascondeva e come certo dietro fiduciarie.
Giocando – da ambo le parti – per diversi anni sulla definizione (certa ma equivocata) di soggetti extracomunitari che doveva essere riservata alle banche e agli istituti finanziari di San Marino, sono infatti per anni saltati tutti gli schemi e ogni obbligo di segnalazione antiriciclaggio. Se a ciò si aggiungono la difficoltà del sistema sammarinese di riconoscere la reale origine dei fondi gestiti, l’operatività dei clienti residenti in Italia e il rigidissimo segreto bancario sammarinese, il quadro è completo.
Sicchè l’esempio classico – per la Procura di Forlì – in grado di descrivere meglio di ogni chiacchiera il rischio di riciclaggio delle mafie, è quel famoso flusso di denaro, pari a 1,2 miliardi in quattro anni, che allegramente avrebbe preso da Forlì la strada per San Marino. L’80% di questi fondi in tagli da 500 euro. Una cosa impressionante, sol che si pensi che praticamente una banconota da 500 su tre girava in quella provincia; le altre due nel resto d’Italia. Tutto, secondo l’accusa, sfuggiva al sistema di antiriciclaggio.
IL CONTANTE VOLA: 1,2 MILIARDI IN TAGLI DA 500 EURO
Come è noto il contante è il modo più semplice per riciclare. E così la Procura di Forli si incaponisce nel seguire quel contante e scopre una cosa strepitosa: in quel contante furono convertiti un milione di assegni presentati all’incasso presso la Cassa di Risparmio di San Marino, negoziati, per conto dell’istituto sammarinese, dall’Istituto Centrale delle Banche Popolari presso le competenti stanze di compensazione della Banca d’Italia.
In più di un’occasione, sempre secondo l’accusa, costituivano a loro volta i proventi di gravi reati fiscali, patrimoniali e societari.
LA PROVENIENZA : CAMPANIA E CALABRIA
Circa il 60% degli assegni – ha scoperto la Procura di Forlì grazie al valido e indispensabile aiuto dei nuclei dedicati – vale a dire 600mila assegni circa, provenivano da Campania (in particolare l’area nolana) e Calabria, ragione per la quale la stessa Procura aveva chiesto subito un collegamento diretto e continuo con la Procura nazionale antimafia. Nei documenti inviati comparivano persone già segnalate per rapporti con organizzazioni criminali. Chiaro? No: lo ripeto a voce alte ai sordi (sono tanti) di San Marino: “già segnalate per rapporti con organizzazioni criminali”.
Anche per questo la Procura – con la rogatoria di fatto respinta da un sistema che si è chiuso a riccio basandosi, legittimamente, sulle proprie regole – ha richiesto a San Marino l’assistenza giudiziaria per gli interrogatori, visto che la strada delle copie degli atti non era percorribile. Quelle prove sarebbero state per prima cosa mostrate anche ai supposti mafiosi sui cui Forlì indaga. Non male no!
Come risposta è arrivata la porta sbattuta in faccia ai pm italiani da un Paese che, vale la pena di ricordarlo, vuole firmare nuovi rapporti con l’Italia ed entrare in Europa senza avere neppure non dico una Procura antimafia ma neppure un magistrato esclusivamente (e ripeto esclusivamente) dedicato a ciò.
L’ASSE BARI-SAN MARINO
Oltre ai racconti del pentito di ‘ndrangheta Francesco Fonti sul fiume di denaro delle cosche transitato per San Marino (si vedano nell’archivio del blog i miei post del 28 settembre e 5 ottobre), oltre alle richieste di rogatorie avanzate da decine di Procure italiane e oltre a quanto sta emergendo nell’inchiesta Varano (e presto, vedrete, il copione si ripeterà nell’inchiesta Smi), bisogna ricordare che, qua e là, affiorano rapporti pericolosi di cui la politica locale si disinteressa to-tal-men-te.
