In Italia – tra le tante corporazioni, a partire da quella dei giornalisti – una forse sfugge all’attenzione del grande pubblico: il Corpo di polizia penitenziaria.
Si tratta – uomo più, uomo meno, donna più donna meno – di 41.800 persone (una valanga al Sud, molti meno al Nord con il corollario di carceri piccole come una noce ma guai a toccarle che i sindacati vi spolpano), con un (nel passato?) alto tasso di assenteismo, raccomandazioni e “trucchi legali” per tornare al Sud o esondare i comodi posti disponibili nella Capitale e con un altissimo tasso di sindacalizzazione che si frammenta tra sette sigle: Fp Cgil – Fps Cisl – Uil Pa – Sappe – Fsa Cnpp – Sinappe – Uspp (che racchiude in un involucro Ugl, Clpp-Lisiapp).
O almeno: io ho contato queste – comprese quelle che hanno il nome che farebbe la fortuna di qualunque sciroppo o lassativo – ma non è escluso che nottetempo qualcuna sia venuta meno, qualche nuova sia sorta.
E si perché questa corporazione di “guardie” (termine per me talmente nobile da averci dedicato il mio blog e la mia trasmissione in onda sabato su Radio24 alle 19.30) è altamente litigiosa al proprio interno (e per capirlo leggetevi i botta e risposta tra colleghi pubblicati in questo blog).
Le “guardie”, beninteso, sono sensibili come paguri nella stagione degli amori se le chiamate così e debbono e vogliono (anzi pretendono) essere chiamate “agenti di polizia penitenziaria”. Corretto, correttissimo ma mi domando: guardia carceraria è un insulto? Per me sarebbe un onore.
Volete una dimostrazione della loro permalosità che sconfina spesso nella litigiosità? Bene: la traiamo dal sito www.sappeliguria.it. La notizia è del 21 gennaio 2008. "Siamo stati coinvolti in prima persona dalle dichiarazioni del segretario dell’Fsa-Cnpp Marco Attoma – scrive il Sappe – e riteniamo doveroso un diritto di replica’”. Motivo del contendere: i suicidi (un tema troppo serio per lasciarlo in mano ai sindacati ma tant è). “Il 4 gennaio scorso il segretario regionale ligure del sindacato Fsa – si legge sul sito – ha diramato un comunicato con il quale contestava la presa di posizione della nostra organizzazione sindacale, in merito al fenomeno dei suicidi..” E via con la replica. Ovviamente non poteva mancare il diritto di supremazia: “…il Sappe è l’organismo più rappresentativo a livello regionale e nazionale (500 iscritti in regione e 11.000 nazionali)”.
Direte: una rondine non fa primavera. Bene cari scettici, beccatevi un’altra notizia pescata ancora una volta a caso. Questa volta è tratta dal sito www.cnpp.it. Il sito dispensa “alcuni consigli per non incorrere ad eventuali spiacevoli artifizi messi in atto da personaggi scaltri e senza scrupoli che, approfittando della buona fede del dipendente, tentano la scalata nel mondo sindacale per fini personali (specie quelli economici), contribuendo soltanto a pregiudicare tutto il sistema sindacale costituito da persone che credono davvero nei valori e nell’importanza dell’associazionismo sindacale”.
Aldilà dell’italiano da ergastolo il succo è: le tessere contano e fanno contare! E gonfiano il portafoglio!
Ma dicevamo dell’alto tasso di assenteismo. Bene. Ora il “pacchetto Brunetta” avrà anche qui prodotto i suoi effetti ma leggete cosa dichiarava il sottosegretario alla Giustizia Luigi Vitali, con delega alla Polizia penitenziaria, in un’intervista resa non a me ma nientepopodimenoche a Giovanni Battista De Blasis. E chi è? direte voi. Nientepopodimenoche il segretario generale aggiunto del Sappe. L’intervista la traggo dalla rivista “Il pulpito” del 6 agosto 2005, inserita nella rassegna stampa del ministero. Tra le dichiarazioni rese, a un certo punto Vitali afferma (e fate attenzione): “…Io desidero invece chiedere la collaborazione di tutte le sigle sindacali affinchè si possa risolvere uno dei problemi più gravi che mi è stato prospettato dal Dipartimento: l’assenteismo. Assenteismo che, secondo i dati del Dipartimento, si attesterebbe intorno al 40%, dato che è assolutamente inaccettabile, stante che la percentuale fisiologica non dovrebbe superare il 12-15% complessivo”.
