Morte di Attilio Manca/3 Il capo della Procura di Viterbo è certo: «L’urologo non ha operato Provenzano a Marsiglia»

Cari e amati lettori di questo umile e umido blog, da alcuni giorni sto trattando ancora della vicenda relativa alla morte dell’urologo Attilio Manca che secondo le risultanze delle indagini della Procura di Viterbo (città nella quale risiedeva e operava) è morto l’11 febbraio 2004 per una overdose. Sarebbe morto da drogato colui il quale, secondo la famiglia Manca, avrebbe verosimilmente operato il boss di Cosa Nostra Bernardo Provenzano in quel di Marsiglia (Francia).

Non vi tedio neppure oggi con le decine di anomalie che la famiglia Manca ha sollevato in questi 11 anni con forza e disperazione sul quel suicidio. Ciò che conta è che l’8 aprile i legali della famiglia Manca hanno chiesto ufficialmente alla Procura di Roma di riaprire le indagini (denuncia per omicidio di mafia) e che lo stesso 8 aprile l’ex magistrato Antonio Ingroia, oggi legale della famiglia con il suo collega Fabio Repici, è andato in Commissione parlamentare antimafia per lanciare un durissimo atto di accusa non solo contro la Procura di Viterbo (dove ha in corso un indagine per calunnia) ma contro un mondo che su quella morte ha fatto muro.

Durissimo (se avete letto gli articoli precedenti ai quali rimando con link a fondo pagina) è stato l’atto di accusa anche contro la Procura di Viterbo. Non assolverei al mio dovere di imparzialità e terzietà se non dessi conto di quanto detto in seno alla stessa Commissione parlamentare antimafia dalla stessa Procura, attraverso il capo della Procura Alberto Pazienti (a capo dal 2008) e il sostituto Renzo Petroselli (dovrò operare una sintesi e dunque rimando per l’intera audizione al link http://www.camera.it/leg17/1058?idLegislatura=17&tipologia=audiz2&sottotipologia=audizione&anno=2015&mese=01&giorno=13&idCommissione=24&numero=0075&file=indice_stenografico).

I due magistrati, vale la pena sottolinearlo, hanno parlato in Commissione il 13 gennaio 2015 e dunque mesi prima di Ingroia (ai quali saranno ancora liberi di ribattere se la Commissione proseguirà, come ha affermato, nel seguire da vicino il caso).

I due magistrati hanno doverosamente difeso il proprio lavoro, le indagini svolte, le perizie, le testimonianze raccolte, insomma ogni passo svolto nel tentativo di accertare la verità. Per questo, appunto, rimando puntualmente al link indicato sopra.

Quel che affronto oggi è la parte relativa agli eventuali collegamenti (e dunque cause o concause) tra Attilio Manca e la “galassia Provenzano” che, secondo quanto raccontato ai commissari antimafia dall’avvocato della famiglia, Antonio Ingroia, sarebbero all’origine dell’omicidio di mafia, grazie alla mano sporca di ambienti deviati della massoneria e dei servizi segreti, al fine di proteggere la trattativa tra Stato e mafia e il suo maggior garante, vale a dire quel Bernardo Provenzano boss di Cosa nostra poi arrestato.

