La superprocura europea contro mafie e corruzione: un’idea vincente (e dunque irrealizzabile?)

Non ho difficoltà ad ammettere che mi innamoro. Delle idee, intendo dire. E degli uomini e delle donne che servono per farle camminare, quelle idee. Magari a volte, sul genere umano, prendo cantonate enormi: mi innamoro delle idee di giustizia, diritti e legalità e non mi accorgo che chi le porta avanti è a volte un farabutto o una furbastra da strapazzo.  E non importa l’abito che vestono: giornalista, politico, magistrato o avvocato. Dalla vita non si finisce mai di imparare ma, almeno, se sbaglio o se c’azzecco, con lo faccio sempre con la mia povera capa.

Perché questa premessa? Perché mi sono (nuovamente) innamorato.

Dico nuovamente perché il primo folle amore è l’idea che le mafie, così come le conosciamo dalla storia, sono ferraglie superate. Cicoria, ricotta, meloni, coppola e lupara? Anche ma, direi, soprattutto logge deviate e laurea in tasca. Su questa evoluzione delle mafie profondo molte analisi che, negli anni, mi hanno portato ad essere insultato con inusuale e inusitata violenza anche da parte di chi dovrebbe non solo rappresentare la Giustizia ma avere l’onestà intellettuale di capire che si può vendere uno scendiletto con l’etichetta “tappeto persiano” e trovare l’acquirente. Ma sempre scendiletto rimane. Vale anche qui ciò che scrivevo prima: sbaglio, se devo sbagliare, con la mia capa e credo, profondamente, di guardare nella giusta direzione: oggi Cosa nostra 2.0, la ‘ndrangheta 2.0 sono soprattutto l’evoluzione culturale e sociale delle mafie rurali e, dunque, ormai sono un elemento strutturale (e non congiunturale) delle società. Un elemento costituente e non transeunte, uno stato nello Stato perché nel frattempo, alla cavalcata delle mafie, lo Stato ha risposto con un’allegra passeggiata. Ma queste cose tante volte le ho dette e tante volte le ho scritte. Lo sapete. Le conoscete ma vale la pena ripeterle. Perché?

Ve l’ho detto, perché mi sono innamorato di un’idea consequenziale a quanto finora vi ho scritto e detto. Se le mafie, se la criminalità organizzata questo è, allora il nostro povero paesello da solo non può farcela e non ce la farà mai.

Tanto per fare un esempio, sapete a quanto ammontano i mancati introiti da tassazione a causa del contrabbando di sigarette, quasi tutto in mano alla criminalità organizzata internazionale? Ve lo dico con le stime di Giovanni Kessler, direttore generale dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf): 10 miliardi.

Sapete a quanto ammontano i profitti annui delle mafie e delle organizzazioni criminali europee? A 466 miliardi (vale a dire il 3,60% del pil europeo) mentre le somme riciclate sono pari a 349,5 miliardi (vale a dire il 2,70% del pil europeo). Le stime sono state rielaborate dalla Commissione parlamentare antimafia che, proprio la scorsa settimana ha proposto, in vista della presidenza del semestre europeo, l’idea di una Procura europea.

SCARPINATO E GRATTERI

Oh, eccola la l’idea di cui mi sono innamorato: la superprocura europea che, da anni, invocano le menti più illuminate della magistratura italiana (mi piace ricordarne due: Roberto Scarpinato e Nicola Gratteri).

Al netto delle gravissime lacune che l’unico esempio di superprocura italiana (la Dna) ha, sono convinto che sia questa la strada da percorrere: da solo, qualunque Paese della Ue, non è in grado di far fronte allo strapotere economico (e in ampie parti del vecchio continente, sociale) delle mafie e delle organizzazioni criminali.

Proprio la commissione antimafia (su relazione dell’onorevole Laura Garavini, Pd) ha segnato la strada: la costituzione dell’ufficio del pubblico ministero europeo. Si tratta di un ufficio che dovrebbe avere una struttura snella, composta da un procuratore europeo e quattro vice facenti parte di un ufficio centrale (con sede da definire), con personale investigativo e giudiziario. In ogni Stato membro dovrebbero operare procuratori europei delegati, procuratori nazionali che continueranno ad essere inquadrati amministrativamente nel sistema nazionale, ma apparterranno funzionalmente alla procura europea quando saranno chiamati a trattare fascicoli rientranti nella competenza della stessa. Ad accompagnare questa proposta, la creazione di squadre investigative comuni.

Ora questa idea dovrà fare breccia in Europa? Voi ci credete? Io no ma a maggior ragione mi batto con i mezzi che ho: una tastiera, un mouse e, in questo caso, un blog.

