In questi giorni mi sto divertendo (si fa per dire) a leggere alcune audizioni della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, presieduta dal Pd Alessandro Bratti.
L’attenzione è caduta su quella resa il 22 luglio dal prefetto di Roma, Franco Gabrielli (sulla quale mi concentro oggi e con altri servizi nelle prossime ore). Su alcuni passaggi dell’audizione credo che i parlamentari avranno fatto fatica a trattenere le risate. Per l’incredulità o per la disperazione di quanto stavano ascoltando. Fate voi, tanto il risultato è drammaticamente lo stesso.
Il discorso, ad un certo punto, ruota intorno alle criticità della gestione della raccolta dei rifiuti nella consapevolezza che, di fronte a profondi limiti strutturali e all’incapacità di darsi un progetto, Roma è condizionata da eventi assolutamente prevedibili, che nella Capitale diventano subito emergenziali.
Non ci credete? Nemmeno i parlamentari, probabilmente e allora ecco lì che il prefetto Gabrielli fa subito un esempio. «Nel mese di maggio abbiamo avuto una difficoltà di raccolta – spiegherà il “badante” del sindaco Ignazio Marino – ; ho quindi chiamato Ama (l’Azienda di igiene urbana ndr), chiedendo di spiegarmi come questa città potesse entrare in crisi per cose di cui non ho percezione; la risposta è stata disarmante: maggio è un mese nel quale aumenta l’umido perché cresce il consumo di verdure e di frutta».
Ditemi voi: c’è da piangere o da ridere? Per me – che sono romano – c’è da buttarsi sotto un treno. Ma è davvero ammissibile che una città culla della civiltà mondiale possa andare in tilt per una foglia di lattuga e una buccia di banana in più? Ma come è stato possibile che la Capitale si sia abbassata a questo stato di degrado profondo e mi auguro non irreversibile? Con quale coraggio chi ha governato per decenni questa città osa predicare ancora se ha razzolato così male?
Ma non basta, signori miei, perché a questo dramma “ortofrutticolo” si somma un altro evento “straordinario”, «quasi come quello giubilare», dirà con una simpatia più unica che rara il prefetto Gabrielli: «siccome il nostro è un sistema fortemente dipendente dai termovalorizzatori del Nord, onorevole Puppato, i termovalorizzatori del Nord ad aprile-maggio vanno in manutenzione, perché, ovviamente, non servono il teleriscaldamento; le linee, quindi, diminuiscono e si privilegia il conferimento del rifiuto autoctono. Se in tutto questo interviene anche la Regione Lazio, che si inventa un’interpretazione di una sentenza del Consiglio di Stato che fa riferimento a vicende della Campania, siccome siamo il Paese del pendolo e passiamo da momenti in cui tutto è consentito a momenti in cui tutto è da verificare e da passare allo spettro puntuale dell’indagine, con il sospetto su ciò che si deve fare, queste situazioni producono sulle strade di Roma quel degrado che è una delle cause dell’insofferenza della gente».
Io una soluzione l’avrei: romani, da maggio a settembre non mangiate frutta e verdura. Fanno male. Alla dignità di una città che ha dimenticato da tempo di essere stata la culla della civiltà.
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