Ebbene, ecco quel che dichiarò il procuratore capo di Viterbo Pazienti: «Guardando gli atti e tenendo conto delle obiezioni dei familiari, la prima cosa che è stata certa è che i rapporti tra Manca e Provenzano sono inesistenti dal punto di vista processuale. Si tratta, infatti, semplicemente di un’argomentazione della madre che, ricordando che il figlio le aveva telefonato una volta dalla Costa Azzurra, si è detta: “vuoi vedere che mio figlio in quel periodo ha operato Provenzano in quanto era molto bravo negli interventi alla prostata in laparoscopia? Forse lo ha riconosciuto e ne ha determinato la morte”. Questa è un’affermazione che non solo non trova alcun elemento, ma è anche in contrasto con tutti gli accertamenti fatti da Palermo, che in ordine all’intervento alla prostata di Provenzano sa tutto: sono andati a Marsiglia, hanno parlato con il medico, hanno le cartelle cliniche, hanno arrestato gli italiani – siciliani – che avevano collaborato per l’intervento di Provenzano a Marsiglia. C’è poi un’altra cosa: dalle stesse cartelle cliniche risulta che Provenzano è stato operato alla prostata con i metodi tradizionali, non con l’intervento in laparoscopia, quindi non c’era alcun motivo di rivolgersi a chi all’epoca non era poi un luminare della laparoscopia, ma era uno che se ne stava interessando. Non solo: siccome poi nel tempo queste denunce di omicidio di mafia sono state fatte alle varie procure antimafia, noi non ricevevamo che fascicoli che ci venivano inviati per competenza, perché sia Caltanissetta che Palermo non hanno ritenuto che ci fosse alcun fatto mafioso. Diversa è la situazione se si va a vedere come è avvenuta la morte di Attilio Manca, perché lì ci sono altre obiezioni. Si diceva che Attilio Manca è morto per overdose di eroina e tranquillanti e non assumeva sostanze stupefacenti. Questa è la prima obiezione, per cui sono andato a vedere gli atti. Il 17 febbraio 2004, pochi giorni dopo la morte di Attilio Manca, la mamma, Gentile Angela, interrogata nel commissariato di pubblica sicurezza di Barcellona Pozzo di Gotto dichiara: “ero a conoscenza che mio figlio quando frequentava il liceo ha fatto uso di sostanze stupefacenti, poi a 18 anni è partito per Roma e ha cambiato vita, non mi sono più accorta di nulla e lui non mi ha mai detto di farne ancora uso”. Questo veniva dichiarato dalla madre immediatamente dopo la morte del povero Attilio Manca. Si dirà (o meglio dicono adesso) che avrà fumato qualche spinello, ma, se mi viene chiesto se sappia niente di mio figlio che è morto per eroina e dico che ha fatto uso di sostanze stupefacenti, non mi sembra credibile il fatto dello spinello: uno guarda a qualcosa di più sostanzioso. Questo era il primo elemento, poi c’è stata la perizia. La perizia ha stabilito che la morte di Attilio Manca era dovuta a un uso tra l’altro nemmeno eccessivo di eroina, ma misto a tranquillanti, e sulla base dell’esame autoptico è stata fatta anche la perizia tricologica sui capelli, che ha dato l’esito di pregresso uso di sostanze stupefacenti. Se i familiari mi vengono a dire che questa perizia è falsa, che quell’altra perizia è sospetta perché è stata fatta dal medico legale Ranalletta, che era l’unica che effettuava le autopsie a Viterbo a quell’epoca, però – guarda caso – è la moglie del professor Rizzotto presso il quale all’ospedale Belcolle di Viterbo il Manca lavorava e questo diventa sospetto, uno non può rispondere niente. Se tutto quello che viene posto contro diventa oggetto di un complotto a cui hanno partecipato tutti, allora non c’è difesa. Altro elemento che è sempre stato portato a sostegno è che era totalmente mancino per cui non avrebbe potuto farsi i buchi sul braccio, ma, signori miei, come si può ritenere che uno che si sta specializzando in laparoscopia non adoperi entrambe le mani? Sinceramente io non mi farei operare in laparoscopia da un professore che usi solamente la mano sinistra! È credibile quindi che come molti altri fosse ambidestro, cioè potesse utilizzare entrambe le mani, anche perché parliamo di un medico. Sono circolate alcune foto che hanno visto leggermente schiacciato il setto nasale, ma i medici mi hanno detto che dipende dall’aver trascorso tutta la notte morto in quella posizione, quindi è più che normale. Queste sono comunque tutte questioni che potrebbero essere inerenti alle modalità della morte di Attilio Manca, ma non certo ad Attilio Manca ucciso su mandato di Provenzano. Per poter trovare per la prima volta un piccolo appiglio bisogna giungere a quello che si è verificato nell’anno appena concluso con le dichiarazioni di Setola, quindi parecchi anni dopo tutta la vicenda, dichiarazioni che io ho appreso dai giornali. Setola avrebbe dichiarato di aver saputo da uno che stava in carcere con lui che Provenzano si era fatto operare e aveva forse ucciso un medico, che sbagliando definisce oncologo invece che urologo, ma quello potrebbe esserci come errore, perché l’aveva riconosciuto. Queste dichiarazioni vengono fatte però da un soggetto che credo sia stato dichiarato poco credibile, dopo dieci anni che se ne è parlato e scritto su tutti i quotidiani. Questo è il quadro. Ho omesso tutta l’indagine collaterale fatta da Messina sull’uso di sostanze stupefacenti da parte di Manca, laddove alcuni suoi paesani amici, ovviamente tutti indagati a Viterbo come possibili autori dell’omicidio, hanno dichiarato di essere soliti rifornirsi di sostanza stupefacente da una tale Monique residente a Roma in via dei Serpenti, che ovviamente le indagini hanno un fatto in modo che fosse rinviata a giudizio per aver ceduto ad Attilio Manca sostanza stupefacente il giorno prima della sua morte. Di fronte a queste situazioni però i familiari dicono che i suoi paesani, compreso il cugino che l’ha visto poco prima di morire, fanno tutti parte di un complotto. Questo è quindi il quadro di carattere generale.

