Quella che è andata in onda l’8 aprile in Commissione parlamentare antimafia, sbaglierò di certo, ma anche è uno dei tanti round tra magistrati siciliani nei quali si parla a suocera perché nuora intenda.
La vicenda della morte di Attilio Manca, siciliano di Barcellona Pozzo di Gotto (città in provincia di Messina, crocevia di mafia e sistemi criminali), urologo di fama e presunto chirurgo di Bernardo Provenzano in quel di Marsiglia (Francia) per un cancro alla prostata, si perde infatti nelle nebbie palermitane ancor prima che in quelle viterbesi, sponda ultima dal punto di vista professionale, umano e giudiziario, di Attilio Manca (al quale questo blog nel passato, con rigore e in silenzio rispetto al clamore spesso ostentato dai “colleghi”, ha dedicato molti servizi alcuni dei quali si rimandano con link a fondo pagina). Manca, ricordiamolo, morì a 34 anni l’11 febbraio 2004 a Viterbo, dove risiedeva e lavorava.
Sbaglierò ma il mondo di cose dette e non dette, fatte e non fatte, addebitate tra ex magistrati della Procura di Palermo (e non solo) che ruota intorno alla “galassia Provenzano”, alla sua vita e alla sua cattura è talmente fitta da perderci il sonno. E i segnali del tipo “io so che tu sai che io so” si moltiplicano in ogni occasione. Ripeto, sbaglierò.
Credo si tratti, in diversi casi, di pagine molto buie della democrazia italiana e credo, altresì, che i riflettori della stampa non solo siano fortemente detestati ma anche che debbano essere spenti in ogni modo possibile e immaginabile.
Per restare al caso di specie, Antonio Ingroia, appunto ex pm di Palermo e attualmente avvocato della famiglia Manca, l’8 aprile ha sparato a zero in Commissione antimafia su una vicenda che ora tocca altri magistrati, e che, parole testuali sue, «che per troppo tempo è rimasta al buio e che è rimasta al buio, lo dico con il dolore necessario di un ex magistrato, soprattutto per responsabilità di un pezzo di magistratura. Mi riferisco, in particolare, alla procura di Viterbo, che non solo nulla ha fatto perché emergesse tutta la verità su quella vicenda, ma anzi ha fatto di tutto perché la verità non emergesse. Quali siano le ragioni non sta a me individuarlo, ma devo dire che, da quando io ho assunto, assieme all’avvocato Fabio Repici, che segue la vicenda da più tempo di me, la difesa delle parti offese, ossia della famiglia Manca, nella vicenda di Attilio Manca, leggendo le carte e gli atti di quell’inchiesta, sono rimasto sbalordito ed esterrefatto nell’evidenziare la sciatteria del modo di condurre quell’indagine. A questo si aggiunge – non ho motivo per non essere particolarmente duro, e non solo perché la procura di Viterbo, nel frattempo, mi ha perfino indagato, ma parlerò a breve anche di questo, per calunnia, incriminandomi nell’espletamento della mia attività difensiva – una rara ostinazione e un’ottusità investigativa (mi si passi il termine) nell’ignorare in modo deliberato, continuativo e ostinato ogni indicazione che veniva e che è venuta in questi anni dalla famiglia per fare chiarezza sui fatti, anche ignorando l’evidenza dei fatti».
Ora è inutile che mi dilunghi sull’archiviazione (rectius: sule archiviazioni) del Gip del Tribunale di Viterbo sulla vicenda relativa al possibile omicidio per mano mafiosa dell’urologo (Internet è fonte aperta piena di servizi e sul sito della Commissione antimafia è possibile leggere l’integrale audizione di Ingroia) ma quel che qui si sottolinea, a fronte delle tante anomalie su quel suicidio (ufficialmente per overdose secondo la Procura di Viterbo), è un passaggio nel quale Ingroia afferma che «per dimostrare la sciatteria dei magistrati di Viterbo che si sono occupati di questo caso basta citare l’archiviazione del Gip, che, a fronte dell’obiezione della parte offesa su questo particolare, ha replicato allegando un articolo dal Corriere della Sera – questa era la letteratura scientifica consultata dal Gip per rigettare l’obiezione della difesa – che diceva che i medici hanno una particolare manualità. Pertanto, aggiungeva e commentava il giudice, poteva benissimo darsi che la manualità da medico consentisse a un mancino puro di farsi un’iniezione con la mano meno sicura».
