San Marino, San Marino, ma quale San Marino! A Montecarlo dobbiamo andare per seguire l’olezzo degli sporchi traffici delle mafie e la loro capacità di lavare e profumare il denaro sporco. Altro che Monte Titano! Meglio l’acqua del mare per far partire la lavatrice del riciclaggio!
Proprio così, siore e siori. Mentre i miei colleghi scoprono in queste settimane le magagne del sistema creditizio di San Marino, nel cuore dell’Italia, con frontiere virtuali totalmente inefficaci contro imbroglioni e affaristi di tutto il mondo, ci si dimentica che da anni un’altra “mosca” geografica, a due passi dal confine ligure, fa quel che vuole in campo finanziario internazionale: il Principato di Monaco. Oh yes! E in questo totale e opaco isolamento delle regole le mafie ci si buttano…a pesce, facendo affari d’oro.
Come sapranno i miei lettori, di San Marino mi sono occupato in questo blog in tempi non sospetti, mesi prima che tutti i colleghi si riversassero lì scoprendo l’acqua calda (si vedano i post del 5, 9, 12, 16 e 19 marzo). Mi occupai di San Marino in relazione alla simpatica inchiesta Why Not che conduceva l’ex pm, ora eurodeputato, Luigi De Magistris, sulla loggia massonica economico-finanziaria che lì ha (avrebbe) sede. Il segretario di Stato agli Affari esteri, Antonella Mularoni, una gran simpaticona, si adirò non poco per il solo fatto che avevo osato cercarla per telefono e chiederle spiegazioni su rogatorie sparite nel nulla. Noblesse oblige!
E allora vediamo quanto tempo passerà prima che un altro episodio casuale convinca il bel mondo del “giornalismo seduto” a rivalutare l’importanza – mai scemata in vero – di Montecarlo e della sua bella e allegra compagnia.
LA RELAZIONE DEL II SEMSETRE 2008 DELLA DIA, IL GAFI E LA DNA
Nel 2008 la Direzione investigativa antimafia (Dia) ha continuato a partecipare alle attività e alle iniziative promosse dal Gafi, il Gruppo di azione finanziaria internazionale, vale a dire il principale istituto di lotta contro il riciclaggio di capitali a livello internazionale.
Nel periodo di riferimento, i rappresentanti della Dia hanno partecipato alle riunioni di coordinamento della delegazione italiana, nonché agli incontri previsti all’interno delle sessioni annuali di lavoro dell’organismo. E guarda caso proprio nel Principato di Monaco, il 24 novembre 2008, si è svolta la riunione annuale sulle tipologie di riciclaggio.
“Nell’ambito della riunione – riporto testualmente ciò che scrive la Dia – sono state condivise esperienze operative e proposte nuove strategie nell’attività di contrasto al riciclaggio di capitali ed al finanziamento del terrorismo, con particolare riferimento al settore finanziario, bancario e dei titoli quotati nelle borse valori”.
Bene, la riunione annuale non l’hanno fatta a San Giorgio a Cremano o a Crevalcore, ma a Montecarlo: un motivo ci sarà o no?
E’ giusto altresì ricordare che il discorso di apertura del summit è stato tenuto dal Principe Alberto II di Monaco che ha ribadito l’incondizionata collaborazione del Principato alla lotta internazionale contro il riciclaggio (si veda io discorso in francese su www.fatf-gafi.org).
Ma andiamo avanti. Uno si aspetterebbe che, ben sapendo da decenni quanto il Principato di Monaco attiri speculatori, affaristi e mafiosi di tutto il mondo, le Procure italiane si dimenino come salmoni controcorrente per riempire il Principato stesso di richieste di rogatorie internazionali.
Sapete quante sono le richieste che nel momento in cui scrivo pendono nel ricco Principato? No? Ve lo dico io: una. La fonte è ufficiale: la relazione 2008 della Direzione nazionale antimafia, la Dna (leggerla per credere). Una anche per San Marino. Perché questo accade? A mio avviso per due motivi: a volte le Direzioni distrettuali antimafia dormono, altre volte, quando sono sveglie, sanno in partenza che si scontrano con territori e governi inviolabili e impermeabili sotto il profilo finanziario. Del resto sono Paesi sovrani che si reggono sulla riservatezza e sulla conseguente ricchezza.
VEDI MONTECARLO E POI MUORI
Chissà in quale albergo monegasco avranno soggiornato i membri nazionali e internazionali del Gafi a novembre 2008 per tenere il loro bel convegnuccio. Eh sì perché sarebbe curioso scoprire che magari ronfavano nella stanza accanto a quella di un camorrista in comoda e agiata trasferta di sopralluogo.
La camorra infatti, a marzo 2009, vale a dire quattro mesi dopo l’assemblea del Gafi, a Montecarlo ha fatto un bel summit, dopo aver mandato alcuni fidati uomini in avanscoperta per garantire la logistica, ovvio.
E così, dopo le dovute precauzioni, il boss Vincenzo Sarno – ci ricorda il Mattino di Napoli del 14 aprile 2009 a pagina 35 – ha invitato una cinquantina di pezzi da Novanta Agli “stati generali della camorra”, tenuti in un lussuoso albergo a due passi dal Casinò. Mica pizza e fichi ragazzi. I magnaccia della camorra ci tengono all’apparenza. Ve li vedete voi radunati – infradito, bermuda e canottiera di ordinanza stretta stretta sulla panza – nella hall di una stamberga di Castellammare di Stabia, con la mercedèsse parcheggiata fuori ? Ma scherziamo, nunn’è cosa! Il gran cerimoniere del summit, Vincenzo Sarno, di lì a un mese sarà arrestato. C’erano tutti a quella riunione: mancavano solo gli uomini del boss Mario Fabbrocino.