….. Posso aggiungere una cosa che forse vi riguarda maggiormente: l’unica cosa per me certa in tutta questa vicenda è che il dottor Attilio Manca non può aver operato Provenzano a Marsiglia. Questo è dimostrato in maniera totale, le indagini sono state fatte a suo tempo, a Palermo hanno fatto i processi, ci sono state le condanne, è tutto chiaro e tutto preciso. È stato seguito a ritroso l’iter di Provenzano da Marsiglia fino al ritorno a Palermo, quindi possiamo dire che sicuramente non può averlo operato a Marsiglia. Cosa possiamo ipotizzare, che Provenzano prima dell’arresto si sia fatto visitare per un controllo? Lui lascia Marsiglia, non si ferma nel viterbese, come pure è stato ritenuto sempre per giustificare la visita, va direttamente a Palermo e prima dell’arresto matura il tempo per una visita di controllo, per la quale infatti lo aspettavano a Marsiglia. Non risulta aver fatto questa visita di controllo, ma, se pure avesse fatto una visita di controllo prima dell’arresto, perché avrebbe dovuto rivolgersi al dottor Manca che stava a Viterbo? Probabilmente avrebbe potuto farla a Palermo con tanti altri medici. Il rapporto fra Provenzano e Manca mi sembra quindi del tutto inconcepibile. Su tutto il resto possono aprirsi mille altre ipotesi, perché si tratta di indizi, non ci sono certezze».

Dopo queste certezze, un’altra considerazione sul cugino di Attilio, Ugo Manca, chiamato in causa nella testimonianza di Ingroia (che, vale la pena di sottolinearlo, quando sarà ascoltato l’8 aprile ha ovviamente letto i resoconti di Pazienti e Petroselli già pubblicati sul sito della Commissione antimafia e, ugualmente, farà strame del lavoro negli anni della Procura di Viterbo). Dirà Pazienti: «…Non è esatto che questo Ugo Manca, sia stato nell’appartamento del cugino molto tempo prima. Lei sa che la morte è avvenuta il 10-11 febbraio 2004. Il cugino Ugo Manca era stato in Viterbo, in quanto, appunto, doveva fare un intervento credo di varicocele o che, comunque, richiedeva la specializzazione del cugino, ospite di quell’appartamento nel dicembre 2003».

Credo che lo scontro sul caso Manca (e mi verrebbe da pensare, per estensione, anche sul “caso Provenzano”) avrà modo di proseguire in maniera ancor più aspra. Non credo, però, che il mistero intorno alla sua morte sarà mai chiarito. Troppi interessi in gioco. Superiori a quelli di un urologo, facilmente sacrificabile sull’altare dei giochi di potere.

r.galullo@ilsole24ore.com

3 -the end ((per le precedenti puntate e sullo stesso argomento si leggano anche

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2015/04/16/morte-di-attilio-manca1-durissimo-atto-daccusa-dellex-pm-antonio-ingroia-contro-la-procura-di-viterbo/

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2015/04/20/morte-di-attilio-manca2-ingroia-omicidio-di-mafia-massoneria-deviata-e-servizi-per-difendere-la-trattativa-stato-mafia-e-il-garante-provenzano/

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2012/05/03/la-morte-giallo-del-dottor-attilio-manca-la-clinica-laziale-e-il-lapsus-di-piero-grasso-sulla-cattur/

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2012/10/05/esclusivo-trattativa-stato-cosa-nostra-sulla-cattura-di-bernardo-provenzano-la-procura-di-palermo-ap/

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2013/06/13/la-dda-di-palermo-riapre-lindagine-sulla-cattura-di-provenzano-intrecci-diabolici-tra-un-gigante-spa/

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2014/03/27/prestipino-in-commissione-antimafia-scrive-la-parola-fine-sul-legame-tra-la-morte-di-attilio-manca-e-bernardo-provenzano/)

  • Hermann Bollinger |

    Mi permetta di risponderle ulteriormente, perché la trovo una discussione interessante, ma sia chiaro che non c’è alcuna vena polemica.

    Anche presupponendo la completa imparzialità degli organi giudicanti, la verità giudiziaria non può che coincidere con la realtà dei fatti solo ‘in media’ – dove uso questo termine nel senso probabilistico del termine -, perché siamo umani, non divini, questo è il meglio che possiamo fare. E nei casi più complessi, come ad esempio quello di Attilio Manca, il margine di incertezza attorno alla media sarà molto elevato.

