La cultura mafiosa al Sud non morirà mai/3: delitti d’onore per i “talebani” d’Italia e Palermo dimentica la primavera del ‘92

Tra le macerie che questa estate 2016 lascerà, oltre a quelle del terremoto per le quali c’è almeno la speranza della celere rimozione, ci sono quelle, credo perenni, della continua disgregazione morale del Sud.

Ciò che è mancata, scrivo da giorni, è stata proprio l’analisi complessiva dei fenomeni che dovrebbe allarmare forse più di un rischio terremoto. La capacità di metterli in fila e capire che, in fondo, quella regressione morale e quella degenerazione dei costumi e delle tradizioni che spesso imputiamo ad altri, ce l’abbiamo in casa, a partire da quel Sud che è sempre più miccia e al tempo stesso polveriera.

Come qualificare l’episodio di ieri a Foggia, dove colpi di pistola e mitraglietta sparati in pieno giorno tra la folla hanno ferito un presunto boss e il nipotino di quattro anni che era in auto con lui?

Come qualificare diversamente l’episodio – noto o stranoto ai più – del 20 agosto a Nicotera, 6.700 anime in provincia di Vibo Valentia? Una ventenne è stata gambizzata in un bar del centro dal fratello perché indossava la minigonna e fumava.

Un tentato omicidio perpetrato nel pieno della “movida”, in un bar del centro, sotto gli occhi di tutti, facilmente riconoscibile. Anche se nessuno aveva fatto il nome dell’aggressore. Inizialmente neppure la sorella.

Al netto dei fraintendimenti anche involontari sul rigore morale della famiglia di appartenenza del giovane attentatore, sui quali non ho elementi di giudizio, non è forse involontariamente un protagonista di questa cultura mafioso/talebana? E che differenza c’è tra l’obbligo di far indossare il burka anche quando se ne potrebbe fare a meno e il divieto di indossare una minigonna imposto ad una ventenne nell’anno di grazia 2016 in una parte di Calabria rimasta ancora strettamente ancorata a riti ancestrali di sottomissione, violenza e prevaricazione? E che differenza c’è tra la barba lunga e folta dei talebani integralisti e quella pur folta e nera della nuova “paranza” di camorra napoletana? Nessuna, neppure nella fede. Per gli uni è di un dio musulmano che piegano a proprio uso e consumo, per gli altri di un dio pagano intriso di disvalori che elevano a protettore dei propri voleri.

Le regressioni della coscienza “del” e “nel” Sud – drammatiche, violente, continue, senza freni e contaminanti per il resto d’Italia – riportano indietro anche quel poco di battaglie civili e spontanee che negli scorsi decenni avevano dato vita, ad esempio in Sicilia, ad una stagione “primaverile”. Aria nuova. Presunta tale, debbo onestamente dire, viste le successive degenerazioni politiche.

Nella notte del 23 agosto a Palermo, nel popolare e bellissimo mercato Vucciria, alcuni poliziotti impegnati ad arrestare un rapinatore sono stati accerchiati ed aggrediti finché lo scippatore è riuscito a fuggire. I poliziotti erano intervenuti per bloccare un giovane che aveva appena scippato una ragazza. Mentre il presunto ladro era già stato ammanettato una decina di giovani ha circondato i poliziotti, cominciando a sferrare calci e pugni che hanno consentito allo scippatore di scappare. Dopo un giorno di ricerche del rapinatore, alla Questura sono state recapitate le manette spezzate.

L’ultimo episodio del genere in ordine di tempo risale alla fine di aprile, quando sempre a Palermo, a seguito di una rapina da 10mila euro al mercato ortofrutticolo, uno dei malviventi era riuscito a scappare grazie all’intervento di molte persone che avevano ostacolato l’operato della Polizia.

«Ci chiediamo dove sia finita quella Palermo che dopo le stragi del ’92 alzò la testa – si è chiesto Franco Maccari, segretario generale del Coisp, il Sindacato indipendente di Polizia – urlando la propria dignitosa volontà di cacciare via la criminalità dalle strade, dalle case, dalla vita dei cittadini onesti. Ce lo chiediamo perché c’è un solo un modo di cambiare le cose, ed è iniziando dal pretendere il rispetto delle regole e della legalità nella quotidianità, nelle faccende di ogni giorno, piccole o grandi che siano. Ma Palermo, oggi, mostra ancora il suo volto peggiore. Ciclicamente, nel corso dei mesi, si ripetono episodi gravissimi di incultura, di vera e propria eversione, di rifiuto di ogni regola e di ogni principio di civiltà, episodi che marchiano la città indelebilmente. Episodi che costano alle Forze dell’ordine sacrifici e salute, e che rendono di una certa evidenza il fatto che in determinate zone d’Italia lo Stato deve dispiegare molti ma molti più mezzi e più uomini se vuole riaffermare la propria supremazia in territori che, ad oggi, hanno tutte le caratteristiche delle terre di nessuno».

Quel che si chiede Maccari se lo chiede qualunque italiano che abbia il buon senso e l’amor di patria come principi di vita.

A domani

r.galullo@ilsole24ore.com

3 – to be continued

(per le precedenti puntate si vedano

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2016/09/05/la-cultura-mafiosa-al-sud-non-morira-mai1-il-brodo-primordiale-di-melito-porto-salvo/

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2016/09/06/la-cultura-mafiosa-al-sud-non-morira-mai2-burkini-islamici-e-spose-bambine-per-i-talebani-mafiosi/)

  • Bartolo |

    Caro Galullo,
    La primavera palermitana del 92 è stata spezzata sul nascere. Lo stato, scientemente, l’ha spezzata! Negli occhi di chi ha vissuto (terrorizzato) quegli anni non sbiadirà mai l’immagine del capo dello stato e di quello della polizia durante i funerali di Borsellino e degli agenti di scorta trascinati come canne al vento dalla folla inferocita che sapeva perfettamente dove risiedevano le responsabilità per i barbari assassinii culminati nelle stragi di Capaci e via D’Amelio. Due stragi che hanno spento il tentativo di superare uno stato parzialmente colluso con la mafia e acceso il verde per il via libera ad uno parzialmente mafioso. Realizzatosi grazie alla legge sui pentiti monca della possibilità della clausola dissociativa…. Era evidente che l’esercito di mafiosi fosse all’oscuro di quei vili e criminali attentati, quindi, oltre che ai pentiti (gestiti in maniera mafiosa) era fondamentale raccogliere anche le versioni di coloro che si dissociavano. E questo anche se sia stata soltanto la mafia ad idearle ed eseguirle, quelle stragi.
    Lei oggi ci scrive di cultura mafiosa che continua ad opprimere un popolo. E sembra aver ripiegato dopo le “grida” alla forca; e allora, considerato che è più di un secolo che si tenta inutilmente di abbattere detta cultura abolendo parzialmente lo stato di diritto, perché non provare il contrario, rafforzandolo? Ah…. Dimenticavo: non si può… Meglio continuare con la tortura. E lo stato d’emergenza, che abolisce il diritto di difesa per i più deboli.
    Saluti

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