Nessun paragone con il passato – negli anni sono cambiate condizioni e parametri di giudizio – ma non c’è dubbio che l’omelia che Monsignor Francesco Oliva, Vescovo della Diocesi di Locri-Gerace, ha celebrato, appena due giorni fa, il 2 settembre al Santuario aspromontano della Madonna della montagna, ha lasciato il segno.
Ve ne scrivo da oggi proprio perché, passata la festa che per molto tempo ha mischiato indegnamente sacro (la religione) con il profano (l’indegna ed inumana ritualità ‘ndranghetista), vale la pena di ricominciare da qui, da questa omelia, anziché dalle passerelle che questa estate hanno, sempre a Polsi, mischiato il fatuo (la politica) con la serietà (il percorso della Chiesa post Strangio).
Ebbene da dove ha deciso di ricominciare Monsignor Oliva? Da un richiamo al pellegrinaggio e al significato di questa parola che, va da sé, nulla ha a che fare con l’incestuosa armonia che le cosche di ‘ndrangheta cercavano e cercano con indegni pastori e viandanti assetati di ben altro che spirito divino.
Qui – devo essere sincero – mi sarei aspettato un richiamo nudo e crudo all’addio di don Pino Strangio, ex potentissimo rettore del Santuario della Madonna di Polsi, rinviato a giudizio il 9 marzo di quest’anno nell’ambito del processo Gotha. E’ accusato di concorso esterno alla mafia.
Strangio, che si è dimesso il 29 gennaio 2017, si legge nella richiesta di rinvio a giudizio, «mediava nelle relazioni tra esponenti delle forze dell’ordine, della sicurezza pubblica ed esponenti di rango della ‘ndrangheta, in funzione di garante delle promesse e di agevolatore dello scambio tra le informazioni gradite ai primi e varie forme di agevolazione gradite ai secondi, in maniera che l’azione di contrasto dello Stato si nutrisse di apparenti successi, dietro ai quali nulla mutasse nelle reali dinamiche di potere interne alla ‘ndrangheta (ovvero queste mutassero, grazie a ‘guidati’ interventi repressivi, secondo le strategie dei massimi esponenti dell’associazione criminale) ed in quelle correnti tra quest’ultima e le altre strutture di potere, riconosciute e non riconosciute, così rafforzando la capacità dell’organizzazione criminale di controllare il territorio, l’economia e la politica ed amplificando la percezione sociale della sua capacità d’intimidazione, generatrice di assoggettamento ed omertà diffusi».
Ora, sia ben chiaro: don Strangio è non colpevole fino ad eventuale passaggio in giudicato di una condanna ma, anche se né la giustizia divina ne quella dell’uomo possono sostituirsi a quella di Stato, un richiamo sottolineato al cambio di passo (non certo casuale) tra il “prima” e il “dopo” Strangio, andava fatto.
Peccato veniale, venialissimo, anzi neppure un peccato. Una volontaria dimenticanza (Monsignor Oliva è persona troppo intelligente per non aver valutato i pro e i contro, per la gerarchia ecclesiastica e per il suo gregge di fedeli, del richiamo al passato ventennale di don Strangio).
Monsignor Oliva ha saltato dunque questo rischiosissimo e spinoso passaggio ed è andato a palle incatenate contro quelli che «vengono per affari illeciti». Ha usato il tempo presente Monsignor Oliva («vengono») proprio perché sa che il cammino per sradicare non tanto e solo la ‘ndrangheta quanto e soprattutto la cultura mafiosa, è lungo e tortuoso. «A questi diciamo di restare a casa propria. Non è questo il luogo adatto» ha chiosato il vescovo.
Poi un piccolo capolavoro dialettico, partito da una considerazione. Questa: «Il Santuario è di tutti, un bene comune, ma non un bene di chi pensa di poter fare in esso ciò che crede. L’osservanza delle regole dell’ospitalità è fondamentale. Rispettare e tenere puliti gli spazi messi a disposizione sono comportamenti che hanno a che fare con il senso civico, ma anche espressione di filiale devozione a Maria».
Un ragionamento che non fa una grinza ma che apre la strada a questa riflessione: «In questa direzione va l’allestimento del sistema di videosorveglianza che abbiamo voluto attivare nel corso dell’anno. So che a qualcuno può non piacere, ma non c’è altra via per salvaguardare il nostro Santuario dalle interferenze esterne».
Sublime quel richiamo alle «interferenze esterne» che poi altro non sarebbero che il sottogenere umano degli uomini di ‘ndrangheta, un miscuglio mortale di capre camuffate da soldati e raffinatissime menti.
«A qualcuno può non piacere» dice Monsignor Oliva (e quel qualcuno non è certo il cattolico credente e praticante) quel sistema di videosorveglianza ad uso anche delle Forze dell’ordine (di cui lo scorso anno scrissi sul Sole-24 Ore) ma così e se vi piace. E se a qualcuno non piace, ecco che, per migliorare il servizio di accoglienza la diocesi di Locri-Gerace ha previsto altre iniziative, «quali un presidio delle forze dell’ordine (che hanno già dato la propria disponibilità e questo fa loro onore) ed un pronto soccorso medico attivi nei periodi di maggiore affluenza».
Fatti. Finalmente fatti. Uniti in indissolubile matrimonio a parole che, lanciate in omelia contro la ‘ndrangheta come vedremo anche nei prossimi servizi che questa settimana dedicherò all’omelia stessa di Monsignor Oliva, fanno nuovamente sperare in una trincea calabrese di Chiesa contro mafie e sistemi criminali integrati.
1 – to be continued