Nell’ordinanza di custodia cautelare firmata il 13 maggio nell’ambito dell’indagine Fata Morgana (alla quale rimando con i link sotto) c’è un interessantissimo innesto delle «vicende consacrate nel procedimento Meta».
Già, ai cultori della ‘ndrangheta “tutta apecar e meloni” non piacerà, ma esprime proprio così a pagina 281 il Gip di Reggio Calabria Barbara Bennato che, quell’ordinanza, ha firmato.
A me, invece, quella parte piace moltissimo perché, lo scrivo da tantissimi anni – dato per assodato che quella ‘ndrangheta unitaria esiste ancestralmente, con o senza una sentenza della Cassazione che ci metta il doppio timbro definitivo, perché per me il timbro esiste in Calabria almeno dalla riunione di Montalto del ’69 – ciò che questo Paese corrotto e corruttore ha avuto paura di fare è stato andare oltre la cicoria, la ricotta, l’apecar, gli ortaggi, le bruciatine e i santini. E oltre una visione in cui ogni “mafiona” agisse come monade impazzita a sé stante.
Ebbene i pm dell’indagine Fata Morgana (Rosaria Ferracane, Giuseppe Lombardo, Luca Miceli e Stefano Musolino) oltre ci vanno e il Gip Bennato scrive dunque che le sentenze del processo Meta (non dimentichiamolo mai: un’indagine osteggiata al punto da rischiare, per volute fughe di notizie, di non veder mai la luce) definiscono l’esistenza di una super associazione (altro che gli incontri in una lavanderia!) che dà conto dell’evoluzione della ‘ndrangheta «che si innesta, ora, in maniera armonica nel tessuto investigativo effigiato dal pm nel decreto di fermo».
Non è contestabile – scrive proprio così testualmente il Gip facendo prendere un coccolone in certi ambienti giudiziari, investigativi, forensi e professionali – che da quella sentenza emerga la traccia di un fenomeno per cui, in seno alla ‘ndrangheta, si sia realizzato un meccanismo operativo che vede un gruppo di soggetti occulti, per o più celati a buona parte dell’organizzazione, che ha un ruolo essenziale.
E qual è questo ruolo? Neppure questo piace a certi magistrati, poliziotti, avvocati e professionisti (a partire dai reggi-veline nella mia professione): consentire l’integrazione dell’associazione di tipo mafioso negli ambienti decisionali di Reggio Calabria, in grado dunque di interagire non solo con la classe dirigente ma anche con le Istituzioni, consentendo loro di godere di quel reticolo di relazioni e cointeressenze che non solo permettono alle mafie di consolidarsi ed espandersi economicamente e dunque finanziariamente ma anche «e soprattutto» di consolidare la propria forza creando «rapporti di corrispondenza biunivoca con le stesse Istituzioni che, lungi dal rimanere insensibili a richiami come quello dell’associazione mafiosa, ne subiscono il potere fascinatorio e finiscono con l’interagire con chi ad ogni effetto, deve ritenersi espressione della ‘ndrangheta pur non apparendo ictu oculi (in parole povere: a occhio nudo, ndr) immediata espressione della stessa».
E qui si potrebbero portare tanti esempi ma pm e Gip si limitano (per il momento) a fare riferimento al procedimento Mastro nel quale il collaboratore di giustizia Cosimo Virgiglio ritira fuori il livello superiore, in seno alla ‘ndrangheta, vale a dire la massoneria.
Attenzione: non è il primo e non è l’unico, basti solo tirar fuori dal cassetto della memoria dei beoti che so, un Filippo Barreca, un Giacomo Ubaldo Lauro, un Sebastiano Altomonte, un Antonino Belnome che avevano già descritto come sarebbe diventato il mondo mafioso. Oppure che so, uno Zio Luni Mancuso che intercettato a parlare testimonia come l’evoluzione della mafia sia veloce quanto la luce a dispetto della lentezza del cronometro giudiziario e della anestetizzazione compiacente dell’opinione pubblica: «quattro storti che ancora credono alla ‘ndrangheta…hanno fatto la massoneria…il mondo cambia…domani la chiamiamo p4, p6, p9».
Allora perché Virgiglio viene richiamato proprio ora? Semplice: le circostanze raccontate o esternate da Barreca, Lauro, Mancuso, Altomonte, Belnome e altri collaboratori siciliani e confluite in diverse inchieste «hanno trovato nuova linfa» nelle dichiarazioni recentissime, del 29 aprile 2015, dell’imprenditore di Gioia Tauro sull’area “riservata” (o “coperta”) in cui la ‘ndrangheta «si fonde con la massoneria e la grande impresa».
Ora – se le parole hanno un senso – l’espressione “fusione” dice tutto. Non c’è bisogno di aggiungere altro. Se non quello che scopriremo dall’evoluzione di questa indagine e da quanto leggeremo domani attraverso la viva voce di Virgiglio.
7 – to be continued (per la precedente puntata si legga http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2016/05/11/con-lindagine-fata-morgana-la-dda-continua-la-caccia-alle-logge-selvagge-che-governano-la-calabria/
http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2016/06/28/dio-quanto-piace-il-ponte-sullo-stretto-al-network-scoperto-dalla-dda-di-reggio-calabria/)