L’onorevole Cosentino e la camorra imprenditrice: Impregeco (e i Casalesi) contro Impregilo

L’ordinanza cautelare di 351 pagine con la quale il Giudice per le indagini preliminare (Gip) Raffaele Piccirillo, ha accolto la richiesta di arresto (impossibile fino a che non si pronuncerà la Giunta parlamentare) dell’onorevole Nicola Cosentino (Pdl) è stata analizzata in lungo e in largo dai giornali e, solo due giorni fa, anche da Annozero di Michele Santoro.

Del resto la richiesta avanzata dai pubblici ministeri Alessandro Milita e Giuseppe Narducci era troppo ghiotta di particolari sui personaggi politici, per non parlarne. Personaggi che sarebbero (il condizionale è d’obbligo) coinvolti in questa brutta storia, a partire dal sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino, candidato in pectore per la presidenza della Regione Campania (per lui l’ipotesi è concorso esterno in associazione mafiosa). Vale la pena di ricordare che fino a che non ci sarà un processo le dichiarazioni rese e l’ordinanza stessa non hanno valore di prova.

E’ anche per questo che voglio spostare il tiro e tirare fuori da questa vicenda un aspetto secondo me vitale.

Molto si è parlato degli aspetti di coinvolgimento politico avallati dall’ordinanza (voti di scambio, favori elettoralistici, cene pagate per raccimolare voti, assunzioni pilotate, appalti concordati e via di questo passo, chiamata in causa di ex ministri come Mario Landolfi o parlamentari come Italo Bocchino e il senatore Gennaro Coronella) e poco si è parlato della camorra imprenditrice e della capacità di mollare cavalli e cavalieri per fare al meglio i propri affari.

A leggere bene le carte si possono trovare alcune interessanti evoluzioni dei Casalesi imprenditori (tutto, ripetiamo, deve passare al vaglio di un processo).

A conferma delle tesi dell’accusa con riguardo alla facilità con cui politica e camorra si mettevano d’accordo sul come fare al meglio affari, ecco quanto dichiara (pag.194 e seguenti) a esempio Gaetano Vassallo ai magistrati che lo interrogano: “…in poche parole l’onorevole Cosentino mi disse che si era adeguato alle scelte fatte ‘a monte’ dal clan dei casalesi che aveva deciso che il termovalorizzatore si sarebbe dovuto realizzare nel comune di Santa Maria La Fossa e che anche l’affare del Consorzio Ce4 / Eco4 era uno degli affari degli Schiavone. Egli pertanto aveva dovuto seguire tale linea e avvantaggiare solo il gruppo Schiavone nella gestione dell’affare e, di conseguenza, tenere fuori il gruppo Bidognetti, e quindi anche me.

Da quanto detto fino a ora, risulta chiaro che, a questo punto, l’affare Consorzio Ce 4/ Eco 4, nato per favorire il clan Bidognetti, era diventato un ‘affare’ del gruppo Schiavone”.

DISCARICHE A PERDERE

Finora tutti analisti hanno concordato sul fatto che la camorra lucrasse (e lucri) sull’intero ciclo dei rifiuti. Il sistema delle discariche e delle ecoballe accumulate ha fatto arricchire per generazioni i boss.

Gli analisti ciechi erano convinti, dunque, che il sistema di termovalorizzazione e il progressivo inaridimento delle discariche avrebbe prosciugato l’acqua (anzi, a munnizza) nella quale notavano (e nuotano) camorra e politica corrotta.

Nulla di più sbagliato.

IL SUPERCONSORZIO IMPREGECO E IL PUNTO DI ARRIVO

 DEI CASALESI: I TERMOVALORIZZATORI

Dalla lettura dell’ordinanza (giuro che l’ho letta dalla prima all’ultima parola) emerge una novità diversa e sconvolgente (ma solo per chi crede che la camorra sia solo bossoli e guapparia e non, invece, impresa criminale): la termovalorizzazione (e i relativi impianti) era invece il punto di arrivo della strategia degli Schiavone (con i quali, sempre secondo l’accusa, Cosentino, che nega ogni addebito, era passato armi e bagagli dopo aver prestato fianco e anima Al clan dei Bidognetti). Un punto di arrivo che può contare – secondo i teste ascoltati dai magistrati napoletani – dell’appoggio sia della destra che della sinistra, oltre che di funzionari pubblici corrotti.

