Se quello che sto per raccontarvi fosse successo in Calabria, in Campania o in Sicilia la “Padania”, giornale di riferimento di una nazione inesistente di un popolo inesistente, avrebbe forse titolato a 9 colonne (solo perché di più non ce ne sono): “I dirigenti meridionali stramagnano e se ne fregano di Brunetta!”.
Fosse successo a Roma, poi, avremmo assistito ad una messe infinita di editoriali e trasmissioni sul ruolo da magnaccia della classe dirigente locale. Con il corollario di sproloqui delle fine menti politiche della Lega Nord, una lega fatta di metalli particolari che gli scienziati della Nasa stanno studiando approfonditamente: infatti si piega (ai voleri di Berlusconi), non si spezza ma spezza (ogni giorno di più l’unità nazionale, a me sacra).
Invece adorati amici di blog, quello che sto per raccontarvi è successo nel Veneto del bruno e puro ministro veneto Renato Brunetta e del tosto e torvo Governatore Giancarlo Galan, il Governatore che (a mio opinabile giudizio) predica bene e razzola male. Del resto dalla sua lunga militanza in Publitalia avrà pure imparato le tecniche per vendere e vendersi anche politicamente. O no?
Quel Galan che – per quanto mi riguarda – è tra i peggiori Governatori che l’Italia conosca ma sa vendersi meglio di quanto non faccia, a esempio, Loiero Agazio, il Presidente che vive nello spazio (politico), che ce la mette tutta, povero figliolo, ma proprio non riesce a far capire agli italiani che la Calabria è una regione dove le cose buone sono la regola e quelle cattive (non ridete, vi prego, su!, un pò di contegno) l’eccezione.
Ebbene mentre il tosto e torvo Galan sbraita un giorno si e l’altro pure contro i privilegi delle Regioni a statuto speciale (cosa peraltro sacrosanta che mi permisi di scrivere nel mio libro “Federalismo minimo”, Edizioni Sole-24 Ore, nel 2000 e per questo fui duramente attaccato dai politici parolai), i suoi dirigenti una fanno e mille ne pensano. Per continuare a godere di quei privilegi che fanno sentire sempre più bue il popolo bue e casta la classe dirigente. Oh yeah!
Il 29 dicembre Babbo Natale doveva essere ancora dalla parti di Palazzo Balbi, sede della Regione Veneto, perché 70 dirigenti regionali in aspettativa e assunti con contratto di natura privatistica sono stati esentati dall’applicazione del decreto Brunetta, meglio noto come decreto antifannulloni.
I 70 dirigenti, in pratica, potranno ammalarsi senza perdere un centesimo in busta paga, scrive la brava collega Alda Vanzan alla quale va il merito di aver scritto la notizia sul “Gazzettino” del 16 gennaio.
Con un’interpretazione del segretario generale della programmazione, Adriano Rasi Caldogno, contestatissima per prima dalla Uil regionale, i dirigenti – il cui giorno di assenza per malattia costa all’amministrazione 77,52 euro al giorno contro gli 8,98 di un usciere – potranno ammalarsi a piacimento. Tanto non perdono niente delle loro ricche (e giustificate?) retribuzioni che viaggiano in media sui 100mila euro all’anno.
Fosse successo in Calabria, Puglia, Sicilia, Campania o nell’odiata Roma del filosofo Borghezio, il politico con idee da ospizio (sempre a mio giudizio opinabile, sia chiaro), i nordisti a gettone avrebbero tuonato contro l’immoralità di un’esenzione che concede a chi governa il personale e strutture complesse di farla franca e a chi viene invece governato di essere trattato come un fantozziano e inutile dipendente.
Ho raggiunto telefonicamente Piero Levorato, il segretario regionale della Uil dipendenti pubblico impiego, due giorni fa, dopo aver letto il “Gazzettino” e aver finito di preparare le mie carte in vista della mia missione a Salerno dove la Procura mi vuole ascoltare come persona informata dei fatti a seguito di alcune inchieste che ho recentemente scritto.