    Se ci pensa, fare il giudice è per certi versi come fare lo storico: difficilmente uno studioso è in grado di trovare tutti i documenti che gli permettono di capire esattamente cosa successe, quali sono stati gli esatti comportamenti, men che meno le reali motivazioni degli attori di una determinata vicenda avvenuta nel passato. Per forza deve venire in soccorso il ragionamento induttivo, che cercherà di riempire i vuoti, producendo una narrativa plausibile. E questa è quasi più un’arte che una scienza.

    Se mi permette la metafora, lo storico ed il magistrato hanno un ruolo che ricorda quella persona costretta ad indovinare la forma esatta di un cubetto di ghiaccio, senza averlo mai visto, utilizzando solo la forma della pozza che esso ha prodotto sciogliendosi. Questo non vuol dire che ci si debba arrendere, che non abbia senso ricercare la verità. E’ assolutamente il nostro dovere farlo, sia come storici, che come giudici, anche se le nostre decisioni conterranno, per definizione, un certo grado di presunzione. Per questo bisogna sempre mantenere una certa umiltà, l’arroganza non può trovare spazio in questo contesto: solo chi non comprende la sua intrinseca incertezza, può permettersi di farci credere di non esserne a sua volta succube.

    Il caso Attilio Manca, nella mia umile opinione, presenta una certa arroganza sia da parte della procura di Viterbo (perché non provare a battere tutte le piste, inclusa quella del cugino Ugo Manca? Perché la verifica delle date di permanenza a Marsiglia di Provenzano è stata fatta in modo così informale?), ma anche da parte di chi interpreta alcuni fatti (iniezione nel braccio destro, naso tumefatto, impronta digitale, per citarne alcuni) in modo assolutamente dietrologico.

    Ben vengano dunque ulteriori accertamenti (ahimé, ove possibili, dopo tanti anni), sperando che possano diminuire la cortina di incertezza, ma fino ad allora manteniamo un certo equilibrio. L’indignazione conserviamola per il momento in cui si dovesse veramente scoprire una verità sgradevole, quella preventiva a me non convince mai.

  • Roberto Galullo |

    Caro Bollinger (non mi piace rispondere a nomi di fantasia ma tant è) compito di un giornalista degno di questo nome è raccontare i fatti, analizzarli, presentarli con tutte le angolazioni possibili e senza mai (possibilmente) farsi vincere dal desiderio di protagonismo. Se lei giunge alla conclusione di non essere convinto dell’omicidio, vuol dire che ho esercitato bene (non sempre ci riesco) la mia missione (il giornalismo, infatti, non è un mestiere): vale a dire mettere a disposizione dei lettori gli strumenti per crearsi una propria opinione. Il suo commento, dunque, mi rende felice. Detto questo, personalmente ho sempre avuto mille dubbi su quel suicidio e, mi creda, continuo ad averne moltissimi. In realtà, come ho scritto tante volte, tutto ciò che ruota intorno a Provenzano, alla sua latitanza e alla sua cattura, mi suscita dubbi. Il compito, comunque, di provare le verità giudiziarie spetta solo alla magistratura fino a eventuale terzo grado, come dico sempre. La verità giudiziaria non sempre coincide con la verità dei fatti ma non si può fare diversamente. Saluti

  • Hermann Bollinger |

    Caro Galullo, la stimo molto e la seguo costantemente. Ho letto con attenzione tutte le audizioni della commissione sul tema, i vecchi articoli che ha scritto lei, ma anche quelli usciti sul web nel 2014, in coincidenza con l’uscita di un libro dedicato al caso. Premesso che non sono un investigatore, ma un semplice cittadino che cerca di informarsi, a me la tesi dell’omicidio non convince in pieno.

    Non può che essere un giudizio soggettivo, nessuno di noi può sapere cosa successe veramente ad Attilio Manca. Ed è giusto fare tutti i supplementi di indagine del caso (la procura di Viterbo in effetti non ne esce bene, l’audizione di Ingroia è lucida e precisa nell’evidenziare certe colpevoli dimenticanze). Ma se da questo filone non scaturisse nulla, non sarei sorpreso. Gli elementi da mettere in fila per ipotizzare ragionevolmente l’omicidio, mi sembrano così tanti da lasciarmi scettico. Molte altre vicende, che lei con coraggio ci racconta giornalmente, hanno contorni più torbidi di questa. Poi mi sbaglierò ma ci tenevo a scriverlo.

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