Il 16 luglio i Carabinieri hanno eseguito in Emilia-Romagna e Lombardia misure di custodia cautelare emesse su richiesta della Dda di Bologna nei confronti di nove persone (gli indagati, a vario titolo, sono 19), ritenuti appartenenti o “fiancheggiatori” della ‘ndrangheta emiliana attiva tra Reggio Emilia, Parma, Piacenza e Modena, Verona, Mantova e Cremona. Quel giorno furono sequestrati società, beni e attività commerciali per oltre 330 milioni.
Si tratta della prosecuzione dell’indagine “Æmilia” che il 28 gennaio di quest’anno aveva consentito di individuare e disarticolare l’organizzazione ‘ndranghetista che ruota intorno a Reggio Emilia, collegata alla cosca “Grande Aracri” di Cutro (Crotone), evidenziandone, tra l’altro, la capacità d’infiltrazione in vari settori dell’economia locale. A gennaio furono arrestate 117 persone e indagate 224 persone.
Lo sviluppo investigativo del 16 luglio ha aggiornato il quadro delle strategie imprenditoriali del gruppo, dimostrando, secondo investigatori e inquirenti, che l’articolazione ‘ndranghetista emiliana – strutturalmente autonoma rispetto alla cosca cutrese di cui rappresenta una derivazione storica – aveva costituito società fittiziamente intestate a terzi, nelle quali conferire ingenti somme di denaro e altre utilità derivanti dai reati fine del sodalizio mafioso, nonché provviste illecite direttamente riconducibili a Nicolino Grande Aracri (già detenuto e destinatario di una nuova misura cautelare).
Bene (si fa per dire) questo è il quadro.
All’interno di questo quadro la mia attenzione si è soffermata su un particolare che testimonia – a mio modestissimo e fallace avviso – quanto vado sostenendo da tempo, pur nel massimo e convinto rispetto del concetto di unitarietà della ‘ndrangheta tanto caro a coloro i quali lo hanno scoperto grazie ad una sentenza passata in giudicato derivante dalla mitica e mitologica operazione “Crimine/Infinito” del 13 luglio 2010. Alcuni di noi (io tra questi, umile e umido cronista quale sono) lo sapevano anche prima (come lo sapevano molti, compresi tanti di quelli che hanno gridato al miracolo dell’operazione “Il Crimine/Infinito”) grazie alle rivelazioni investigative e (parzialmente) processuali del lontano 1969.
Ebbene, nella unitarietà della ‘ndrangheta (che esiste da quando esiste la ‘ndrangheta per il semplice motivo che il crimine organizzato è per natura stessa…organizzato! e dunque strategicamente coordinato sul territorio per zone di influenza, non ci crederete vero!) c’è qualche cosca che è più “unitaria” delle altre. Vale a dire – sempre a mio modesto e fallacissimo avviso – cosche (rectius: determinati profili) che non solo dettano legge ma fanno parte di quel direttorio invisibile (già parzialmente assodato con il processo “Meta” e non solo) nel quale, con pezzi deviati dello Stato, delle professioni, del giornalismo, dell’economia, della finanza, della politica e della massoneria, governano non solo i resti della povera Calabria ma, su per li rami, dell’Italia intera. Spingendosi, ovviamente, fuori dai miseri confini nazionali.
Vedremo se l’orologio giudiziario – un dì lontan non spero – supporterà questa mia fallace argomentazione ma, intanto, è bene fare nomi e cognomi delle cosche più… “unitarie” delle altre: De Stefano e Piromalli. Nel dialogo che leggerete sotto entra anche la famiglia (potentissima) Grande Aracri che pur facendo parte della gerarchia degli eletti di ‘ndrangheta, reietti agli occhi del mondo, è a mio modestissimo e fallace avviso almeno un gradino più sotto gli “illuminati” De Stefano e Piromalli.
Dei De Stefano non ho molto da aggiungere rispetto ai fiumi di inchiostro virtuale che ho già speso anche su questo umile e umido blog.
Dei Piromalli – dei quali pure molto ho scritto e dai quali pure ho ricevuto simpatiche attenzioni nel passato – ne scrivo ancora oggi.
Il diavolo – per chi lo sa vedere – si annida nei dettagli.
Ebbene, agli atti dell’indagine c’è un’ intercettazione ambientale del 27 novembre 2013 (ergo: recentissima) in cui una persona, diciamo un ex appartenennte alle Forze dell’Ordine, esterna la propria consapevolezza della forza e della potenza criminale della ‘ndrangheta, anche della articolazione egemone in Emilia. Nel suo studio romano afferma – non senza enfasi sottolinea il Gip Alberto Ziroldi che il 7 luglio ha firmato l’ordinanza – «questo paese Cutro…abita vive dirige e organizza il n. l anzi il n. 2 non in Italia, nel mondo di ‘ndrangheta … il primo è la famiglia Piromalli, che forse lui l’avrà sentita, il n. 2 nel mondo si chiama Nicola Grande Aracri,, mi sono mi sono spiegato bene? In quella città vive questo personaggio Ora sta a Opera, dove sono stato io ieri, incarcerato per 22 omicidi, parliamo di altro mondo, non parliamo di … terra … ».
Già, non parliamo di terra. Parliamo di un altro mondo.
r.galullo@ilsole24ore.com