“E una cosa scandalosa”, mi spiega con una lucidità che raramente ho riscontrato nei sindacalisti, che pure conosco da vicino per averli giocoforza frequentati nei quattro anni che ho svolto come caposervizio (avevo 24 anni ahime!), nel quotidiano della Cisl “Conquiste del lavoro” (pur senza mai essere stato iscritto a quel sindacato, ci tengo a dirlo perché non ho mai avuto tessere in vita mia).
“Con quale faccia – prosegue Levorato – il segretario generale ha potuto firmare una direttiva del genere? Ho provato, nelle settimane scorse, a spiegare a lui e ad altri dirigenti regionali che un conto è godere di un contratto privatistico e un conto è essere dipendenti pubblici in aspettativa ai quali è stato applicat
o un contratto di natura privatistica. Non c’è stato niente da fare e allora a questo punto adiremo tutte le vie legali e quelle necessarie per far recedere l’amministrazione regionale”.
Per dare un’idea della capziosità dell’interpretazione – sulla quale non mi permetto di esprimere un giudizio normativo ma etico sì: la trovo personalmente ripugnante – rendetevi conto, cari amici di blog, che se fosse applicata in tutta Italia a tutti i dirigenti assunti con contratti di natura privatistica nelle pubbliche amministrazioni, avremmo migliaia di persone alle quali il decreto Brunetta farebbe un baffo.
Prendiamo a esempio i direttori sanitari delle Asl che, spesso, sono in aspettativa da precedenti esperienze lavorative nel pubblico impiego, a esempio gli ospedali, e vengono assunti con quell’incarico.
Insomma un esercito di generali esentati dalle norme antifannullone, applicabili invece alla truppa.
Così va il mondo e sarà curioso sapere come andrà a finire questa educativa storia che voglio rendere più amara con lo schiaffo morale sul modo di interpretare la gestione della cosa pubblica, che proviene dal Comune di Lamezia, martoriata città della Calabria dove in particolare le cosche Giampà-Torcasio e Iannazzo fanno, disfano e comprano politici (leggetevi, se volete, i post che ho dedicato alle vicende lametine anche su questo blog).
A Lamezia – e chi segue questo blog, le mie inchieste sul Sole e la mie trasmissioni radiofoniche lo sa – c’è un sindaco che nel cognome racchiude un programma. Si chiama infatti Gianni Speranza.
E’ (fino a parola contraria, come per tutti noi) una persona onesta, un amministratore onesto, come è difficile trovarne in Calabria. Rischia anche la vita per quello che fa. Le minacce di morte gli giungono con regolarità. E’ stato votato con calore dalla sua gente ma in Consiglio comunale va spesso sotto perché non ha una maggioranza stabile. Fa di tutto per rompere gli zibidei alle tante cosche che lì fanno il brutto e il cattivo tempo. Si costituisce parte civile nei processi di mafia, chiede (e ottiene) risarcimenti milionari agli ‘ndranghetisti, dribbla come Totti in mezzo al campo i tranelli che consiglieri spregiudicati disseminano lungo il suo cammino.
Ebbene questo sindaco, nel corso della visita del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il 16 gennaio ha annunciato che “il consiglio comunale di Lamezia deciderà presto l’esenzione da tutti i tributi locali, per 10 anni, per gli imprenditori che collaborano con la giustizia”.
Conoscendo da anni Speranza, ho la certezza che quel che ha detto è una bomba lanciata sul Consiglio comunale. Una bomba a orologeria destinata a deflagrare se non riuscirà ad avere i voti necessari per far passare la sua proposta. Anche in questo caso seguiremo come andrà a finire perché che passerà la proposta, non ho la certezza. Ho solo la…speranza.
roberto.galullo@ilsole24ore.com