Il 4 dicembre sulla Gazzetta del Mezzogiorno il mio amico Massimo Scagliarini scrive a proposito di una delle tante inchieste sui rapporti criminalità-imprese-politica che sta squassando la Puglia : “Da
un lato i tre milioni del clan Parisi. Dall’altro i soldi della bancarotta della New Memotech, qualche decina di miliardi di lire. Intorno, una lunga serie di prestanome e di scatole cinesi che arrivano fino a San Marino. Nel mezzo, una società barese che si chiama Sport&More, che era diventata la lavatrice della criminalità organizzata…Ma qui interessa far notare che 900mila euro (su 1,3 miliardi) arrivano da una società di San Marino, la Retex , un’altra delle scatole cinesi di Labellarte, quella in cui – si ipotizza – sono finiti i soldi del fallimento New Memotech.”
Il giorno dopo L’Informazione di San Marino sparerà, riprendendola, la notizia. Credete che qualcuno, tra i politici sammarinesi, si sia interessato della cosa? Se ne avete contezza scrivetemi, a me non risulta.
A TUTTO SCIOPERO
In questo contesto e mentre infuriano le polemiche e le scrollate di spalla, non può apparire strano che oggi, 16 dicembre, i dipendenti del Gruppo Delta, ignari del proprio certo destino si riuniscano in assemblea a Roma. Prima davanti alla sede della Banca d’Italia e poi del ministero dell’Economia.
E non è strano che – riporto testualmente l’Ansa di ieri, delle ore 15.42 – che sia stato indetto, sempre per oggi, uno sciopero generale di 3 ore per i lavoratori del Titano. Lo hanno indetto le due principali organizzazioni sindacali: la Confederazione sammarinese del lavoro e la Confederazione democratica dei lavoratori sammarinesi. Non ha aderito invece l'Unione sammarinese lavoratori. “Alla base della protesta – scrive l’Ansa – ci sono, secondo i sindacati, la necessita' di rompere l'immobilismo e di uscire dalla crisi attraverso un qualificato progetto di sviluppo dell'occupazione e dell'economia, facendo ripartire su nuove basi il tavolo tripartito; la chiusura dei contratti di lavoro dell'industria e degli istituti di credito; l'approvazione di un provvedimento legislativo condiviso sugli ammortizzatori sociali; la lotta al precariato nella pubblica amministrazione e nel settore privato; una efficace politica di contrasto al lavoro nero e irregolare; la sicurezza nei luoghi di lavoro; l'avanzamento del processo di riforma del sistema previdenziale; le politiche di sostegno ai pensionati e alle categorie piu' deboli”.
Per dare l’idea del Titano sul Titanic basti dire che l'ultimo sciopero generale, a San Marino, risale al marzo 2005.
roberto.galullo@ilsole24ore.com
P.S. Un’ultima cosa. Ieri la Banca centrale di San Marino ha emanato il seguente comunicato: “Pur non potendo divulgare notizie coperte da segreto professionale, precisiamo comunque che il contenuto dell’articolo (del Sole-24 Ore nda) è radicalmente contrario al vero, nella parte in cui, con arbitrarie citazioni, attribuisce a Stefano Caringi, responsabile del dipartimento di vigilanza, affermazioni concernenti le relazioni tra la Cassa di Risparmio della Repubblica di San Marino ed il gruppo bancario Delta”. Il riferimento è al mio articolo sul Sole-24 Ore del 15 dicembre. Rispetto il dott, Stefano Caringi, la Banca centrale di San Marino, come ogni istituzione sovrana di un Paese sovrano, registro la nota ufficiale, ma replico semplicemente che ciò che ho scritto non è frutto di scelte arbitrarie (non sono un arbitro perché non prendo mai parte a contese) ed è contenuto in documenti ufficiali di cui (noblesse oblige) sono ovviamente in possesso e che mi sono limitato a riportare senza alcun commento.