Sulla trasferta – due giorni tutto spesato, fiches da gioco per il Casino comprese – sta indagando la Direzione distrettuale antimafia di Napoli che ha avviato la richiesta di rogatoria internazionale e che intanto ha spedito a Montecarlo un gruppo di lavoro che ha portato a casa documenti e carte. Le ipotesi sul tavolo – da gioco mortale – sono due: la ricerca concordata di nuovi equilibri camorristici oppure la necessità di riciclare ingenti proventi illeciti.
L’una ipotesi – oserei dire – non esclude l’altra, come racconteranno le cronache successive
A MONTECARLO IL FORZIERE DEI CLAN E A NAPOLI
LA BORGHESIA CAMORRISTICA
Poche settimane fa – e siamo a fine maggio – accade infatti che la Procura di Napoli coadiuvata dal Nucleo tributario della Guardia di Finanza scopre conti correnti e società buone per riciclare denaro sporco. E dove si trovano queste società? A Panama, Isole Vergini, Londra, Barcellona ma soprattutto a Montecarlo dove prestanome dei boss avevano acceso 3 conti correnti e due contratti fiduciari con la “Banca Monegasca di gestione”. In cella sono finiti anche direttori di banca e l’ex vicedirettore della banca monegasca in questione. E – tra le altre cose – è finito agli arresti anche un manager dell’Ikea.
Con un secco ordine telefonico, il boss di turno aveva intimato di girare a Montecarlo i proventi ricchissimi di racket e usura. A chi lo aveva ordinato? A un insospettabile commercialista. E qui – se non ve ne siete accorti – scatta un passaggio vitale. Senza l’aiuto di professionisti, vere e proprie menti finanziarie con amicizie e radici ovunque, non sarebbe possibile riciclare soldi sporchi.
E di questo – che è ormai da tempo un dato assodato per Cosa Nostra, sta entrando anche nel Dna della ‘ndrangheta – se ne è fatto portavoce Piero Grasso, Procuratore nazionale antimafia. Commentando il 21 maggio il colpo ai danni degli “scissionisti” che nel Principato si sentivano come a casa, dirà al Mattino: “ Le inchieste napoletane dimostrano che dopo la borghesia mafiosa è nata una borghesia camorristica. Ci sono persone che mettono al servizio dei clan, in questo caso degli scissionisti, conoscenze e know-how: lauree, professioni, ruoli da dirigenti, tutti al servizio di chi vince, per ripulire i milioni del narcotraffico”.
TEMPO DI VACANZE A MONTECARLO
PER I SUPERLATITANTI DI MAFIA
A costo di disturbare il principino e la principessa, è ora che il Governo, il Parlamento italiano e la comunità internazionale aprano gli occhi di fronte al criminale richiamo che Montecarlo esercita sui mafiosi. Questo immenso parco divertimenti per ricchi viziati con mignotte al seguito, continua purtroppo a rivelarsi anche una gigantesca lavatrice per denaro sporco e un amorevole e omertoso rifugio per i latitanti.
La Dda di Napoli sa per certo che proprio a Montecarlo ultimamente sono transitati o risiedono in incognito decine di boss di camorra. A partire da quell’Antonio Iovine, detto ‘o ninno, che è latitante da 14 anni, cosi come Michele Zagaria, altro imprendibile capo, detto capastorta. Da lontano (ma quanto?) e soprattutto dopo l’arresto di Giuseppe Setola e Michele Bidognetti, i ras del clan dei Casalesi.
E non c’è – ovviamente – solo la camorra all’ombra del Casinò.
Correva il 1993, per la precisione gennaio, quando due deputati dell' Assemblea nazionale di Parigi, il liberale Francois d' Aubert e il socialista Bertrand Gallet, denunciarono, dopo tre mesi di inchiesta, la proliferazione di cellule finanziarie di Cosa nostra a Montecarlo, in Costa Azzurra, a Grenoble e nelle Antille. Il Principato di Monaco con
le sue "società anonime monegasche" e l’Isola di Saint Martin costituivano, secondo i due, piattaforme per il riciclaggio di narcocapitali. L' inchiesta dei deputati – ci ricorda il Corriere della Sera del 4 dicembre 1999 – era nata dal libro-intervista a Giovanni Falcone di Marcelle Padovani. Secondo i due relatori, per la penetrazione in Francia e a Monaco la mafia italiana usava uomini della finanza. E citarono tre ex dirigenti bancari italiani assurti a responsabili di un potente gruppo di investimenti immobiliari.
Senza dimenticare che nel Principato – così come a San Marino e nel Liechtenstein, solo per ricordare due Paesi a tiro di schioppo dai confini italiani – la ‘ndrangheta da anni fa affari e ricicla denaro.
Insomma, quando capiremo che mentre Trulli, Raikkonen o Button girano per tornanti e chicane del Gran Premio di F1, i mafiosi di ogni razza magari si divertono a vedere altri giri– quelli della lavatrice del denaro sporco – sarà forse troppo tardi.
roberto.galullo@ilsole24ore.com