ESCLUSIVO/ Trattativa Stato-Cosa nostra sulla cattura di Bernardo Provenzano: la Procura di Palermo apre (e archivierà) il fascicolo

Non c’è nessuno elemento che ci porta a ritenere che il boss abbia soggiornato nel Lazio. Certi giornalisti si fanno affascinare dalle ipotesi. I magistrati non hanno assolutamente trattato”.

Il 10 luglio in un evento pubblico il Procuratore capo della Dna, Piero Grasso, aveva ancora una volta tagliato la testa a due ipotesi in una: non si è mai riscontrata alcuna presenza certa della latitanza di Bernardo Provenzano nel Lazio e mai trattativa tra Stato e Cosa nostra ci fu per la sua cattura.

La Procura di Palermo ha fatto il suo dovere e sulle ipotesi trattativa per la cattura di Binnu u tratturi – che ironicamente chiamo da anni “mangiatore di ricotta e cicoria” ma solo chi non conosce la mia avversità alle menti raffinate di Cosa nostra ancor prima che a quelle “militari, può rinfacciarmi questo soprannome – ha aperto a maggio un fascicolo.

Questo è accaduto dopo che questo umile blog (con i pezzi che troverete in archivio del 24, 25 e 26 aprile, 3 e 4 maggio 2012) e poi l’Unità e a ruota servizi di altre testate, compresa quello di Maurizio Torrealta di Rainews24 e una lunga puntata sull’argomento di “Servizio pubblico” di Michele Santoro, avevano giornalisticamente seguito i possibili sviluppi e le possibili conseguenze di questa ipotesi.

Seguì anche una richiesta da parte di alcuni membri della Commissione parlamentare antimafia di portare l’argomento in quella sede (ricordiamo, per spirito di cronaca che l’attuale presidente Beppe Pisanu, all’epoca della cattura del boss era ministro dell’Interno) e si racconta tra colleghi (leggenda metropolitana?) di un ampio, ricco, sorprendente e per taluni compromettente servizio di una prestigiosa televisione internazionale su questa presunta trattativa, stoppato pochi minuti prima della messa in onda e mai andato in onda. Se è vero, perché?

Nessuna “fascinazione” dunque per la stampa ma ricostruzioni imparziali e polifoniche di quello che poteva ruotare intorno a una presunta trattativa che – in sede di audizione in Csm – lo stesso Grassò smentì (e questo è bene ricordarlo sempre) categoricamente. Il 14 dicembre 2011 – in audizione al Csm – Grasso disse chiaro e tondo che l’uomo che si presentò nel 2003 in Dna per intavolare una discussione sulla eventuale cattura di Provenzano era un truffatore. “Quindi a me sembrava più un truffatore che altro. Infatti feci questo colloquio investigativo – sono le testuali parole di Grassoma poi nel tempo scoprii che altri due in precedenza erano stati fatti da Vigna e dai sostituti Cisterna e Macrì”. Non proprio su questa linea era Piero Luigi Vigna che prima di Grasso condusse la Dna ed ebb modo di entrare in contatto prima di lui con il mediatore. Quindi capitolo chiuso.

Anzi no. Perché Alberto Cisterna e Enzo Macrì, appunto, in vario modo dissero che di truffatore proprio non si poteva parlare. Cisterna si è limitato, per ora, in due occasioni – una di fronte all’ex capo della Procura di Reggio Calabria, Pignatone Giuseppe e l’altra con il capo della Procura generale di Reggio Calabria, Salvatore Di Landro – a dire che sarebbe venuto il momento di parlare sul serio della cattura di Provenzano. Sul serio.

L’altro – Macrì – ha pestato duro sul fatto che quel ragioniere commercialista non era assolutamente un truffatore.

INTERVIENE LA PROCURA DI PALERMO

Ignazio De Francisci, procuratore aggiunto della Procura e dal 1° ottobre in Procura generale sempre a Palermo, ha aperto a maggio – proprio sulla base delle notizie giornalistiche – un fascicolo modello 45, vale a dire (tecnicamente) l’iscrizione effettuata nel registro degli atti non costituenti reato. Quindi – ab origine – nessun reato è stato intravisto nelle condotte descritte dalle indagini giornalistiche.