Ed è per questo motivo che tutti insieme amorevolmente daranno vita al superconsorzio per la gestione del ciclo dei rifiuti Impregeco che nel 2001 accorperà il Consorzio dei rifiuti Ce4 (in mano al centrodestra casertano) e
Na1 e Na3 (riferibili al centrosinistra napoletano).

L’INTERROGATORIO DI GIUSEPPE VALENTE:

IMPREGECO CONTRO FIBE, OSSIA I CASALESI CONTRO IL NORD

Il 23 febbraio Giuseppe Valente, uomo di Cosentino nel Consorzio rifiuti Ce4, che ha presieduto per circa 3 anni, davanti ai magistrati dichiarerà testualmente (pagina 48): “…attraverso Impregeco si intendeva garantire tutto il ciclo dei rifiuti, a livello regionale, e si intendeva anche garantire la fase terminale, quella della termovalorizzazione, anche se si pensava ad un sistema diverso rispetto a quello praticato da Fibe, quale ad esempio l’elettropirolisi. Faccio presente che oltre all’Impregeco – che offriva una soluzione alternativa a Fibe a livello regionale – il progetto politico di Cosentino e Ventre era anche quello di “provincializzare” i rifiuti, ossia di creare un’autonomia gestionale completa a livello provinciale, coinvolgendo tutti e quattro i Consorzi di bacino, creando dei Consorzi specializzati in determinate attività della filiera. Vi erano poi anche gli impianti propri del bacino del Consorzio Ce4, disponendo il Consorzio direttamente non solo di una discarica ma anche di un impianto di stabilizzazione e anche di vagliatura. L’impianto di stabilizzazione fu formalmente imposto da Facchi con delle ordinanze, nelle quali questi imponeva al Consorzio di acquistare dalla Icom di Milano – una società di impianti – queste strutture…”

Sempre il 23 febbraio dirà (pagina 288): il progetto di costituire l’Impregeco mi fu proposto da Facchi Giulio in termini meno espliciti e rappresentandomi i vantaggi che avrei potuto ricevere da una posizione di potere di quel tipo. Compresi agevolmente nel tempo che l’Impregeco serviva quale strumento per sostituire la Fibe ; …faccio presente che Facchi esternava continuamente, anche pubblicamente, la sua avversione rispetto a Fibe e lo stesso faceva Paolucci (Massimo, ndr), altro subcommissario di Governo…era facilmente comprensibile, osservando in modo ragionato le competenze di Impregeco, che questo ente rappresentasse un ente analogo alla Fibe, per quel che erano le sue attività. (…) gli interessi economici erano troppo rilevanti per affidarli ad una società estranea del Nord, quale era la Fibe ".

Ed ecco quanto – di sua spontanea volontà e dunque non su sollecitazione dei pm – lo stesso 23 febbraio 2009 Valente, che fa mettere a verbale: “…il reale scopo dell’Impregeco, quello di sostituire la Fibe , era chiaro a tutti coloro che stavano partecipando al progetto, ovviamente comprendendo anche i due miei referenti politici. L’Impregeco fu un ente certamente voluto da Bassolino tanto che la stesura del documento di convenzione con il quale si affidava la gestione degli impianti di tritovagliatura all’Impregeco fu redatta dallo Studio Soprano – quanto meno in modo informale – con la collaborazione di De Luca Felicio e D’Alterio Pina”..

