Nino Di Matteo, pm della Dda di Palermo, sapeva fin dall’inizio che la sua domanda per accedere alla Direzione nazionale antimafia era perfettamente inutile.
Sa di essere stato condannato a morte da Cosa nostra e da quelle entità esterne (rectius: sistemi criminali) richiamate, da ultimo e ancora una volta, dal pentito Vito Galatolo, così come sapeva e sa di essere stato condannato in vita da molti suoi colleghi.
Sapeva, ancor prima della protocollazione al Csm della sua domanda, che non sarebbe mai stata accettata.
Non so se volesse fino in fondo muoversi dalla sua amata Palermo verso l’ingovernata e ingovernabile Roma, per molti versi più pericolosa della Sicilia.
Non so se volesse fino in fondo lasciare, tra i tanti, il lavoro che sta svolgendo insieme al sostituto procuratore Vittorio Teresi e ai colleghi Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia sul processo che ruota intorno alla trattativa tra Stato e mafia.
No so neppure se volesse, con la sua domanda e la consequenziale matematica bocciatura, semplicemente sollevare un problema di metodo e merito. Se così fosse ha fallito in pieno: a parte quei 91 mila che hanno formato per spingere il suo ingresso verso la Dna, del suo destino non frega nulla a nessuno, a cominciare, valga ripeterlo, da moltissimi suoi colleghi.
Non so se neanche se vollese sensibilizzare la stampa e i media a seguito della sua scontata bocciatura. A parte qualche articolo qui e lì e la, di qualche apparizione in tv su o giù dei soliti appassionati cultori della legalità e la solidarietà convinta e irrinunciabile di questo umile e umido blog, alla stampa e ai media di Di Matteo non importa (rectius: non deve importare) assolutamente nulla. Ad alcuni giornalisti interesserebbe anche capire fino in fondo, seguire il suo lavoro ma ai Gruppi editoriali no.
Non so neppure se volesse svegliare la politica dopo la bocciatura. Sappia, Di Matteo, ma lo sa, che prima sono tutti amici ma poi, vai avanti tu che a me viene da ridere…
Sento per certo, comunque, che mentre a Roma nessuno tifava per il suo arrivo, anche nella Dna, a Palermo, nelle stesse file dei suoi colleghi, per non parlare della classe dirigente marcia e corrotta che imperversa in ogni meandro ossigenato della Sicilia, in molti tifavano affinché finalmente lasciasse Palermo. Che vada nella Capitale a dare sfogo alle sue bizze, avranno pensato in moltissimi ma, purtroppo per loro non saranno accontentati.
Di Matteo – costantemente a rischio di vita – ha trovato come era logico attendersi la strada sbarrata dal Csm la cui terza Commissione all’unanimità, come informa l’Ansa del 3 marzo, gli ha preferito Eugenia Pontassuglia, pm del processo di Bari sulle escort che l’imprenditore Paolo Tarantini portava nelle residenze di Silvio Berlusconi; il sostituto procuratore di Napoli Marco Del Gaudio, pm del processo all’ex presidente di Finmeccanica Pierfrancesco Guarguaglini, e il sostituto Pg di Catanzaro Salvatore Dolce, titolare di diverse inchieste sulle cosche calabresi, tra cui quella sull’agguato a Crotone in cui morì Domenico Gabriele il bambino di 11 anni che si trovava ai bordi del campetto di calcio dove stava giocando la vittima designata. Sulle tre candidature il capo della Procura nazionale antimafia, Franco Roberti, ha espresso il proprio parere favorevole.
Al concorso hanno partecipato in tutto 46 magistrati. Si consoli Di Matteo, tra i bocciati c’è anche il procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo e anche questa bocciatura personalmente non riesco a spiegarmela (ragioni anagrafiche?).
Fatto sta che l’esclusione che fa rumore è proprio quella di Di Matteo, se è vero che persino l’Ansa, che per disciplina salvo ordine contrario e non era questo il caso, deve essere quanto più algida possibile, nel suo lancio si spinge a scrivere: «E’ sicuramente uno dei magistrati simbolo della lotta alla mafia e per questo anche più volte oggetto di pesanti minacce. Ma nonostante il suo curriculum , ancora una volta il pm Nino Di Matteo, pm del processo sulla trattativa tra Stato e mafia, si vede sbattere in faccia la porta dal Csm».
Il collega dell’Ansa ha ragione: non si tratta di una bocciatura ma di una vera e propria porta (anzi, un portone pesantissimo) sbattuto sulla faccia di Di Matteo.
I colleghi che il Csm ha indicato per la Dna sono senza dubbio alcuno validissimi, ci mancherebbe, ma la domanda che uno si pone è: in base a quale criterio di merito il curriculum del pm palermitano è stato scartato?
Ed è mai possibile che nessuno (la scelta è stata infatti compiuta all’unanimità) abbia avuto nulla da eccepire? Che so, anche un solo piccolo dubbio esplicitato in Commissione da uno, a scelta, tra il presidente delle terza Commissione Massino Forciniti, il vicepresidente Alessio Zaccaria, i componenti Renato Balduzzi, Valerio Fracassi, Francesco Cananzi, Luca Forteleoni, i magistrati segretari Teresa Iodice, Giulio Adilardi e Marco Ghionni Crivelli Visconti?
E sarà mai possibile conoscere pubblicamente le motivazioni che hanno indotto quelle preferenze (così, tanto per la trasparenza) e a quale posto della classifica si trova Di Matteo (così, tanto per sapere se magari, allenandosi meglio e se sarà ancora in vita, ce la può fare al prossimo giro)?
E, chissà, sarà mai possibile che qualcuno tra i suoi colleghi magistrati alzi il ditino (dove vuole, anche tra quattro amici purché poi lo renda noto) per chiedere conto della bocciatura?
Ora, la sensazione che ha un giornalista fallace ma sempre con fierezza indipendente nel giudizio come chi vi scrive e scevro, ringraziando Iddio, da condizionamenti di ogni sorta, è che mai come in questo momento i luoghi marci dei poteri deviati stiano godendo e brindando.
A Roma perché un magistrato come lui non arriva e, sia ben chiaro, non arriverà mai.
A Palermo perché, isolato come appare ogni giorno di più, tutto è pronto per farlo saltare in aria quanto prima.
Allora vedrete (e Dio voglia che non accada mai) quante belle penne scriveranno di quell’ultima volta che a Roma, come del resto accadde Falcone, il Csm…
r.galullo@ilsole24ore.com