Tav e cosche/ 1 L’operazione San Michele mette un dito sulla piaga delle cave che, utilizzate a fini criminali, diventano miniere d’oro

Cominciamo col fare chiarezza: secondo la Dda di Torino la ‘ndrangheta che corre sul binario “Torino-Crotone” a papparsi alcuni (ripeto: alcuni, non tutti!) i lavori della Tav non c’è riuscita. Così sgombriamo subito il campo dagli equivoci e dagli allarmismi. Merito proprio della Procura della Repubblica di Torino (i pm dell’indagine sono Roberto Sparagna e Antonio Smeriglio) che, con l’operazione San Michele, condotta dai Ros dei Carabinieri, due giorni fa, ha inferto un durissimo colpo ad una presunta associazione ‘ndranghetista che, oltre alle solite attività, cercava di inquinare gli ambienti politici (come se non fossero già inquinati di loro!) e tentava, appunto, di accaparrarsi commesse in occasione dell’apertura dei cantieri della Tav. Questo è quanto sostiene l’accusa. Lo dico e lo riscrivo sempre perché la presunzione d’innocenza fino a sentenza passata in giudicato è un cardine della nostra democrazia

La presunta associazione (come vedete nomi e cognomi degli indagati e degli arrestati, del resto reperibili su centinaia di siti, non mi interessano perché voglio andare come sempre al sodo, vale a dire all’analisi dei fenomeni evolutivi delle mafie) avrebbe fatto perno su San Mauro Marchesato, paese del Crotonese del quale ignoravo persino l’esistenza. Ebbene lì sarebbe addirittura attiva, secondo la ricostruzione degli inquirenti, una ‘ndrina dipendente dalle cosche di Cutro.

Nulla di nuovo: autonomia sì ma indipendenza no.

Ebbene, dicevamo, gli appetiti della criminalità organizzata non sarebbe stata saziata, nonostante le spacconate di uno degli indagati che al telefono con un sodale diceva: « … e ricordati queste parole… che ce la mangiamo io e te la torta dell’alta velocita’… ma loro non devono rompermi il cazzo/…». Tipini fini…

In tutta onestà bisogna comunque dire che, ad un certo punto gli inquirenti scrivono (e il Gip Elisabetta Chinaglia sottoscrive) che alcune imprese di un presunto affiliato alla ‘ndrangheta, per le quali non andrà a buon fine nel consorzio Valsusa, beh, forse qualche lavoretto lo hanno già svolto. Roba di poco conto, comunque e nessuna prova di disegno o profitto criminale.

Al netto di questo analizziamo un primo fenomeno che emerge da questa operazione alla quale dedicherò ben più di un servizio.

Bene, il primo fenomeno da analizzare è quello delle cave che, come da sempre denuncia Legambiente, sono un elemento sensibilissimo nella filiera criminale delle mafie (ne sanno qualcosa in Campania).

Ebbene nell’ordinanza si legge dell’«l’interesse strategico del gruppo che intravedeva nella gestione della cava l’occasione per infiltrarsi nei lavori di realizzazione della linea ad alta velocità Torino – Lione c.d. Tav. Come si vedrà, infatti, le intenzioni degli indagati vertevano sull’utilizzo della cava come deposito di rifiuti speciali per le ditte “amiche” che avrebbero lavorato nella Tav nonché come luogo per la frantumazione dei rifiuti già presenti sul posto o comunque acquisiti, da reimpiegare (senza alcun controllo e bonifica, oltre che in assenza di autorizzazione) nei lavori della Tav».

Più avanti si leggeranno, a proposito delle indebite pressioni che porteranno il sodalizio a gestire la cava con annesso impianto di produzione di bitume al confine tra i comuni piemontesi di Chiusa San Michele e Sant’Ambrogio anche dopo la scadenza del contratto, avendo ottenuto la proroga dello stesso, le ragioni per le quali una cava può stare tanto a cuore.

Innanzitutto perché, come detto sopra, la cava può diventare il deposito di rifiuti speciali per le ditte “amiche” che lavoreranno nella Tav. Sempre in alcuni dialoghi intercettati tra sodali, si sente questo scambio di battute: «… adesso parte a giugno parte la prima trivella … e dobbiamo iniziare a capire che tra Rondissone… tra… che si prende tutto lo smarino… e… e una parte noi… e una parte i… dobbiamo pulire la Valle (di Susa ndr) dello smarino… e i soldi devono arrivare nei buchi… e i buchi ce ne abbiamo uno anche noi…»

II termine “smarino” indica il materiale roccioso generato da trivellazione. Il materiale previsto per la Tav viene quantificato in circa 15 milioni di metri cubi che, come riportato nella deliberazione della Giunta regionale 29 aprile 2011 n.18-1954, è previsto venga trasportato in siti di stoccaggio (alcuni individuati ed altri ancora da individuare) nella provincia di Torino. Parte dello smarino, previe analisi e classificazione potrà essere riutilizzato per la composizione di aggregati, mentre la restante parte, contenente sostanze nocive dovrà essere conferita in discariche autorizzate.

Circa l’utilizzo del sito per la frantumazione dei rifiuti già presenti sul posto, da reimpiegare (senza alcun controllo e bonifica, oltre che in assenza di autorizzazione) nei lavori della Tav, facendo riferimento al cumulo di rifiuti presenti sul sito i due soliti commentano nel modo in cui segue:

S: e quella porcheria… che c’è fuori. Troveremo un sistema un po’ come portarla via… T:…ma non scherzare! che la frantumiamo… adesso., ci stiamo battendo con il Comune che forse nel marasma della Tav… ce la fanno frantumare e la infiliamo nel misto cementato… ma minchia ma lì è un business che non finisce più … 20.000 metri cubi già… già è lì come materiale… ma stai scherzando! e il mio… il mio scovo era frantumare e fare mistocementato…

Insomma, più che cave…miniere d’oro!

Ora mi fermo, domani torno con un nuovo appuntamento

r.galullo@ilsole24ore.com

1 – to be continued