L’idea della politica e dell’amministrazione corrotta – secondo l’accusa, d’intesa con il clan Schiavone – era dunque quella di soppiantare Fibe-Fisia Italimpianti (l’unica impresa che per contratto del 5 settembre 2001 avrebbe dovuto gestire in esclusiva l’intero ciclo integrato dei rifiuti) con il Superconsorzio che avrebbe dovuto di fatto monopolizzare l’intera regione, agevolato dal fatto che era alimentato esclusivamente con i fondi del Commissariato di Governo. Una lotta oltretutto con risvolti inquietanti: gli interessi dei Casalesi contro l’ingerenza delle imprese del Nord (il gruppo Impregilo).

Questo, secondo la ricostruzione della magistratura, con l’aiuto dell’(allora) sub-commissario bergamasco Giulio Facchi e del Governatore Antonio Bassolino.

LO SHOW MUTO DI BASSOLINO

Escusso il 13 febbraio 2009 dai magistrati sulla ordinanza n.30 del 20 gennaio 2002 che di fatto crea un sistema parallelo e concorrenziale tra il Superconsorzio e Fibe-Fisia (e dunque un inutile doppione), ‘o Governatore sostanzialmente dirà – e lo traduco con un paradosso, un’iperbole linguistica – che lui non c’era e se c’era dormiva. E se non dormiva delegava. A Facchi.

Come dire: che vulite da me, prendetevela co isso.

Testualmente Antonio Bassolino (pagina 288): “…pur prendendo visione del testo dei due documenti e leggendo il contenuto, non riesco a ricordarmi le ragioni per le quali si giunse a tale convenzione. Faccio presente che l’ordinanza n. 30 del 20 gennaio 2002, reca quattro sigle per la sottoscrizione – firme che non sono in grado di riconoscere – attraverso cui è possibile individuare coloro che hanno formato l’atto o comunque condiviso il relativo contenuto, predisponendola (…) Dalla lettura dell’atto nella quale si individua nel sub-commissario il ruolo funzionale deputato all’individuazione degli “impia
nti di selezione, trattamento, valorizzazione e riciclaggio dei Rsu” (art. 2 della convenzione) posso dire che certamente fu Giulio Facchi ad essere tra gli autori principali della convenzione stessa; era infatti lui il sub-commissario incaricato di tali individuazioni”.

LA CATENA DELLA CAMORRA IMPRENDITRICE

CONTRO L’ IMPRESA DEL NORD

Il Gip ricostruisce la catena della camorra imprenditrice e a pagina 310 e seguenti, richiamando le testimonianze dirette e indirette sull’indagato, scrive testualmente: “La politica di boicottaggio del sistema affidato a Fisia Italimpianti, la promozione dell’Impregeco, la monopolizzazione dei servizi di raccolta dei rifiuti obbediscono obiettivamente ad una strategia convergente con quella del clan dei casalesi e degli operatori criminali campani del settore che dovettero sentirsi penalizzati dall’esclusiva conferita agli imprenditori del Nord.

Lo dicono innanzitutto le massime di esperienza, delle quali da tempo la S.C. avalla l’utilizzo quali regole di copertura del ragionamento probatorio sui temi della criminalità organizzata. Lo dice la storia giudiziaria del clan in argomento.

Lo dice poi Vassallo (Gaetano Vassallo, uomo di fiducia del boss Francesco Bidognetti, ora collaboratore di giustizia ndr), che anche per questo è coerente e attendibile.

Lo dicono infine le pressioni militari che accompagnarono la conquista del monopolio e che indussero una serie di operatori, concorrenti degli Orsi (Sergio e Michele Orsi, imprenditori legati secondo le indagini e le dichiarazioni di alcuni pentiti ai Casalesi, di cui uno, Michele freddato il 1° giugno 2008 dal boss Giuseppe Setola davanti al Roxy bar a Casal di Principe ndr), alla ritirata: pressioni documentate in questo provvedimento, ma anche nelle altre ordinanze cautelari che si sono sopra richiamate con i relativi sostegni probatori (anche questi autonomi rispetto al collaboratore Vassallo).

Possiamo anzi affermare che proprio la coerenza dei comportamenti dell’indagato con questa strategia di interesse della criminalità organizzata insediata sul territorio a costituire il collante che tiene insieme gli elementi indiziari, di ogni natura, che si sono sopra esposti.

