Tra i testimoni che il pool palermitano (Vittorio Teresi, Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia) hanno chiamato nel processo penale sulla trattativa tra Stato e mafia c’è anche Francesco Di Carlo.
Della sua deposizione, dal 30 gennaio 2014, ho cominciato da ieri a scrivere su questo umile e umido blog. Per la prima puntata, vale a dire quella della enorme familiarità conclamata da Di Carlo con i vertici dei servizi segreti con i quali si incontrava anche da latitante, rimando al post di mercoledì. Ieri ho spiegato, con le parole di Di Carlo, perché ha deciso di vuotare il sacco.
Di Carlo, dall’accusa, viene chiamato a riferire non solo della sua appartenenza alla mafia siciliana ma anche dei rapporti intrattenuti con Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi, di quanto a sua conoscenza sui rapporti tra l’imputato Antonio Subranni, i cugini Nino e Ignazio Salvo e l’onorevole Salvo Lima; sui suoi rapporti con Vittorio Mangano e Marcello Dell’Utri anche con riferimento ad investimenti operati da Cosa nostra in attività imprenditoriali riconducibili a Silvio Berlusconi.
Tutte cose (e molte altre ancora) delle quali riferirà nelle udienze del 30 gennaio, del 27 febbraio e del 6 marzo e che vedremo a partire dalla prossima settimana.
Uno dei capitoli più delicati sui quali Di Carlo viene chiamato a riferire, per come li conosce, è il ruolo, il profilo, la storia di Antonio Subranni, ufficiale dei Carabinieri che da generale, nel ’90, divenne il primo comandante del Ros e sotto il suo comando venne arrestato Totò Riina. Ha affrontato la burrasca dell’accusa di essere “punciutu”, vale a dire affiliato a Cosa nostra ma oltre a negarlo lui, nel maggio 2012 il Gip del Tribunale di Caltanissetta archiviò il procedimento. Ancora risuonano le frasi di Agnese Borsellino che ricevette poco prima dalla morte, dal marito Paolo, sconvolgenti notizie proprio sul generale.
Di Carlo dichiara di non aver avuto rapporti personali con Subranni (e lo confermerà anche all’avvocato difensore Basilio Milio nell’udienza del 6 marzo) e il suo racconto si fa strada quando, il 30 gennaio, dichiara: «Andavo a trovare all’ufficio che aveva Nino Salvo, che era vicino Piazza Marina, là nella società delle tasse. Quando ci andavo cercavo di entrare subito, perché lui aveva sempre gente là nella sala d’aspetto che aspettavano per incontrarlo. E capitando di essere lì dentro si parlava, così: Ciccio, c’ho…Non so se era Tenente Carabiniere ai tempi o Colonnello, che mi avrebbe detto, Subranni. Ci ho detto: l’ho sentito, questo mi ha preso per mafioso tempo fa, parlando con un costruttore. Così, un paio di volte. Dice, ah tutti vengono a chiedere, dice, o di parlare con Lima, dice, che hanno bisogno. Questa è una volta.
Ma anche con Ciancimino Vito, che io avevo molti rapporti con Ciancimino Vito, Vito Ciancimino, che mi veniva a trovare a volte al Castello o tante volte ci incontravamo e me ne aveva parlato che avevano buoni rapporti con questo Colonnello…Non sono sicuro da Lima, perché da Lima c’era sempre una sala d’aspetto che aspettavano tutti, quello che non aspettava ero io, basta che ci facevo sapere, subito mi faceva entrare…».
All’insistenza del pm Nino Di Matteo, Di Carlo, che in una precedente udienza processuale dichiarò di non aver mai avuto contatti diretti con Subranni, dichiara di averlo visto due, tre volte intorno al ‘76/77 da Salvo e che lo stesso Salvo glielo aveva confermato ma, doverosamente, Di Matteo si sofferma su quella frase ambigua detta da Salvo: «c’ho Subranni».
Di Carlo spiega e spiega così: «Sì, tutti a chiedere cortesia, avanzamenti, politica, perché poi da Nino Salvo ci andavano di più gente di… Da Lima di meno, anche perché non lo se si riceveva tutti, ma Nino Salvo faceva di sponda, perché anche Nino Salvo era quello che li disturbava se aveva bisogno ai vari Colonnelli o altri…Questa era Cosa Nostra dei tempi, va bene?».
