In Italia non esisteva uno studio sugli effetti dei programmi di protezione sui delitti di mafia (omicidi in particolare).
A ben vedere il panorama si è arricchito solo di recente (1991) di due leggi che consentono un percorso virtuoso per i collaboratori e benefici per lo Stato. Le distorsioni (per non dire a volte le follie) della disciplina normativa fanno parte dell’excursus tipicamente italiano che, ultimamente, sembra far di tutti per scoraggiare i pentimenti e, ovviamente, mi riferisco a quelli veri, profondi, verificabili con attendibilità assoluta dal sistema giudiziario e non quelli “burletta” di cui il panorama è pieno.
Nel 2008, solo per citare un dato, su 833 pentiti partecipanti al programma di protezione, 729 (cioè, 87% del totale), hanno fornito informazioni relative alle quattro associazioni mafiose prevalenti.
Più di una volta, anche recentemente, ho infatti scritto che dei pentiti mi fido, in genere, come di uno scorpione, un cobra o un coccodrillo. Di Tommaso Buscetta, in altri termini, ne ricordo solo uno e, a dirla come la penso tutta, sono certo che, lui per primo, avrà portato con sé molti segreti mai svelati alla Giustizia. Neppure a quel Giovanni Falcone che riteneva – e concordo pienamente con il suo pensiero – indispensabile l’apporto dei pentiti per (tentare di) sconfiggere le organizzazioni mafiose.
LO STUDIO
Ciò premesso va dunque dato merito al professor Salvatore Piccolo, docente di Economia politica all’Università Cattolica di Milano, di uno studio sull’efficacia delle misure di protezione nei confronti dei pentiti in Italia. Questa prima valutazione è stata titolata “Accomplice-witnesses and organized crime: theory and evidence from Italy” ed è stata pubblicata sullo “Scandinavian journal of economics”.
Lo studio dimostra che successivamente all’introduzione della legge sui collaboratori di Giustizia, l’Italia ha registrato una consistente riduzione degli omicidi perpetrati dalle tre maggiori organizzazioni criminali ‘ndrangheta, Cosa nostra e camorra e un incremento del numero di procedimenti penali per associazione mafiosa (articolo 416 bis del codice penale).
L’andamento del numero di omicidi di mafia riconducibili a ‘ndrangheta, Cosa nostra e camorra è incontrovertibile: nel 1991 la quota era di 719 morti, nel 1992 si è determinata una netta inversione di tendenza rispetto al decennio precedente, fino a giungere alla cifra di 119 assassini nel 2007 (ultimo anno preso in considerazione).
Nel 1991 gli omicidi di ‘ndrangheta, Cosa nostra e camorra rappresentano circa il 40% del totale degli omicidi dolosi in Italia, mentre nel 2007 la corrispondente percentuale è diventata del 15% circa.
Vale le pena ricordare che nel 1991 si era usciti da drammatiche guerre di mafia legate invariabilmente all’unico motivo per il quale si scatenano: gli affari. In Sicilia e in Calabria da metà anni Ottanta, il sangue era corso a fiumi per il controllo del potere economico e il radicamento degli interessi e degli investimenti al Nord.
IL NORD
Per avere la controprova dell’”effetto pentitismo”, il professor Piccolo ha analizzato il numero di omicidi dolosi per motivi diversi da furto e rapina e non associabili alle tre principali organizzazioni mafiose in Veneto, Emilia- Romagna e Toscana e ha evidenziato una evoluzione diversa da quella degli omicidi di mafia. In particolare, dopo una leggera flessione nel periodo 1992-96, è stato registrato un prolungato incremento che riporta il numero di omicidi nel 2003 ad un livello simile a quello del 1991. Una tendenza alla crescita su tutto il periodo analizzato si registra anche per le rapine in banca e negli uffici postali.
PROCEDIMENTI PENALI
Anche l’evoluzione dei procedimenti penali relativi al reato di associazione a delinquere di stampo mafioso (articolo 416 bis del codice penale) testimonia che la legge sui pentiti ha contribuito in modo sostanziale alla lotta contro le mafie.
Dal 1992 al 1997, cioè durante gli anni in cui il numero di pentiti è cresciuto considerevolmente, si registra un sostanziale incremento del numero di procedimenti penali, incremento che non è riscontrabile invece qualora si analizzi (con gli stessi indici di riferimento usati nello studio) il reato di associazione per delinquere (articolo 416 del codice penale). Restringendo l’analisi al periodo 2000/2007 si vede che il numero di persone accusate di avere commesso un reato di mafia (secondo la classificazione fornita dall’articolo 51, comma 3bis del codice di procedura penale) e per cui è stato richiesto il rinvio a giudizio passa dal 31% del totale delle persone investigate al 47%.
r.galullo@ilsole24ore.com