La disamina che segue serve ad ogni modo a rafforzare questo tassello del ragionamento. Chi pensasse che l’indagato ha promosso le iniziative sopra enunciate per mera convinzione politica o, al più, per ragioni clientelari scevre da connotazioni camorristiche, apprenderà da Dario De Simone, Carmine Schiavone, Domenico Frascogna, Domenico Bidognetti, Anna Carrino quanto siano risalenti e consolidati i debiti di gratitudine di Nicola Cosentino con la camorra casalese. E quanto dunque sia plausibile la lettura collusiva dei comportamenti finora rappresentati”.

INCONGRUENZA (APPARENTE?)

Resterebbe da capire come mai, in questo momento, l’ex sub-commissario Facchi (insieme al Governatore Bassolino) sia imputato e a processo con l’accusa di presunta truffa dei rifiuti in Campania. Paradossalmente, infatti – e lo fa notare lui stesso ai colleghi Rosaria Capacchione e Leandro Del Gaudio a pagina 33 del Mattino di Napoli del 12 novembre – Facchi sarebbe accusato di aver favorito, con il suo comportamento la Fibe, mentre nell’ordinanza viene accusato di agire contro la stessa Fibe.

Ma i magistrati Milita e Narducci non si curano proprio di questa apparente contraddizione e riportano passaggi su passaggi che smantellano l’ipotetica incongruenza.

Valente nell’interrogatorio del 23 febbraio a esempio dirà: “…era nota l’avversione dei vari Commissari per Fibe e, per quel che mi consta, era Facchi tra i principali antagonisti. Quando si parlava di Fibe si parlava come se si trattasse di un loro “nemico”…

Di certo, secondo i magistrati campani, c’è la consapevolezza, da parte di Fibe, che la creazione del superconsorzio e la
stipula della convenzione facevano parte di una strategia tesa a cacciarli dal territorio campano.

FIBE SA CHE LE E’ STATA DICHIARATA GUERRA

Vengono in soccorso anche le intercettazioni telefoniche puntualmente riportate nell’ordinanza. Tra il 9 e il 6 aprile 2002 l’(ex) amministratore delegato di Fibe (che, ricordiamolo ancora è del gruppo milanese Impregilo, tra i leader mondiali nel settore ingegneria e costruzioni), Armando Cattaneo si rivolge così a un tal avvocato Macrì, puntando ancora il dito contro Facchi: “è una lotta qui a Napoli che sappiamo che c'è Facchi che sta tentando in tutti i modi di costituire una società, un super Consorzio un qualche cosa per subentrare, no? … La società l'ha già fatta, si chiama pure Impregeco (…) non so nemmeno se…questo nome, Impre.., l'ha fatto artatamente…omissis…Impregeco è una società, è un… è una società tra i Consorsi di bacino che attualmente avrebbe lo scopo di bilanciare la tariffa tra Comuni in emergenza e Comuni non in emergenza, però è la struttura “Facchian” pronta a dire, eccola qua, no? L'ente competente…(inc)…la società dei Consorzi di bacino, a cui probabilmente pensa di mettersi a capo lui personalmente alla fine dell'emergenza, no? (…) e no ma è un problema enorme, io (inc)  mi fa una rabbia guarda perché è da settembre che ne stiamo parlando (…) e sì, sì perché poi noi, diciamo che cosa sta succedendo che tutte le nostre ehm… come dire tutte le nostre richieste affannose, ci serve per le banche eccetera, diventano punti di debolezza su cui ci colpiscono perché le sanno anche le pietre no?….omissis………questo è il problema, quindi quando noi andiamo a… dire disperatamente “ah ci servono le cave, ci servono le discariche se no le banche eccetera” immediatamente le discariche mi costano il doppio, ma dalla sera alla mattina eh, qui c'è proprio una…una catena di gente che approfitta, che corre no? Io non…cioè…è capitato adesso per un terreno per lo stoccaggio, siamo affogati con lo stoccaggio, perché c'hanno non gradito un sito…”

