«Le imprese che non si piegheranno al racket saranno esentate dal pagamento del diritto annuale»: questo il roboante annuncio della Camera di Commercio di Reggio Calabria, lanciato il 4 gennaio forse ancora sotto l’influenza della porporina di bontà scesa dalle renne di Babbo Natale.
Imprenditori, commercianti e artigiani vittime di reati di estorsione, corruzione e usura che hanno denunciato i loro aguzzini e hanno collaborato con l’autorità giudiziaria, fornendo elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione e/o cattura degli estorsori e usurai, usufruiranno per cinque anni di un contributo annuale come rimborso di quanto dovuto e versato come tassa camerale.
I primi (i soli?) imprenditori a ottenere l’agevolazione saranno Tiberio Bentivoglio, Salvatore d’Amico e Filippo Cogliandro. Sono tre imprenditori reggini simbolo della lotta contro le ’ndrine che impongono il pizzo.
«Continuiamo – ha detto il presidente della Camera di commercio Lucio Dattola – con fatti concreti a sostenere chi combatte la 'ndrangheta e saremo economicamente vicini alle imprese che si opporranno al racket».
L’iniziativa rientra nel programma pluriennale dell’ente camerale reggino “Impresa legale e sicurezza partecipata: perché no?”, che ha l’obiettivo di costruire frontiere della legalità valorizzando l’etica e la trasparenza al fine di creare una rete fra tutti i soggetti del territorio coinvolti (istituzioni, enti, associazioni, persone fisiche). «La Camera di Commercio – ha continuato Dattola – è dalla parte dei reggini che scelgono la via della legalità. Per questo ha voluto rispondere concretamente all’appello dell’associazione Libera di sostenere gli imprenditori che hanno avuto il coraggio di rompere il silenzio, denunciare e costituirsi parte civile nei processi esponendo se stessi e i familiari a rischi e pericoli per riscattare la nostra terra. Il percorso di denuncia e di coerenza è difficile, ma è l’unica strada per smuovere le coscienze in una città dove la maggior parte degli imprenditori afferma di non essere mai stato coinvolto in episodi di racket o di usura».
Bene, bravi bis verrebbe da dire alla Camera di commercio ma…
BENE MA…
Ma il dubbio che questa pur lodevole iniziativa resti l’ennesima medaglia da porsi sulla giacca dell’antimafia resta.
Secondo l’indagine 2011 realizzata da Camera di commercio di Reggio Calabria, Sos impresa, Istituto Guglielmo Tagliacarne e Istituto Piepoli sulla presenza e sulla percezione dei fenomeni illegali nella provincia reggina, i comportamenti criminosi ritenuti più gravi sono: le estorsioni e l’usura (62,5%). La maggior parte degli imprenditori intervistati afferma però di non essere mai stato coinvolto in episodi di racket (92,5%) o di usura (98,2%).
Secondo Sos impresa di Confesercenti, invece, il 70% delle imprese a Reggio Calabria paga il pizzo e secondo il rapporto Eurispes 2011 la provincia reggina è una delle province italiane con il più alto indice di rischio usura (97,1%)».
“Oggi, che le esigenze di denaro da parte delle cosche per mantenere un alto numero di carcerati sono diventate più pressanti e che, proprio a causa degli arresti, i vari clan sono entrati in fibrillazione – si legge nel XIII rapporto Sos Impresa di Confesercenti che è stato presentato il 10 gennaio 2012 – o s’intimidisce per costringere a pagare, magari offrendo la pezza di appoggio dell’acquisto consigliato, o per incutere paura al clan rivale che tende a prevalere, o per rilevare di- rettamente l’attività. E’ quanto sta avvenendo soprattutto a Reggio Calabria. Le ‘ndrine non vogliono il pizzo dai commercianti ed artigiani, vogliono soprattutto che se ne vadano”.
Il XIII Rapporto di Sos Impresa Confesercenti prosegue così: “Una situazione talmente pervasiva da far comprendere che in alcune zone a non pagare il pizzo siano solo le imprese già di proprietà dei mafiosi o con cui si sono stabiliti rapporti collusivi e affaristici. Pagano il pizzo il 50% delle imprese calabresi con punte maggiori a Reggio Calabria, e nel Vibonese Lametino…”
Che del resto il pizzo sia, nel Sud, “a tappeto” lo sanno anche i muri. Leggete cosa scrive il pm antimafia della Dna Maurizio De Lucia nella relazione 2010: “La presenza sul territorio meridionale di fenomeni criminali come Cosa Nostra, la ‘ndrangheta e la camorra, preesiste all’impianto di una qualsiasi impresa economica e consente in via esemplificativa di poter affermare che se nel Nord Italia è la banda criminale a scegliere il negoziante da estorcere ed a chiedergli il pizzo nelle realtà territoriali in argomento è il commerciante che intende svolgere la propria attività che si inserisce in un ambiente dove, a questo livello, è l’organizzazione mafiosa, che ha o pretende di avere il pieno controllo del territorio, che da sempre esige il pizzo agli imprenditori della data zona. Pertanto anche il nuovo commerciante sa che a tale regola deve sottostare e spesso – hanno rivelato i processi – è proprio lui a cercare di “mettersi a posto” con l’organizzazione mafiosa”.
Insomma c’è il rischio concreto – di fronte al divario profondo che c’è tra denunce, pochissime, coinvolgimento dichiarato, prossimo allo zero e fenomenologia reale, che al Sud piega praticamente tutti al pizzo – che ad essere esenti dal contributo camerale restino solo i 3 commercianti-eroi. Speriamo dunque che questa iniziativa non sia solo propaganda e medaglia sulla giacca. Insomma: chiacchiere e distintivo. Per fugare questo pericolo non basta la volontà della Camera di commercio. Ci vuole lo Stato. Uno Stato forte, presente, rigoroso, incorruttibile, intransigente, giusto, metodico e continuo. Senza questo Stato non denuncerebbe il pizzo neppure Babbo Natale. A Reggio c’è?
r.galullo@ilsole24ore.com
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