Il 16 dicembre 2014 in Commissione parlamentare antimafia è andata in onda un’interessantissima audizione del capo della Procura della Repubblica di Napoli Giovanni Colangelo e dell’aggiunto Giuseppe Borrelli.
Un’audizione servita a ricostruire il volto della nuova camorra campana negli ultimi 15/20 anni che poi, dal punto di vista della potenza economica, altro non sarebbe che quella casalese. Ieri come oggi.
A questa interessantissima audizione ho deciso di dedicare una serie di post, cominciando da quello di martedì nel quale ho dato conto della veste imprenditorial/politica dei casalesi soprattutto attraverso il racconto del boss pentito Antonio Iovine.
Ieri ho proseguito sulla falsa riga attraverso la riflessione del capo della Procura Colangelo sulla “catena corruttiva” della camorra che mette da parte la violenza (per quanto possibile) e punta sulle “buone maniere” imprenditorial/politiche che sovvertono l’ordine democratico (rimando, con i link a fondo pagina, ai servizi).
Oggi cerchiamo di dare un’idea della forza economica della camorra casalese attraverso alcuni semplici dati forniti dai due magistrati.
«Per dare un’idea della portata economica degli affari del clan dei casalesi – spiega il procuratore aggiunto Borrelli – posso dirvi solo che Iovine riferisce come già negli anni duemila ciascuna famiglia – stiamo parlando di cinque famiglie: Caterino Giuseppe, Schiavone, Iovine, Zagaria e Bidognetti – versasse alla cassa comune 60 mila euro al mese, quindi 300 mila euro al mese, devoluti ai soli pagamenti degli stipendi, ovviamente a parte i profitti dei capi delle organizzazioni criminali in sé e per sé considerati. Era, quindi, un’organizzazione che aveva circa 3 milioni 600 mila euro l’anno di pagamento di stipendi».
Rispondendo ad una domanda della commissaria Laura Garavini (Pd), il capo della procura Colangelo aggiungerà che «il movimento economico al quale ha fatto riferimento il collega avviene in contanti. Qualche volta, le rimesse ai detenuti avvengono necessariamente mediante vaglia o rimessa postale, ma in quel caso coloro che rimettono le somme per l’assistenza ai detenuti, lo fanno ovviamente in qualità di familiari, congiunti o altro e nei limiti massimi previsti dall’ordinamento penitenziario. Solo in quel caso, quindi, cioè che l’affiliato all’organizzazione criminale sia detenuto, si trova la traccia contabile di riferimento della rimessa bancaria. In tutti gli altri casi in cui l’assistenza sia versata ai parenti o ai congiunti liberi, non c’è ovviamente traccia di tutto questo».
Può bastare. Domani si torna con un concetto: quello della unitarietà dei Casalesi
3 – to be continued (per le precedenti puntate si leggano http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2015/01/13/camorra-imprenditrice1-il-racconto-del-boss-casalese-antonio-iovine-prende-forma-in-commissione-antimafia-grazie-alla-procura-di-napoli/