Per tirarla breve, secondo l’accusa mentre i politici parolai e i politicanti credono di saperne una più del diavolo per fronteggiare le mire dell’economia criminale, in Campania i Casalesi sono già un passo avanti e non si fanno scrupoli per fare affari. Costi quel che costi. Sicuramente vite umane e la carneficina della politica. Quella con la P maiuscola però (che non c'è).

roberto.galullo@ilsole24ore.com

  • giuseppe piumelli |

    Egregio Dr. Galullo,
    la storia continua e con risvolti sempre più comici o paradossali. Il curatore fallimentare non desiste dai suoi propositi, anzi il 29 giugno ci sarà la terza seduta per la vendita all’asta della Palcitric. Peccato, pare che l’asta non si terrà. Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Andando sul sito http://www.aste giudiziarie.it/tribunale di S.Angelo dei Lombardi, al primo annuncio, apri la scheda realtiva alla perizia dei beni immobiliari, si scopre che alcuni edificio sono stati realizzati abusivamente. Questo lo dice il tecnico che ha curato la stima per conto della curatela!!!! La stima è del 2005; in cinque anni nessuno degli addetti al falllimento si è accorto di questo trascurabile particolare, tutti intenti a vendersi la fabbrica, per portarsi a casa quei maledetti 30 € al mese.
    Un giudice che ignora che un fabbricato realizzato abusivamente è invendibile mi sembra il massimo della competenza, mettiamoci pure il curatore che è un uomo di legge e il cancelliere che cura l’asta, anch’essa avvocato.
    La terrò informato su come andranno le cose.

  • galullo |

    Caro architetto mi sto ancora sbellicando dalle risate x l’ironia della sua lettera. Davvero, non riesco a smettere. Vede, ciascuno di noi ha storie disastrose con la giustizia e non dubito che la sua lo sia. Ma da qui a fare della facile ironia e a dare una lettura distorta e becera del mio approfondito servizio ce ne corre. Le mele marce esistono ovunque. Anche tra gli architetti. Non le dici tra i giornalisti
    Roberto Galullo
    P.s. Visto che sparge euro come se piovesse se le avanza qualcosa li giri ad un autore teatrale x imbastire uno spettacolo in cui sbellicarsi dalle risa con le sue battute davvero irresistibili