No, non va bene ma andiamo avanti. E da Salvo Lima, mai incontrato Subranni, chiede Di Matteo. Qui, per stessa ammissione del pentito, il ricordo è confuso: «Da Lima una volta sola, va bene? Ma un’idea schiarita proprio, perché da Lima pure c’era un via vai».
E con Vito Ciancimino, a quanto ne sa Di Carlo, Subranni aveva buoni rapporti, chiede ancora il pm. E Di Carlo risponde: «Ma sempre si parlava se c’era una diffida di qualcuno di Cosa Nostra, perché andavo sbrigando queste cose pure io, va bene? Era un politico, va bene? E non mi ricordo in quale occasione, mi dice: va bè, ce lo dico al Colonnello, se era una diffida dei Carabinieri, se era della Questura è un’altra cosa e allora si… Questi erano i periodi, perché non è che le avevo io le diffide, la diffida, pure chiunque sia l’aveva… ». È in questo contesto che Ciancimino le dice di avere questi buoni rapporti con Subranni, incalza Di Matteo e Di Carlo risponde semplicemente con un doppio sì, prima di aggiungere che gli anni erano 76/77.
Poi si passa a parlare dei presunti depistaggi sull’omicidio di Peppino Impastato, sul quale indagò Subranni, ma questa è tutta un’altra storia che meriterebbe di essere raccontata a parte.
PAROLA ALLA DIFESA
Nell’udienza del 6 marzo l’avvocato di Subranni, Basilio Milio, interroga con determinazione Di Carlo cercando di metterne a nudo le pecche e parte da un episodio poco conosciuto (alla massa), vale a dire il rapimento di Luigi Corleo, suocero di Nino Salvo, che non fu mai ritrovato. Ebbene, l’avvocato Milio ricorda che a condurre le indagini fu proprio Subranni. Lo stesso avvocato ricorda che ad arrestare Leoluca Bagarella fu il Ros comandato da Subranni (anche su questo episodio, come il precedente, a domanda Di Carlo risponde di non averlo saputo e non saperlo) e nella linea difensiva che punta ad esaltare le gesta investigative del suo assistito e la sua lotta a Cosa nostra, Milio ricorda che nell’agosto 78, cioè a tre mesi dall’omicidio di Peppino Impastato, l’allora maggiore Subranni denunciò, tra gli altri, Totò Riina, Bernardo Provenzano e Gaetano Badalamenti con un rapporto (il primo) sulle attività criminali dei Corleonesi. Anche questo Di Carlo lo ignorava e lo ignora.
Merita poi di essere trascritto questo botta e risposta tra Milio e Di Carlo su Salvo Lima.
BOTTA E RISPOSTA SU SALVO LIMA
Milio: Lei sa le ragioni per le quali il generale Subranni si sarebbe recato da Lima?
Di Carlo: Non lo so, va bene? Ma tanti si recavano da Lima, essendo un politico, per avanzamento di carriera oppure… Quelli più piccoli per trasferimenti o per tante cose, ce ne erano tantissima gente. Ma non
solo i Carabinieri, tutte le istituzioni.
Milio: In quel periodo l’onorevole Lima era un parlamentare siciliano?
Di Carlo: Lima è stato sempre un politico siciliano. Prima aveva fatto il sindaco, poi si è… È stato europeo, ma aveva la… Ma più che avere un
incarico, era un politico che aveva tante consenso di voti e cose, passava di una corrente all’altra, perché se non mi ricordo male era prima con Gioia e poi fanfaniano e dopo è passato ad Andreotti.
In seguito, su insistenza di Milio che chiede conto a Di Carlo delle sue conoscenze sulle modalità con le quali nell’Esercito vengono effettuati gli avanzamenti di carriera, Di Carlo risponde di non saperlo, così come non è in grado di sapere quando Subranni passò attraverso i vari gradi della gerarchia militare.
Gli uomini del Ros, sotto il comando di Subranni, con il capitano “Ultimo” arrestarono Totò Riina ma questo, a domanda, Di Carlo lo sa perché ne parlarono anche i giornali inglesi (in quel periodo era carcerato in Inghilterra per scontare una pena di 25 anni).
Per ora mi fermo. Alla prossima settimana e buon week end.
3- to be continued (per le precedenti puntate si vedano