Amati lettori, anche ieri su questo umile e umido blog mi sono soffermato sull’insipienza collettiva che – abilmente pilotata nei decenni – ha portato a credere che a Roma e nel Lazio sia stata improvvisamente scoperta la mafia grazie all’operazione Mondo di mezzo.
Ieri, insieme, abbiamo letto uno straordinario documento datato 1959 che testimonia come già allora, in Parlamento, qualcuno capì che non esiste mafia senza Roma. E che – aggiungo io – purtroppo non esiste questa Roma senza mafie, di cui quella scoperta dall’indagine della Procura di Roma – se le risultanze processuali lo confermeranno – è forse la meno offensiva. E comunque resta – come scrivevo ieri – una delle tante fogne a cielo aperto per fortuna portate alla luce dalla Procura.
In questa lunga estate, leggendo decine e decine di documenti, ho riassaporato il gusto di una certezza che coltivo da tempo: nelle carte del passato c’era già scritto tutto. Solo che la politica marcia, la magistratura dormiente e l’opinione pubblica vigliacca, hanno fatto in modo che tutto restasse sopito e inoffensivo.
Leggete, ad esempio. cosa scrive – da pagina 383 in un capitolo intelligentemente chiamato “La nuova mafia” – la Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia (presidente il Psi, poi sindaco di Roma, Luigi Carraro) nelle relazioni consegnate alle Camere il 4 febbraio 1976.
A proposito di Roma e del Lazio scrive, testualmente, che «la cellula mafiosa romana ha caratteristiche e, probabilmente, compiti diversi da quella milanese: questa ha livelli esecutivi ed operativi, agisce con determinazione gangsteristica, deve battere rivali forti ed economicamente potenti. La cellula romana, invece, è più insinuante e meno esposta tanto che usa delle coperture di “facciata” che non servono a quella milanese, opera a livello più alto ed, infatti, è diretta da Gaetano Badalamenti, che la riunione delle “famiglie” ha nominato capo della “nuova mafia”, ed attende certamente non a compiti esecutivi, ma a quelli direzionali non di primissimo livello, cioè a livello di Lucky Luciano (morto il 26 gennaio 1962 per crisi cardiaca mentre si trovava all’aeroporto di Napoli, ndr) ma certamente a ridosso del livello più alto».
Straordinario. Quaranta anni fa era già tutto chiaro: la mafia romana era più «insinuante» (aggettivo sublime), meno esposta e con copertura di facciata, opera a livelli più alti di quella milanese. Poi, negli anni, grazie alla cecità che ha colpito tutti, anche Milano è diventata come Roma.
Ma andiamo avanti.
«Gli stessi uomini che confluiscono nell’organizzazione romana – si legge da pagina 413 – hanno una posizione più prestigiosa dei “soldati” di Alberti, perché sono Rimi Natale, uomo che approda a Roma con la solida copertura – di una assunzione alla Regione Lazio attraverso appoggi ed “ammanigliamenti” politici, D’Anna Gerolamo e Calogero, Mangiapane Giuseppe, tutti uomini “di rispetto”».
Poi la Commissione parlamentare si abbandona ad un lungo, disperato (e disperante) profilo proprio di don Tano Badalamenti e delle sue indegne coperture ad altissimi livelli che, oggi, si replicano pari pari con altri capimafia. Matteo Messina Denaro – tanto per fare un nome – come è possibile che sia da oltre 20 anni latitante? Lo ha detto il procuratore aggiunto di Palermo Maria Teresa Principato che, verosimilmente, costui gode di protezioni altissime. Lo avesse detto un giornalista (e io lo dico e lo penso) sarebbe stato bollato come un idiota da parte di quella parte di classe dirigente collusa quando non cementata nei sistemi criminali.
Dico di più e avanzo un sospetto da comunista (quale non sono), come si diceva in un tempo recente: Messina Denaro sarà consegnato alle autorità statali (come a mio modestissimo e fallace avviso accadde con Provenzano e Riina) nel momento in cui nuovi e più stabili rapporti di forza reciproca saranno stabiliti tra la parte marcia dello Stato e la componente mafiosa, entrambe appassionatamente unite in quella cupola di un sistema criminale che sta distruggendo l’Italia. La trattativa non è mai morta ed è ovviamente antecedente a quella sulla quale sta indagando la Procura di Palermo. Data – almeno – dallo sbarco degli americani in Sicilia allorquando Genco Russo (nisseno, laddove la mafia è nata ed continua a devastare e a replicare finissime strategie di morte) dettò la sua legge.
«Abbiamo riferito le “coperture” di persone rispettabili ed autorevoli che intrattenevano rapporti con Badalamenti – scrive la Commissione parlamentare – e probabilmente questo intreccio di protezioni e di “rispettabilità” è alla base del fenomeno più sconcertante che riguarda il boss della “nuova mafia”».
La quintessenza della mafia signori miei: «…intreccio di protezioni e di “rispettabilità” è alla base del fenomeno più sconcertante che riguarda il boss della “nuova mafia” ».
Il Tribunale di Palermo nel dicembre 1969 assegna Badalamenti, su segnalazione sollecita e circostanziata della Questura di Palermo, al soggiorno obbligato in provincia di Cuneo. La Corte d’Appello nel febbraio successivo modifica la destinazione ed invia Badalamenti a Velletri, a due passi da Roma: è la scelta più sospetta che mai sia avvenuta – lo scrive la Commissione parlamentare! – e che dimostra a quale distorsione può pervenire una misura di prevenzione, utile ed insostituibile, quando è irrazionalmente applicata.
A Velletri Badalamenti governa magnificamente la sua posizione di capo della cosca romana, ha molti amici, tra l’altro il cugino Francesco e Salvatore Zizza sono anche loro a Velletri in un lussuoso appartamento, mentre a Roma è stato inviato in soggiorno obbligato, sempre dalla Corte d’Appello di Palermo a modifica di una precedente decisione, il braccio destro di Badalamenti, Gerolamo D’Anna.
Il Comando dei Carabinieri di Palermo insorge contro questa irrazionale decisione e con un rapporto del 21 febbraio 1970 chiede una diversa assegnazione: Badalamenti viene inviato prima a Macherio (Monza Brianza) poi a Calciano (Matera).
Signori miei e noi stiamo scoprendo oggi il Mondo di mezzo? Quando il Mondo di sopra?
r.galullo@ilsole24ore.com
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