  • Giuseppe Piumelli |

    Egregio Dr Galullo,
    Ieri passando davanti la chiesa di S.Angelo dei Lombardi ho visto un signore distinto che chiedeva l’elemosina. Impietosito, gli ho infilato in tasca 10 €. Poi, gli ho chiesto che lavoro facesse, se fosse disoccupato…. Lui mi ha risposto che faceva il curatore fallimentare. Sentitomi preso per i fondelli, ho ripreso i soldi che gli avevo regalato.
    Conosco i curatori fallimentari, quelli del tribunale di S.Angelo dei Lombardi e sono sicuro che non guadagnano 30 €, al mese, anzi…..
    Se non fosse così, non si spiegherebbe perché si scannano per gli incarichi, che, oltremodo, vanno sempre ai soli noti.
    Le spiego meglio perché parlo di questa vicenda.
    La mia famiglia è proprietaria di un terreno, su cui a seguito di una procedura espropriativa non ancora conclusa, è stata costruita una fabbrica che produceva acido citrico. Tralascio di raccontare la vicenda che ha portato al fallimento, sarebbe troppo lunga. Dal momento in cui l’azienda entra nella procedura fallimentare, succedono questi fatti:
    -Viene richiesto e accordato un lodo arbitrale, che si conclude nella seguente maniera:
    -Alla Palcitric, l’azienda di cui parlo, vengono accordati una quindicina di milioni di risarcimento danni;
    -I giudici del lodo arbitrale incassano una parcella di €.200.000, chiaramente a carico dello Stato.
    Il curatore fallimentare distribuisce numerosi incarichi per consulenze tecniche e legali che sono costate decine di migliaia di Euro, l’ultima per un accatastamento € 38.000.
    Si badi bene, l’incarico di €.38.000 è stato conferito al marito della sig.ra che dirige la Cancelleria, che sta provvedendo alla vendita all’asta della fabbrica. Bell’esempio di conflitto di interesse.
    Invece, la nostra famiglia proprietaria del terreno non ha ricevuto un euro, anzi abbiamo speso €.50.000 per cause che ci hanno visto sconfitti.
    Dell’intera vicenda ho interessato la Procura di S.Angelo che un anno fa ha aperto un fascicolo sulla mia inchiesta, ma ancora non l’ha chiuso. Si prevedono tempi sovietici, con la solita archiviazione, perché si tratterebbe di indagare su: Giudici della sezione fallimentare del Tribunale, Presidente del Tribunale, Curatore fallimentare e dirigenti del Ministero dello Sviluppo Economico.
    Oltremodo, ho inviato una nota ad un quotidiano in cui facevo rilevare che le date dell’asta non erano coincidenti…..la nota è stata censurata dal giornale e pare che io sia stato denunciato per turbativa d’asta. (Incredibile)
    A rischiare la vita adesso sono io.
    Questo non è l’unico caso. Nella piccola area industriale di Calitri, altri due o tre fallimenti fanno scandalo, sempre i soliti curatori fallimentari, i soliti lodi arbitrali, il solito Stato che paga per tutti.
    Il Giudice De Magistris, anche lui, aveva osservato che molte cose non andavano per i fallimenti presso il Tribunale di Catanzaro, sollevando il coperchio di una pentola che era piena di sorprese.
    Massimo rispetto che chi perde la vita, ma beatificare i curatori fallimentari mi sembra un’impresa molto, molto ardua, anche se a libro paga incassano 30€ al mese, salvo verificare giri di denaro e quant’altro.
    L’Italia va così.
    Se, poi, a Lei interessa scoprire nel dettaglio come sono andate le cose posso inviarLe l’intera documentazione. Concludo nel dirLe che la procedura espropriativa non è ancora conclusa, il terreno è ancora il nostro, il curatore fallimentare, col giudice delegato stanno tentando di vendere una fabbrica su di un terreno di cui non sono ancora proprietari.
    Grazie per l’attenzione.
    Arch. Giuseppe Piumelli

  • galullo |

    Caro Oliver Panichi e caro Sergio A. benvenuti.
    A Panichi, che ringrazio, dico che purtroppo oggi in Italia l’impunità è a tali livelli che tutto è possibile.
    A Sergio A. dico che ha centrato senza dubbio un obiettivo: importiamo da tempo mafie straniere (cinese, dell’est, africana come dimostra la strage di alcuni mesi fa a Castelvolturno di nigeriani etc) ma, ricordiamolo, sempre in grande armonia con le mafie indigene. Entrare negli affari in Italia, senza pagare dazio alle mafie nostrane, al momento è impossibile.
    Un caro saluto e grazie per il suggerimento. Sarà un tema da trattare nel futuro.
    Roberto Galullo

  • Sergio A. |

    Se non ricordo male alcuni anni fa il procuratore Cordova assumendo l’incarico disse – riassumo il senso – che la Campania era “il corpo del reato”. Oggi forse si potrebbe dire dell’intero Paese! Mi chiedo: quando l’illegalità è sistematica e il comportamento criminoso è talmente diffuso (ed accettato) da divenire regola, di che cosa ci dobbiamo più meravigliare? L’Italia è ormai il trionfo della Legge di Murphy!
    Siccome al peggio non c’è mai fine, mi sembra che siamo pure diventati importatori di imprenditoria piuttosto vicina alla criminalità organizzata. Ho notato che su questo tema non c’è particolare attenzione. Che ne pensa invece, caro Galullo, per es. di tutto questo proliferare di imprese commerciali, ma anche manifatturiere (vedi Prato e Forlì), cinesi?

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