La Procura di Palermo ha fatto il suo mestiere e De Francisci ha convocato a sé, tra maggio e pochi giorni fa alcuni protagonisti di quella vicenda, tra i quali Cisterna, Macrì e un mediatore presentatosi a nome di Provenzano.

UN SECONDO MEDIATORE

E già: un mediatore. Perché questo umile e umido blog è in grado di rivelare che i mediatori erano due: il secondo – adducendo l’impossibilità di sostenere le spese di viaggio per l’interrogatorio a Roma – non è stato ascoltato e questa possibilità sarà ora forse seguita da chi – al posto di De Francisci volato in Procura generale – prenderà in mano il fascicolo, vale a dire il sostituto Francesca Mazzocca.

Questo secondo mediatore in realtà ben poco potrà aggiungere a quanto dichiarato – anche davanti a De Francisci oltre che davanti alle telecamere di Servizio Pubblico – dal mediatore principe della presunta trattativa. Mediatore che – a quanto trapela da alcune fonti – avrebbe ricordato ancora una volta di essere stato mandato da un terzo soggetto (mai comparso sulla scena) di cui mai e poi mai avrebbe fatto e farà il nome. Non lo fece neppure quando Vigna lo prese da parte in un corridoio della Dna per farselo dire: niente da fare.

Il mediatore – è stato ancora una volta ricordato al pm De Francisci – aveva una paura pazzesca nel compiere quel gesto. Fu – in altre parole – obbligato a presentarsi come interlocutore attendibile. Sembra di capire, insomma, che l’ordine di andare a bussare alla porta dello Stato non fosse partito direttamente da Provenzano o dalla sua “ala” ma da un soggetto terzo, d’accordo con il boss. Chi? Un uomo dei servizi? Un politico? Un uomo delle Istituzioni? Ipotesi non poi così campate in aria se è vero come è vero che il mediatore principale, quello che per intendersi bussò alla porta dello Stato, non era un mafioso e gravitava però intorno al mondo dei servizi. Probabilmente non sapremo mai nulla del secondo uomo perché è verosimile – al netto del fatto che il mediatore principale sul punto non parla – che il fascicolo sarà archiviato dalla Procura di Palermo.

NON DUE MA QUATTRO MILIONI

I misteri – se tali sono – che il fascicolo archivierà saranno tanti. Non solo quello della doppia mediazione ma anche quello sui soldi che il mediatore avrebbe chiesto per portare lo Stato alla cattura di Provenzano. Soldi che – forse con altre utilità come ad esempio la cattura in un posto concordato e magari resa nota ai media solo successivamente o financo stagioni di pax mafiosa da garantire in cambio di chissà cosa – avrebbero dovuto essere spartiti. Tra chi? Tra il mediatore e la famiglia di Provenzano? Tra i soli (due) mediatori? Tra mediatori, famiglia e terzi? Sembra che i servizi – in un primo momento – abbiano ragionato sulla possibilità di erogare una somma di denaro. M
a poi?

Così come mai si saprà – se, come ritengo verosimile, il fascicolo sarà archiviato – se la trattativa (abortita a Roma dove la Dna ha chiuso le porte a quello che è stato definito un truffatore) è proseguita invece su altri canali lontani da Roma. In Sicilia? Nel Lazio? Sempre con la manina dei servizi? E quali servizi?

Sbaglierò sicuramente ma ho l’impressione – questa si che è un’ipotesi – che il mistero di questa trattativa ruoti intorno a ciò che è successo “dopo” la porta chiusa in faccia dalla Dna. Questa mia ipotesi non sarà mai provata o negata perché sul punto la Procura di Palermo ha messo in chiaro che le teorie non possono essere inseguite. Il fumus – insomma – fumo è e fumo resta.

ATTILIO MANCA

Il Lazio non è una regione citata a caso, perché in sede di dichiarazioni davanti a De Francisci è stata ricordato la strano caso dell’omicidio-suicidio di Attilio Manca, il giovane urologo che avrebbe potuto o sarebbe entrato in contatto con Provenzano. Prima a Marsiglia, dove dalle sue mani giovani ma esperte il boss potrebbe aver ricevuto un’operazione alla prostata e poi nel Lazio ma – si badi bene – non in quel di Viterbo dove Manca fu trovato “suicidato” ma a Roma, dove i contatti medico-massonico di Provenzano erano ai più alti livelli. Altissimi. Irraggiungibili ai comuni mortali.

