Gli avvocati (sporchi e collusi) sono la nuova miccia che Cosa nostra e le mafie accendono per far deflagare i propri affari e cementare il cordone ombelicale con la poltica (corrotta). So che mi tirerò dietro l’ira degli Ordini regionali e, forse, anche di quello nazionale ma bisogna avere il coraggio di scrivere ciò in cui si crede sempre che – si badi bene – sia supportato dai fatti.
E allora ragiono sui fatti, difendendomi dietro uno scudo formidabile: il Maestro di giornalismo Indro Montanelli, secondo il quale “una volta è un caso, due sono una coincidenza e tre sono una prova”.
Partiamo dal caso, restando ancorati alla cronaca – di oggi, 27 ottobre 2008 – che ci racconta di una vasta operazione antimafia nel trapanese. Tralascio gli arresti e gli indagati politici e mi soffermo sull’avvocato palermitano Francesca Adamo, 44 anni, accusata di concorso esterno in associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni (di una famiglia di Cosa Nostra, si badi bene, non di un collegio di vergini). La figura dell’avvocato – definita inquietante da Paolo Guido, il magistrato della Direzione antimafia di Palermo che ha coordinato l’operazione – si racconta da sola. «Preziosissimo secondo gli investigatori – e sto citando l’agenzia di stampa Agi – il contributo dell’avvocato Adamo che, come sottolineato dagli stessi coindagati, oltre ad essere una profonda conoscitrice dell’ambiente eccellentè di Cosa Nostra nel palermitano, era specializzata nel reperire teste di legno « a cui attribuire la titolarità fittizia di imprese occultamente controllate dalla famiglia mafiosa». «Io ad Altofonte – continua l’avvocato nelle intercettazioni ambientali riportate dall’agenzia di stampa – ci posso arrivare tranquillamente. Io quello lo vedo, io cu chiddu siempri mi ci viu, cu chiddu ri Altofonte». Frasi in dialetto che lasciano intendere, secondo i Carabinieri, che l’avvocatessa Adamo aveva rapporti e riusciva ad incontrare il boss latitante Domenico Raccuglia. In un’altra conversazione lo stesso avvocato sosteneva di avere «amici al Capo», «se li chiamo arrivano in cinque minuti» e, secondo i Carabinieri, costoro avrebbero potuto risolvere i problemi sparando.
Passiamo alla coincidenza. Il 23 settembre l’avvocato Marcello Trapani, penalista, è stato arrestato con l’accusa di associazione mafiosa. Trapani era l’avvocato di fiducia dei boss Sandro e Salvatore Lo Piccolo. Il legale avrebbe – tra le altre cose – acquistato un giubbotto antiproiettile per i latitanti eccellenti.
E veniamo alla prova (ma cambiando l’ordine delle storie il risultato non cambia). L’8 aprile la squadra mobile di Agrigento aveva arrestato con l’accusa di favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra l’avvocato Gaetana Maniscalchi (detta Luisa). L’operazione è stata condotta nell’ambito dell’inchiesta sulla cattura del boss latitante Giuseppe Falsone. Particolare da non dimenticare: Maniscalchi aveva tentato anche la fortuna in politica presentandosi candidato sindaco a Naro, appoggiata da Forza Italia e An. Altro particolare da tenere a memoria: l’Ordine ha deciso per il momento di non cancellarla dall’Albo in attesa degli sviluppi.
Ebbene, potrei andare oltre la prova e ricordare che recentemente è stato arrestato nella Piana di Gioia Tauro (l’ex) avvocato Gioacchino Piromalli e che andando (di poco) indietro con la memoria, si trovano decine di avvocati arrestati (ricordate a esempio Raffaele Bevilacqua, boss della provincia di Enna, al quale la Direzione investigativa antimafia di Calatanisstetta il 28 maggio ha sequestrato beni per 1,5 milioni?). ).
Ebbene: la zona grigia, fatta da professionisti (avvocati, commercialisti, ingegneri, giudici etc) non è una novita per Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra ma a mio giudizio stanno venendo a galla una dopo l’altra proprio le “prove-provate” delle mafie in colletto bianco. Se a questo aggiungiamo che molti avvocati (ripeto: sporchi e collusi) sono uno dei motori principali per la violazione del carcere duro dei boss, quando garantiscono il dialogo tra i boss stessi e i luogotenenti fuori, ne abbiamo a sufficienza per chiedere un’esame di coscienza alla categoria e un salto di qualità: così come ha fatto Confindustria Sicilia perché non denunciare con forza e, soprattutto, perché non rendere più stringente il controllo sui requisiti (anche morali) di accesso?
E finisco con un’altra provocazione: perché non registrare i colloqui in cella tra boss sottoposti al carcere duro e i propri avvocati? Attento ai diritti costituzionalmente garantiti e alle leggi dello Stato (vedi privacy)? Va bene, lo ammetto, così come riconosco che nella maggior parte dei casi riportati non c’è stata ancora alcuna condanna passata in giudicato, ma almeno discutiamo di questa provocazione per fare in modo che le prove nel futuro siano in realtà solo stupide coincidenze, ricordandoci però che il bene generale (quello dei diritti della collettività nazionale) deve essere sempre e comunque prevalente a fronte del bene del singolo (il diritto della persona condannata o indagata).
Finisco con un’osservazione: una donna avvocato arrestata è un caso, due una coincidenza. Scommettiamo che presto avremo la prova che le donne-avvocato sono l’asso nella manica che Cosa Nostra e le mafie stanno giocando su più tavoli?
roberto.galullo@ilsole24ore.com