Pantofole sotto il tavolino, piedi incrociati sopra e occhi fissi sui monitor installati nella propria casa di Gioia Tauro: un modo alternativo ma efficacissimo per gestire il ricchissimo business del gioco nella Capitale, a 655 km di distanza.
Che la gestione di slot machines e videolottery frutti milioni alla ‘ndrangheta lo sanno in molti ma che le sale si possano gestire agiatamente da casa è una scoperta dell’operazione Mediterraneo condotta dalla Dda di Reggio Calabria (pm Roberto Di Palma) e delegata ai Carabinieri. Martedì 24 giugno 54 persone sono state raggiunte da misure cautelari, accusate a vario titolo di associazione mafiosa, traffico di armi e stupefacenti e intestazione fittizia di beni. Sequestrati 25 milioni tra beni immobili e quote societarie.
Un colpo durissimo (tutte da provare le accuse, come amo sempre ripetere e dunque tutti innocenti fino a eventuale sentenza passata in giudicata) per la cosca Molè di Gioia Tauro. A gestire le attività, secondo la Procura di Reggio Calabria, sarebbe stato Girolamo Molè, nonostante sia recluso da anni a Opera (Milano). Solo che i suoi uomini, sempre secondo l’accusa, non avevano bisogno di spostarsi dalla piana calabrese a Roma: per loro ci pensava un sistema di controllo audio-video che, scrive letteralmente il Gip Domenico Santoro da pagina 234, «fa arrossire le migliori teleassistenze di cui oggi la pubblica amministrazione dispone».
Controllo e gestione “in remoto” degli esercizi commerciali, a partire da quelli in cui le macchinette del gioco andavano che era una bellezza. Il soggetto che era deputato a tale compito, secondo quanto si legge nel provvedimento, «pur permanendo gran parte del tempo in Calabria, presso la propria abitazione, era forte del supporto della squadra organizzata e delle telecamere installate che gli consentivano di controllare esterno ed interno dei locali gestiti…L’attività tecnica condotta consentiva di registrare numerosissime conversazioni incentrate su tale specifico aspetto – relative a tutti i locali controllati – dalle problematiche legate ad occasionali malfunzionamenti, ai riferimenti più specifici legati alla presenza o meno dei dipendenti sul posto di lavoro e/o alla presenza di avventori impegnati a giocare con le slot machines ivi installate».
Le potenzialità del sistema creato consentiva dunque una puntuale visione dell’afflusso di clienti, delle presenze, della puntualità dei dipendenti e perfino di eventuali ammanchi dalle casse. Questi, scrive ancora il gip, sono «i mezzi di cui si avvale oggi la ‘ndrangheta». Per mettere in piedi questa sofisticata organizzazione nel settore delle lotterie, delle scommesse e delle sale giochi, che era ramificata soprattutto in Calabria, Roma, litorale romano e Latina, secondo quanto hanno ricostruito gli investigatori, alla cosca sarebbero bastati 10mila euro come capitale sociale per una società a responsabilità limitata.
Tutto, come nelle migliori tradizioni mafiose era stato pianificato: dagli accordi con le altre cosche presenti nella Capitale che operano nello stesso settore (indicative in tal senso sono le trattative con alcune famiglie delle province di Vibo Valentia e Reggio Calabria) alle mire espansionistiche (la possibilità di mettere radici anche a Milano, dove la gestione delle sale giochi, soprattutto del centro, fa gola).
Nell’operazione Mediterraneo, però, c’è spazio anche per i traffici consolidati delle cosche calabresi, come il traffico di stupefacenti e di armi, in particolar modo con la Slovacchia. Quel che sorprende, semmai, è il reinvestimento, secondo quanto si legge nelle carte, in Umbria, a Terni, dove molti soldi erano stati utilizzati per l’avvio di un centro medico specializzato nelle cure dentali (un altro, invece, anch’esso sequestrato preventivamente, è a Gioia Tauro). A quanto pare, però, l’investimento non è andato molto bene. Nella vita criminale non sempre si può gestire tutto “in remoto”, soprattutto quando si tratta di trapanare un dente o cambiare un “ponte”.
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