La strana morte di Attilio Manca e il suo eventuale collegamento con le vicende in vita di Provenzano non è stata riportato al pm De Francisci da un giornalista affascinato dalle ipotesi – si badi molto bene – ma da magistrati della Repubblica Italiana.

Se è stata riportata in sede di audizione un motivo – che non conosco – ci sarà ma tant è: prendiamo atto che si tratta di un collegamento fantasioso che non può essere provato (forse non lo sarà mai) e che dunque muore lì.

LA DIRETTIVA VIGNA

Altro mistero è quello della direttiva ai comandi di polizia – scritta da Vigna per sua esplicita ammissione e che, se non fosse morto, avrebbe dovuto essere audito anche su questo punto dal pm De Francisci – sulle Procure da avvisare e coinvolgere in caso di arresto di Provenzano. Questa direttiva è stata per certo chiesta dalla Procura di Palermo ma non è mai arrivata dalla Dna. Se davvero così fosse sarebbe in vero uno strano caso di collaborazione tra procure antimafia. Certo sarebbe interessante sapere cosa diceva questa direttiva e sapere l’ordine gerarchico di allerta: Quali Procure? Solo Palermo o anche Roma e Viterbo?

CONCLUSIONE

Quel modello 45 – aperto solo perché qualcuno, domani, potesse chiedere conto del perché la Procura palermitana, ammesso e non concesso che fosse quella più indicata ad aprire il fascicolo, non avesse dato un minimo seguito alle inchieste giornalistiche – come è stato aperto così sarà chiuso e con se tutto il mistero intorno a quella cattura. Vedete insisto nel dire “mistero” non perché mi piaccia questa parola – che aborro in genere – ma perché dovremmo dare quanto meno dei “faciloni” a due magistrati del calibro di Cisterna e Macrì (e allo stesso Vigna che condusse personalmente i contatti), che invece hanno insistito (e insistono) sulla necessità di vederci chiaro intorno a quanto accadde durante e dopo quel “toc-toc” all’uscio dello Stato.

E vedete, ha ragione la Procura di Palermo quando, in sintesi, mette sul tavolo due ipotesi che conducono entrambe all’assenza di reati e che partono – e per questo ha ragione – entrambe dalla certezza, certificata al più alto livello da Grasso, che il ragioniere-commercialista dell’alto Lazio (e il suo sodale) era un truffatore.

Nel caso a) i due mediatori non commettono comunque truffa ai danni dello Stato, perché non sono riusciti nella mediazione. Perché non furono trovati i soldi o perché non furono mai promessi. Ma tant è.

Nel caso b) ammesso che i due avessero tentato di fottersi i 2 o i 4 milioni, non sarebbero mai riusciti nel loro tentativo perché i soldi – casomai- sarebbero arrivati solo a cattura avvenuta.

Ecco, appunto. C’è da chiedersi infatti – come fa da mesi Enzo Macrì – perché un bel giorno un pazzo bussa alle porte della Dna per cercare di fottere – al tempo stesso – Provenzano e lo Stato e con quali speranze di riuscirci visto che i soldi li avrebbe ricevuti solo a consegna avvenuta.

Non lo sapremo mai. E dire che è una bella domanda. Così come una riflessione che ripropongo – ancora una volta – e che se penalmente e processualmente questa presunta trattativa muore ancor prima di iniziare, resta in piedi “la” questione che è squisitamente morale e che vale non in questo ma in tutti i casi (a partire da quella trattativa che vede coinvolte in questi anni le Procure di Palermo e Caltanissetta).

Una trattativa con la mafia o con chi la rappresenta non si deve instaurare mai. A prescindere dal fatto che ci sia di mezzo o meno un truffatore perché questo lo si scopre solo dopo. In una trattativa – infatti – c’è sempre un do e un des. E quale che sia la merce in cambio che lo Stato è disporre a dare – soldi, utilità o anche una semplice promessa – lo trovo moralmente inconcepibile.

Vivrò fuori dal mondo ma la vedo così.

r. galullo@ilsole24ore.com

  • Gaia Mairo |

    fino a quando gli sforzi dello Stato saranno indirizzati a combattere la mafia e non ad annientarla, ci troveremo sempre dinanzi a questi “misteri”.

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