A me sembra personalmente già folle un tasso del 12-15%: con questi numeri un’azienda privata chiuderebbe ancor prima di aprire ma, invece che prendere e portare a casa cosa fa il poliziotto-sindacalista-giornalista? Visto che scrive sul “Pulpito”, arriva la predica. Testuale: “l’On. Vitali dimostra di possedere dati poco attendibili sul presunto eccessivo assenteismo…Ovviamente è assolutamente sovradimensionato il dato che probabilmente potrebbe forse riguardare qualche istituto che se confermato andrebbe ad assumere un evidente aspetto patologico da addebitare ad agenti strutturali, gestionali e di governo del personale”.
Oltre alla nascita di nuovi colleghi della polizia penitenziaria – gli “agenti strutturali” e gli “agenti gestionali” senza contare i mitici “agenti di governo del pesonale” – ci avete capito niente? “Potrebbe, se, forse, andrebbe, ma, chissà chi lo sa, ambarabacicicocò …”: è tutto un condizionale buttato lì dopo aver miscelato la lingua italiana in un frullatore. E mentre l’ex sottosegretario continua a criticare senza pietà sul resto delle pessime relazioni sindacali tra Dipartimento e lavoratori, un lettore si aspetterebbe qualche cifra in replica dal poliziotto-sindacalista-giornalista. Ohibò: se si fa un’intervista con un sottosegretario si va preparati per controbattere! Niente: zero carbonella.
Ovvio: persino le cifre citate da Vitali sono misericordiose. Ecco la sintesi di un’inchiesta che il 20 ottobre 2004 feci fare alle mie redazioni, quando ero caporedattore dei dorsi regionali del Sole-24 Ore: “In una giornata-campione di ottobre 2004 erano in organ
ico nelle regioni del Centro-Nord 8.248 agenti, ma per vari motivi le assenze erano 3.694. Nella stessa giornata-campione in Italia erano in organico 42.414 agenti; le assenze erano 20.983 Fonte: elaborazione del Sole-24 Ore Centro-Nord su dati del ministero della Giustizia”.
Chiunque di voi – recandosi in qualunque emeroteca – può leggere le inchieste complete e ne troverete delle belle. Passato ad altro incarico, non ho più fatto ripetere l’inchiesta. Ma per farvi riflettere un po’ vi cito dei dati – che non ho mai pubblicato – del 16 novembre 2006. Così, presi a caso (ma ho tutta la documentazione se a qualcuno serve).
In Liguria, quel giorno, su 1.050 agenti ne mancavano, a vario titolo, 424. In Lombardia su 4.808 persone, 1.359 dispersi (senza contare 581 distacchi). Il Molise è fantastico: 334 unità, quel giorno 219 assenti e 17 distacchi. E così via di questo passo. Credete che la situazione (prima dell’avvento di Brunetta il castigamatti castigato dall’Espresso) sia cambiata?
Poffarbacco! Ora me li vedo i sindacati: il nostro è un lavoro usurante! Vacci tu a fare la ronda! Ignorante! Vacci tu a fare l’agente in un carcere! Siamo stressati! Ci ammaliamo più di voi, pennivendoli che state con la schiena al caldo! Rischiamo! Guadagniamo due lire! Facile rispondere: ma chi vi obbliga? Se non vi va bene dimettetevi e cercatevi un altro lavoro. E’ ora di finirla con i piagnistei. Stessa litania dagli insegnanti, dai magistrati, persino dai politici, dai giornalisti. Aria, sciò: cambiate (cambiamo) se ne avete la forza, senza contare che un direttore di carcere a volte guadagna poco più (ma parliamo di manciate di euro) di un agente. E’ giusto cari parasindacalisti dei miei stivali?