Ingroia e Repici proprio l8 aprile hanno presentato alla Procura di Roma richiesta di apertura delle indagini per omicidio mafioso e il 13 gennaio 2015 il collaboratore di giustizia palermitano Stefano Lo Verso, che è stato sentito davanti alla Corte d’assise di Caltanissetta nel processo Borsellino-quater, ha fatto espresso ed esplicito riferimento alla sua conoscenza di particolari che potrebbero fare luce sul caso dell’urologo Manca. Dalla provincia di Messina, arriverebbero altri due pentiti, Carmelo D’Amico e Nunziato Siracusa, che secondo i legali della famiglia Manca potrebbero riferire fatti e circostanze di rilievo sulla vicenda.
Ora sapete, voi che mi seguite, che dei pentiti mi fido quanto ci si può fidare di uno jihadista in Terra Santa ma non è compito mio giudicarne la fondatezza e dunque spero che le sue affermazioni abbiano seguito ed eventuali riscontri ferrei.
Compito del giornalismo è quello di non fermarsi mai alla superficie delle cose, a maggior ragione quando le cose che si raccontano ai lettori originano dalla Sicilia e dalla Calabria, terre nelle quali ciò che appare quasi mai è (per non dire mai). Dunque vanno approfondite le ulteriori denunce in Commissione antimafia di Ingroia, secondo il quale in questa vicenda ci sono stati clamorosi depistaggi, veri e propri falsi, nei quali venivano attestate in atti pubblici alcune circostanze da lui ritenute false.
Per questa ragione Ingroia venne incriminato per calunnia. Qual è la falsità alla quale si riferisce l’ex magistrato e per la quale è indagato? «Io mi riferivo alla nota della squadra mobile di Viterbo del 21 novembre 2006 – dirà Ingroia l’8 aprile davanti ai commissari antimafia – firmata dal dottor Salvatore Gava, al tempo dirigente della squadra mobile di Viterbo, che è stato per altre vicende già condannato in definitivo per fatti di falso in atto pubblico, ossia per lo stesso tipo di incriminazione. Il dottor Gava è stato condannato con sentenza definitiva per falso a tre anni e otto mesi di reclusione per le vicende della famosa falsa bottiglia molotov dei fatti del G8 di Genova ed è il firmatario – sarà una coincidenza, ma è lui – di questa informativa in cui è scritto il falso. È scritto il falso obiettivo. In parte, si evince che sia falso perfino dagli stessi allegati della nota falsa. La nota dice che nei giorni in cui Bernardo Provenzano si trovava a Marsiglia per le cure mediche il dottor Manca era di servizio presso il reparto di urologia dell’ospedale Belcolle di Viterbo, mentre dagli stessi allegati – chi ha firmato la nota non si è dato cura neanche di verificare gli allegati alla nota stessa – risultano dei vuoti, per fare delle esemplificazioni, nei giorni che vanno dal 25 al 26 ottobre.
In particolare, questo è il fatto più clamoroso. Due giorni consecutivi sono più che sufficienti per andare da Viterbo a Roma, da Roma a Marsiglia, fare una visita e tornare in servizio all’inizio della settimana successiva. Si tratta di un fine settimana compreso in quel periodo.
In ogni caso, è falsa la circostanza per cui il dottor Manca fosse stato continuativamente in servizio in quei giorni presso l’ospedale di Viterbo, ed è falso, quindi, che fosse impossibile per lui recarsi a Marsiglia, fare la visita e tornare, ma c’è di più».
Il di più, secondo Ingroia, è che la Squadra mobile di Viterbo avrebbe appreso semplicemente da una telefonata al Servizio centrale operativo della Polizia di Stato che Bernardo Provenzano si era recato a Marsiglia dal 7 all’11 luglio e dal 22 ottobre al 4 novembre mentre invece risulterebbe che Provenzano è stato a Marsiglia ben più dei quattro o cinque giorni limitati all’entrata e alla dimissione dalla clinica. Sarebbe stato quasi un mese consecutivo a Marsiglia, sia nel mese di luglio che in quello di ottobre e si andassero, secondo Ingroia, a confrontare gli spostamenti di Provenzano a Marsiglia con i turni di servizio di Attilio Manca, ci si accorgerebbe dei vuoti enormi, a volte di quattro o cinque giorni. in cui Manca stesso non era in servizio, periodi immediatamente prima e immediatamente dopo l’operazione a Marsiglia.
Per ora mi fermo qui ma dalla prossima settimana proseguo sul caso Manca annunciando fin da ora che si darà conto anche della versione della Procura di Viterbo.
1 – to be continued (sullo stesso argomento si vedano anche