Why Not/2 Depositate le motivazioni, che cristallizzano un sistema marcio (a prescindere dagli attori)

Amati lettori, come promesso, oggi scrivo delle motivazioni – depositate il 14 ottobre dalla Corte d’appello di Catanzaro – con le quali, nell’ambito del procedimento Why Not, sono stati condannati il 22 giugno 2015 l’imprenditore ed ex presidente della Compagnia delle opere in Calabria Antonio Saladino a 2 anni e 4 mesi, il referente della società Need & Partners Antonio Giuseppe Lillo a un anno e 8 mesi e Antonio La Chimia a un anno.

Lo faccio (se mi avete seguito ieri, ma ad ogni buon conto in fondo trovate il link al servizio) perché l’ex pm titolare dell’indagine e attuale sindaco di Napoli Luigi De Magistris non solo il 21 ottobre è stato assolto dal reato d’abuso d’ufficio dalla Corte di appello di Roma ma ha – sulla scia di questa assoluzione – chiesto la costituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta sui motivi per i quali, sostiene, quell’indagine (e la parallela Poseidon) gli venne sottratta.

Beato chi ci crede (nella Commissione d’inchiesta) «noi no non ci crediamo, noi baciandoci pensiamo piru piru pirulì» cantava Sandra Mondaini nel 1975.

E così – tra un piru piru e un pirulì – leggiamo stralci delle motivazioni che, sia ben chiaro, mi interessano non nei confronti dei singoli nei confronti dei quali non spetta certo ad un giornalista esprimere verdetti ma di quel sistema che, verità giudiziaria o meno, a prescindere da loro avvelena la Calabria e avvelena l’Italia intera. Un sistema – dunque e ripeto – che prescinde, a mio modestissimo avviso, dai nomi e cognomi evidenziati in questa sentenza che, oltretutto, sempre a mio modestissimo avviso, non sono certamente le menti di un motore, che prescinde da loro e che gira a pieno regime anche oggi, a testimonianza ulteriore che la Giustizia non riesce in quella regione (come altrove del resto) a braccare i sistemi criminali ma solo singole pedine più o meno coinvolte.

Quel che il giudice scrive – dunque – per il “sistema Why Not” valeva prima e vale oggi, al netto del fatto che, di volta in volta, i protagonisti cambiano gli ingredienti ma la ricetta è sempre la stessa: un sistema criminale.

Nel caso di specie – e questo non finirò mai di sottolinearlo – la ‘ndrangheta aveva tutto l’interesse affinché quel sistema “para-lametino” esplodesse (non dimentichiamo mai che Lamezia Terme è una delle capitali occulte del malaffare italiano, con l’aggravante di ospitare un numero di logge deviate inespresso ma potentissimo).

Qualcuno in Calabria, in quel sistema sgamato da De Magistris, infatti, si era messo in testa che il lavoro – vale a dire la merce di scambio, il diritto contrabbandato al sud per favore – in quella regione potesse fare a meno dell’intermediazione delle cosche che ovunque dettano legge. Potevano le cosche fare a meno dello strumento di mercimonio fondamentale per alimentare il voto di scambio?

Mutatis mutandis dunque, ecco il sistema cristallizzato, in ultima istanza, dalla Corte d’appello di Catanzaro

Da pagina 56 il giudice scrive: «La stabilità del vincolo, la reiterazione delle condotte, la scoperta finalità di una pur abile ideazione elevata a sistema, non lasciano dubbi intorno all’esistenza di una coerente e coesa logica delle attività intraprese dalle carie società riconducibili – quanto meno a livello di ispirazione – alla figura del principale ideatore di un ambizioso progetto volto a “creare lavoro” attraverso un perverso legame con la politica, nei cui confronti risulta instaurato un reciproco scambio attraverso un continuo rimando di ruoli, vivendo il lavoro interinale delle commesse regionali, dipendendo le rappresentanze amministrative e politiche per la propria affermazione dalla garanzia di rilevanti pacchetti di voti forniti dalle persone assunte tramite le società impegnate nel ripetuto gioco delle assunzioni (…)».

Da pagina 57 si legge che sull’esistenza di un’organizzazione stabile militano anche «il numero e la qualità delle condotte realizzate, concernenti l’aggiudicazione in serie di rilevanti progetti di esternalizzazione di servizi ma rileva anche l’estensione numerica dei lavoratori interinali coinvolti (arrivati al considerevole numero di 490), la mancanza di controlli e di verifiche sulla fornitura delle prestazioni richieste e la mancanza di qualsiasi aspetto di concorrenza nel settore. Anche il solo semplice scorrere dei reati fine agganciati al primo capo di imputazione conferma l’esistenza di uno scopo unico che lega i vari reati tra loro e il loro continuo ripetersi, con modalità attuative non semplici, che richiedono necessariamente stabilità, unità di intenti e predisposizione di mezzi organizzativi, comporta con evidenza l’esistenza di un legame associativo».

Da pagina 59 si legge invece che «(…) tutta la serie di organismi societari in vario modo riconducibili alle iniziative del Saladino, non trova spiegazione, se non nell’ottica accusatoria, di strutture organizzative complesse, create e preordinate – almeno da un certo momento in poi – all’unico scopo di servire alla piena realizzazione del programma criminoso e non altro, volto a fare incetta di bandi pubblici e quindi a diventare il fulcro dell’occupazione legata a rapporti con la pubblica amministrazione, nella regione. D’altro canto, nulla impedisce che ad una formazione organizzativa stabilmente formata dai predetti soggetti privati, si associno per periodi limitati nel tempo, determinati funzionari pubblici…».

Le motivazioni della sentenza non mancano di sottolineare i rapporti tra i principali esponenti politici regionali e Saladino «pronto a sostenere candidati al governo della Regione, anche di diversa e opposta estrazione politica». Proprio i politici, scrivono i giudici, erano «i soli che potevano garantire il rimanere in piedi dell’intera operazione». Grazie all’assoluta assenza di opposizione al sistema di affidamento, le società al centro dell’indagine hanno potuto accaparrarsi progetti «ideati e mai pienamente realizzati, strumentali alla sola regolarizzazione di assunzioni dal chiaro stampo clientelare, mai funzionali al pubblico interesse».

Why Not avrà pure partorito un topolino ma la colpa non è stata certo di De Magistris. Anzi…

r.galullo@ilsole24ore.com

2 – the end (per la precedente puntata si legga http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2015/11/05/why-not-1-luigi-de-magistris-chiede-una-commissione-parlamentare-dinchiesta-lennesima-utopia/)