E allora – per dimostrare che così non la penso solo io, l’ex sottosegretario e chissà quante persone di buon senso – beccatevi questa nota scritta dal direttore generale della formazione e del personale (capito le cariche?) del ministero della Giustizia, Carmine Sparacia, datata 14 luglio 2004. A pagina 3 di una circolare che bacchetta sulle mani il personale come un professore nel Ventennio, testualmente scrive: “…un ulteriore approfondita riflessione deve essere inoltre svolta con riferimento al fenomeno dell’assenteismo, causa di notevoli disservizi in molti istituti penitenziari”.
Ora questa lunga e obbligatoria premessa aggiunge e vi offre – cari lettori – nuovi elementi di valutazione e riflessione al post che ho scritto alcune settimane fa sulle proposte del magistrato antimafia Nicola Gratteri di riaprire le carceri dell’Asinara (e simili) per rendere ancora più duro il carcere duro (41bis): un mio pallino fisso (leggete i blog che ho scritto).
Ebbene dopo quel post un – dico e sottolineo uno solo – appartenente al Corpo(razione) di Polizia penitenziaria ha speso una parola su quella riflessione condividendone gran parte. Gli altri si sono alzati come un sol uomo soltantoper gridare alla lesa maestà nei confronti del loro Corpo(razione): ho ricevuto tra il mio blog, posta privata e altri blog che hanno rilanciato l’articolo, centinaia (dico: centinaia) di commenti. Un successo: sì di insulti e minacce (alle quali sono, peraltro, nobilmente abituato).
Il commento più carino è stato un “vaffa” (che ho cancellato dal sito così come altri ricchi di insulti e parolacce, difese dall’anonimato e questo già la dice lunga sulla preparazione e cultura di una fetta di agenti), per il resto: venduto, pennivendolo, giornalista da 4 soldi, cambia mestriere. ti aspettiamo in carcere, malinformato, ma come osi, vergognati, gola profonda di chissà quale potere e via con questa dolce melodia. A decine hanno scritto senza qualificarsi e dunque il loro coraggio si qualifica da solo. Il più simpatico (davvero!”) è stato un agente che “mi vedeva con un coltello alla gola mentre mi pisciavo addosso” (scusate la crudezza ma tutti i commenti giunti sono visibili su questo blog: leggere per credere).
Ora, cosa avevo detto in quell’articolo che faceva principalmente riferimento alla necessità di inasprire quanto più possibile il carcere duro, per meritare sì graziose attenzioni?
1) riaprire le carceri nelle isole (qualche parasindacalista con la schiena al caldo voleva cogliermi in fallo dicedo che alcune sono aperte. Sì: peccato che non ospitino boss delle mafie, che sono tutti o quasi in Lombardia!)
2) che il Corpo di polizia penitenziaria ha ge-ne-ral-men-te un basso grado di istruzione (le cose sono cambiate lentamente a partire dagli anni 90, sì ma troppo lentamente);
3) che il Corpo ha ge-ne-ral-men-te una scarsa preparazione professionale. Qualche altro professorone-parasindacalista mi ha ricordato che esistono i “Gom”, nuclei specializzati. Grazie, avevo bisogno che qualcuno me lo segnalasse, non lo sapevo. Sentite cosa dice un documento ufficiale redatto poco tempo fa dal Sindacato dei direttori penitenziari, il Sidipe (altra sigla buona per un ricostituente): “Il sindacato ha chiesto in un incontro ad Udine con dei rappresentanti delle forze politiche nazionali lo scioglimento del Gom (Gruppo operativo mobile). I Direttori Penitenziari d’istituto e degli uffici dell’esecuzione penale esterna hanno auspicato che al piu’ presto vi sia un urgente cambio di tendenza, attraverso un migliore e piu’ corretto utilizzo dei poliziotti penitenziari, restituendo il personale di polizia penitenziaria negli istituti ed impegnandolo nello svolgimento, effettivo, dei compiti istituzionali. Al fine di recuperare ingenti risorse umane, i direttori hanno proposto lo scioglimento del Gom, che considerano antieconomico ed inadeguato nella gestione dei detenuti ad alta sicur
ezza e 41 bis, ed evidenziato l’esigenza fortemente sentita di rivedere i modelli organizzativi dell’amministrazione penitenziaria, distinguendo chiaramente le funzioni di indirizzo e di controllo da quelle di concreta gestione”.