Convinto dell’idea è uno dei maggiori esperti italiani del settore della criminalità transnazionale, quel Giovanni Kessler, direttore generale dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf), che sopra ho citato.

Nel corso della sua audizione, il 28 maggio, in Commissione parlamentare antimafia, si è trattenuto a lungo e con dovizia di particolari e conoscenze sul carattere sempre più transnazionale delle frodi e della corruzione.

APPALTI

Prendiamo il mercato degli appalti pubblici, sul quale l’Olaf può intervenire quando c’è una qualsiasi partecipazione di fondi europei o anche di prestiti. «Ebbene, noi vediamo che ci sono casi di corruzione o perlomeno denunce di corruzione in un Paese specifico, dove si fa l’opera pubblica – ha spiegato Kesslere il funzionario pubblico è di un Paese, per cui si potrebbe dire che la corruzione è di quel Paese. Il problema è che per fare la corruzione bisogna essere in due e chi corrompe è una società o un operatore economico di un altro Paese; spesso, soprattutto a un certo livello, gli operatori economici sono multinazionali, che magari possiamo riferire a un Paese, ma operano attraverso varie società. Non facciamo nomi, ma ognuno può immaginare. Sono società che operano attraverso conglomerati, vari soggetti societari nei diversi Paesi. Quindi, abbiamo già un secondo Paese coinvolto. Molto spesso, soprattutto a un certo livello, le tangenti vengono pagate in Paesi terzi, estero su estero, mediante l’utilizzo di società schermo, secondo lo schema tipico che abbiamo visto più volte, ossia società finte, o comunque che vengono aperte per l’occasione, che emettono fatture per operazioni inesistenti – sono società riferibili a funzionario pubblico che riceve la tangente – che vengono poi pagate da una società controllata dall’operatore economico che vince la gara e vengono pagate su un conto corrente di una banca di un altro Paese. Ci sono cinque Paesi coinvolti, per un’operazione relativamente semplice. Ovviamente ciò avviene per poter nascondere il reato, ma non è difficile farlo, direi anzi che è abbastanza naturale».

COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Mi dite voi, cari lettori, come si può affrontare questa marea nauseabonda di illegalità e corruzione con le singole Procure dei singoli Paesi. «È come se, per capire un edificio – continua Kesslerci si mette di fronte al muro: non si può capire di che edificio si tratta, non si può neanche capire che si tratta di un edificio». Oggi c’è una visione frammentata, in un territorio relativamente piccolo (ma con una grande economia), come quello dell’Unione europea: piccolo perché è diviso in ventotto Paesi, in trentuno sistemi giudiziari – la Gran Bretagna dà un contributo – e con le forze di polizia che, per ragioni ovvie, naturali, hanno una prospettiva nazionale.

Insomma, la cooperazione giudiziaria internazionale, che oltretutto ha mille limiti e difetti, non basta più (se mai è stata appena sufficiente). Presuppone che si sappia già a chi chiedere o da chi andare e magari il soggetto in questione non collabora. «La cooperazione internazionale è una bella cosa, ormai anche concettualmente è un po’ obsoleta – conclude Kessler: è comunque lenta, più lenta del reato, più lenta dell’economia e della finanza, ed è ancora faticosa».

MEGLIO VOLTAR PAGINA

Ed allora meglio cambiare pagina e in fretta anche se, per le resistenze innegabili che si produrranno in ogni singolo Stato membro e di cui farò un esempio nel prossimo articolo credo che a lungo l’idea di una superprocura europea resterà un’utopia o una folle visione.

Sarebbe bello avere tutti i procuratori in rete ed evitare la frammentazione. Sarebbe una svolta storica perché, dal concetto della cooperazione internazionale, dunque la cooperazione tra «separati», avremmo, ripete Kessler,  un unico ufficio europeo dove la cooperazione tra un procuratore di Milano e uno di Lione e magari di Vilnius è come la collaborazione tra magistrati dello stesso ufficio.

Non ci sarebbe più bisogno della richiesta rogatoria e, per la prima volta, avremo la realizzazione dell’Europa come unico spazio di giustizia, cioè un unico Paese non solo per gli aspetti economici e finanziari, ma anche per le indagini.

Questo è anche il concetto alla base della proposta, che è all’esame, già dalla fine dello scorso anno, del Consiglio dell’Unione europea.

Per ora mi fermo ma a breve torno

r.galullo@ilsole24ore.com

1 – to be continued

  • luciana giarola |

    L’Europa ha voluto creare una federazione di stati copiando? dagli USA, bene, ma è indispensabile uniformare le leggi e creare anche una CIA e un FBI.

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