Ora, di fronte a questo documento che proviene da chi governa gli istituti – ma andatevi a vedere anche le posizioni di alcuni parlamentari/avvocati – c’è bisogno di aggiungere altro? Magari solo di riflettere e non chiudersi a riccio.
4) che il Corpo non si sottopone ge-ne-ral-men-te a controlli in ingresso e in uscita e se anche accade – leggete bene – questi controlli avvengono da parte degli stessi agenti: sono cioè autoreferenziali.
5) Che il Corpo e le famiglie possono essere avvicinabili (e ho anche specificato: non corruttibili ma avvicinabili e ricattabili) per una serie di motivi che non ripeto ma che possono essere letti nel precedente blog. Faccio ammenda: qui posso aver esagerato e se ho urtato la suscettibilità (giusta e me ne dolgo) di chi mi ha ricordato i casi di eroismo e denunce (tanti) e morti sul lavoro (parecchi) mi scuso.
Però…c’è un però. Avanzate le scuse doverose, riflettete su questo: quanti casi di cronaca (se navigate su Internet o leggete quotidianamnete i giornali ne trovate a decine) ci parlano di agenti che invece di stare dalla parte giusta stanno dall’altra? Ahime tanti, troppi (quelli noti, non parliamo di quelli imboscati e nascosti).
E su questo punto insisto: gli agenti di polizia penitenziaria vengono pa-ga-ti per stare dalla parte della giustizia. Quando questo accade non deve fare notizia: è la regola d’ingaggio, chiaro? Se rubano, spacciano, si drogano, sono complici di boss e malavitosi (e accade purtroppo) debbono essere pubblicamente esposti al ludibrio perché siamo stufi di difese corporative. Chiaro anche questo?
6) Tutto questo dicevo e scrivevo con particolare riferimento alla necessità di rafforzare la preparazione, la cultura, la competenza egli agenti a contatto – si badi bene: diretto o indiretto – con i detenuti ad alta sicurezza, a partire dai 41 bis. E lo confermo – a mio giudizio – molti, moltissimi passi in avanti bisogna fare in questa direzione. O credete che i mafiosi continuino a comandare dalle carceri senza poter contare anche su appoggi all’interno degli istituti? Siano essi agenti (di quelli parlavo nel mio articolo), educatori, assistenti sociali, direttori stessi, avvocati etc etc etc.
Termino con due riflessioni.
1) Apprezzo il lavoro svolto da migliaia di agenti di polizia penitenziaria (la gran parte) e a loro va tutto il mio senso di stima e gratitudine. In famiglia ho e ho avuto agenti di polizia, direttori di carcere, medici di istituto ed educatori. Ho dunque la forza di parlare conoscendo molte cose e senza guardare in faccia a nessuno – compresi i familiari che storceranno il naso – con la sola forza delle mie idee (giuste o sbagliate che siano). Vorrei però che sulle critiche ci si confrontasse serenamente (badate bene: delle minacce ricevute e delle telefonate anonime me ne faccio un baffo, chi conosce la mia storia sa che a ben altre minacce sono abituato).
2) Quando ero un ragazzotto di 25 anni – alla fine degli anni Ottanta, dopo essermi laureato con una tesi in criminologia passando mesi all’interno delle carceri – ho avuto la fortuna di dare un piccolissimo contributo di idee e critiche alla riforma penitenziaria che vide la luce di lì a poco. Lo feci da studente ancora indeciso se fare il giornalista a tempo pieno o intraprendere la carriera universitaria. Ed ebbi la fortuna di incrociare le mie idee e confrontarle con un grande uomo che qui vorrei ricordare e che forse a qualcuno dei detrattori a tempo (sindacale) non conosce perché forse stava ancora giocando con i lego: Ignazio Sturniolo, gentiluomo e direttore generale del ministero della Giustizia. Posso dire il padre dell’ordinamento penitenziario tanto sbandierato dagli agenti nelle loro missive.
Questo lo dico solo per un motivo: a chi mi ha detto che non conosco la realtà delle carceri italiane rispondo solo “meditate agenti meditate”. E uscite dal guscio autoreferenziale confrontandovi sulle critiche e non con gli insulti: la predica proviene dal pulpito di un giornalista, categoria autoreferenziale e corporativa per definizione.